lunedì 26 novembre 2018

E' SOSTENIBILE IL DEBITO CINESE ?




L’economia della Cina sta entrando in un periodo di “spirale discendente”, dato che i tre strumenti della crescita – investimenti, export e consumi – stanno rallentando. Lo afferma Li Yang, capo dell’Istituto nazionale per la finanza e lo sviluppo e già vice direttore dell’Accademia delle scienze sociali. Parlando lo scorso 3 novembre al Chinese Institutional Investors Summit, egli ha manifestato le preoccupazioni della leadership per la seconda economia mondiale, alle prese con una guerra dei dazi con gli Stati Uniti. Il Pil sta scendendo, gli investimenti stanno rallentando, l’export rallenta e anche i consumi”: in tal modo, ha detto Li, i tassi di crescita stanno diminuendo allo stesso passo del Pil o anche più velocemente. Le preoccupazioni investono anche il settore privato, la cui situazione è definita da Li “piuttosto seria”. La scorsa settimana a Pechino, Xi Jinping ha tenuto un seminario con imprenditori privati per assicurare il sostegno del governo e del Partito per il settore privato, che combatte contro il raffreddamento dell’economia e il poco aiuto finanziario da parte delle banche cinesi. Fra i temi toccata da Li Yang vi è anche quello dei posti di lavoro. “Se l’economia si raffredda – ha detto – si abbasserà anche la possibilità di creare nuovi posti di lavoro; le imprese che sono in difficoltà taglieranno i salari; la crescita dei salari diminuirà e assisteremo a una caduta assoluta dei pagamenti… Potremmo anche vedere gente che perde il lavoro. E questo è un impatto delle frizioni fra Cina e Usa che si riversano nel mercato del lavoro”. Li ha anche fatto notare che il rallentamento dell’economia sta avvenendo anche in province come il Guangdong, Jiangsu, Shandong, Zhejiang, le regioni più sviluppate del Paese che un tempo mostravano una crescita superiore alla media nazionale. Eppure a guardare i dati statistici l'economia cinese risulta ancora in robusta crescita e pare riuscire anche a bypassare la poltiica dei dazi statunitense. Ma qui qualcuno lamenta anche la vera attendibilità dei dati statistici dell'egenzia cinese, la NBS. Gli economisti, infatti, temono che la Nbs abbia abbassato i dati di base dello scorso anno per rendere più elevato in termini percentuali il tasso di crescita di quest'anno del settore industriale. L’ufficio di statistica dichiara che le aziende vengono analizzate a campione. Secondo alcuni però questa campionatura verrebbe pilotata selezionando solo le realtà industriali più virtuose. Difatti le revisioni dei campioni utilizzati non sono rese pubbliche. I numeri “truccati” riguardano i grandi gruppi industriali, le vendite al dettaglio, il consumo di elettricità e la produzione di carbone. Va detto che , anche quest’anno, l’ufficio di statistiche sta riscontrando diverse difficoltà a far quadrare i conti forniti dalle province con il calcolo complessivo del Pil. Il sistema statistico è orientato dagli obiettivi fissati dalla politica. Se la spesa dei consumatori è destinata a crescere del 10% allora chi compila le statistiche aggiusta i numeri per raggiungere il 10%. Ciò potrebbe portare la Nbs a modificare il numero di aziende che vengono campionate o cambiare gli standard per l'inclusione nei campioni” dichiara al South China Morning Post Anne Stevenson-Yang, co-fondatrice di J Capital Research. E poi esiste il problema del colossale debito pubblico che ormai ha superato il 260% rispetto al pil, raggiungendo l'astronomica cifra di 29 mila miliardi. Nel 2007 eravamo a 6 mila miliardi e al 140% del pil. Certo la Cina non deve rispondere a nessuno del suo debito, come purtroppo noi europei, ma certo la mole di debito potrebbe diventare comunque un problema. In sostanza, fanno notare alcuni analisti, la crescita cinese poggia su una muraglia di debiti. Il debito porta sviluppo, ma lo sviluppo porta altro debito. Fin qui il giochino ha retto e portato risultati eccellenti. Ma fino a quando Pechino potrà crescere facendo nuovi debiti? Sembrerebbe che Xi si sia posto tale domanda e abbia trovato una soluzione momentanea. Il governo ha infatti spostato le risorse dai settori cosiddetti “maturi”, come industria pesante e immobiliare, a quelli più tecnologici e produttivi. Per far questo la Cina ha dovuto chiudere un discreto numero di fabbriche e bruciare investimenti. Con un conseguente aumento delle tensioni sociali. Certo la politica di Xi prevede comunque un intervento dello Stato molto forte che inietta miliardi di liquidità nell'economia, in pieno stile Keynesiano, riuscendo comunque a generare una robusta crescita, che però inevitabilmente risulta essere drogata. All’inizio del nuovo millennio, il paese è dovuto intervenire con riforme drastiche per contenere una situazione simile. Gli interventi sono costati praticamente il 50% del Pil del 1999, ma poi hanno portato a tassi di crescita che, in alcuni casi, hanno superato il 10%. Per i prossimi anni, le stime di Morningstar parlano di un avanzamento economico intorno al 4,5%. Un risultato per il quale probabilmente molti paesi del mondo metterebbero la firma, ma lontano dal 6,5-7% posto come obiettivo annuale da Pechino. Inoltre preoccupa anche la mole di investimenti fatti in Sudamericas ed in Africa, paesi fortemnete instabili e le cui economie sono in grande difficolta. Le banche cionesei hanno un esposizione enorme nei cosidetti Brics.. Una delle banche più esposte ai sogni di grandezza cinesi è la China Development Bank, che a fine 2015 aveva già investito 110 miliardi di dollari sulla Bri finanziando circa 400 progetti in 37 paesi. Segue la China Exim Bank, che fornisce varie tipologie di operazioni, dai crediti alle esportazioni al finanziamento delle infrastrutture, che a fine 2015 aveva supportato un migliaio di progetti in 49 paesi della Bri per un valore di 80 miliardi. Altri grandi “elemosinieri” della Bri sono l’Industrial and Commercial Bank of China, che ha già totalizzato 159 miliardi di esposizione per 212 progetti, e poi la China Export and credit insurance corporation, che a dicembre 2015 aveva già sottoscritto progetti per oltre 570 miliardi di valore nei paesi della Bri. Segue la Bank of China con circa 100 miliardi di prestiti a fine 2017 e chiude la classifica il Silk road fund, che investe per lo più in progetti infrastrutturali a vocazione energetica, con 40 miliardi di esposizione. Insomma il dragone è sommerso da una montagna di debiti i cui ritorni non sono proprio cosi sicuri.


vcaccippoli@gmail.com



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