La recente questione della fondazione Open con tutto quello che ne è conseguito, ha riportato al centro del dibattito politico una questione che pareva essere uscita dai radar della opinione pubblica. E cioè il sistema legale e legittimo dei partiti di trovare finanziamenti per poter fare la propria attività. Fare politica ha un costo, e mentre prima i movimenti politici si organizzavano, economicamente e logisticamente, unicamente attraverso i partiti, ora il numero di soggetti coinvolti si è moltiplicato.
Dalle fondazioni politiche, alle associazioni, passando per gruppi parlamentari e think tank, la galassia di strutture che svolgono attività politiche sono aumentate. E aumentando le componenti sono aumentati anche i problemi del finanziamenti di queste strutture. Con la riforma del 2013 sotto il governo Letta in Italia è stato progressivamente eliminato il finanziamento pubblico diretto ai partiti. Questo consisteva principalmente nei cosiddetti rimborsi elettorali, che sono stati definitivamente aboliti nel 2017. Una forma di finanziamento, collegata alle tornate elettorali, in cui lo stato versava ai singoli partiti una somma di denaro calcolata, tra le altre cose, in base al risultato elettorale raggiunto. Dopo l’approvazione della legge i finanziamenti pubblici ai partiti si sono più che dimezzati. Ma il problema è rimasto tale e quale sul piatto. Perché è indiscutibile che fare politica costa e anche tanto. Per trovare fondi i partiti hanno allora cercato di rinforzare altro strumenti leciti, come per esempio la donazione del 2x1000 delle dichiarazioni dei redditi.
Ma il problema per il 2x1000, oltre ad essere poco utilizzato dai contribuenti, è che parliamo di cifre basse rispetto a quelle che possono essere le esigenze dei partiti. Secondo recenti dati della fondazione Openpolis nel 2018 l'ammontare di soldi ricevuti dai partiti italiani tramite il 2x1000 è persino calato, passando dai 15,3 milioni del 2017 a 14,1 milioni di euro. Esiste poi il contributo degli eletti, che varia da partito a partito, ma che ha, come visto anche nel caso dei 5 stelle, dei problemi dal punto di vista organizzativo e dell’impegno che poi i singoli eletti hanno nel rispettare questo accordo ( Forza Italia recentemente ha dovuto adottare misure coercitive per recuperare quanto dovuto da alcuni suoi eletti). E poi questo meccanismo favorisce sicuramente i grandi partiti a scapito di quelli più piccoli. Non solo per l’ammontare dei contributi dei singoli eletti, ma anche perché avere più eletti significa anche più contributi ai gruppi parlamentari. Una forma di finanziamento pubblico, pari a 53 milioni di euro annui, che non è stata intaccata dalle riforme degli ultimi anni. Occorre allora trovare soluzione alternative, la prima è sicuramente quella di affidarsi ai finanziamenti da parte dei privati.
Ma come visto con la fondazione Open questo apre una serie discussioni sulla trasparenza degli stessi e sulle regole da adottare per far si che questi non siano poi elargiti per avere un tornaconto. Negli anni abbiamo visto la crescita di think tank, fondazioni e associazioni politiche legate a questo o quel partito, ma anche a singoli parlamentari. Queste strutture sono diventate delle realtà parallele ai partiti, sfruttate dagli stessi per portare avanti una serie di attività: dalla raccolta fondi, alla formazione politica, passando per l'organizzazione di correnti. L’ascesa politica di Matteo Renzi e della sua fondazione Open ne è stato un perfetto esempio. Una struttura parallela al partito di appartenenza, in questo caso il Partito democratico, utilizzata per raccogliere fondi, organizzare eventi e aggregare la base elettorale. L'abolizione del finanziamento pubblico ai partiti ha quindi contribuito alla frammentazione degli attori politici, penalizzando indirettamente la trasparenza del sistema. Penalizzando, soprattutto, il tema dei finanziamenti, ora più complesso da ricostruire, e particolarmente propenso ad essere raggirato. In poche parole togliere il contributo pubblico ai partiti ha permesso il proliferare di tutta una serie di finanziamenti da parte dei privati sicuramente più difficili da controllare e da monitorare. Molte fondazioni, non quella di Renzi, non pubblicano nemmeno i bilanci, perchè nessuna legge le obbliga a farlo. Si capisce bene in queste condizioni come possa essere garantita la trasparenza di fondi che dovrebbero finanziare esclusivamente la mera attività politica dei partiti. Può essere utile allora dare un occhiata a cosa succede negli altri paesi europei sul tema finanziamento ai partiti.
In Francia esiste un finanziamento pubblico dei partiti che consta in una parte proporzionale al numero dei voti ottenuto al primo turno delle ultime elezioni legislative. Requisito per l’accesso al contributo è che il partito abbia presentato candidati in almeno 50 circoscrizioni che abbiano ottenuto almeno l’1% dei voti espressi in tali circoscrizioni. La seconda è proporzionale al numero dei parlamentari, a condizione di avere i requisiti previsti per accedere alla prima frazione. In Germania è previsto un contributo proporzionale ai voti ricevuti , pari a 0,85 euro per ogni voto valido, fino a 4 milioni di voti e a 0,70 euro per ogni voto ulteriore ottenuto da ciascuna formazione nelle ultime elezioni per il Bundestag, per il Parlamento europeo e per i Parlamenti dei Länder ed un ulteriore un contributo calcolato sulla quota dei contributi versati da privati, pari a 0,38 euro per ogni euro che il singolo partito abbia ricevuto come donazione o a titolo di quota di iscrizione da una persona fisica. In Spagna si hanno addirittura cinque forme di finanziamento pubblico dei partiti: le sovvenzioni a titolo di rimborso delle spese elettorali, le sovvenzioni statali annuali per le spese generali di funzionamento, le sovvenzioni annuali stabilite dalle Comunità autonome e, se del caso, dagli enti locali, per le spese generali di funzionamento nel proprio ambito territoriale; le sovvenzioni straordinarie per la realizzazione di campagne di propaganda in occasione dello svolgimento di referendum ed infine le erogazioni che i partiti possono ricevere dai gruppi parlamentari delle Camere, delle Assemblee legislative delle Comunità autonome e dai gruppi di rappresentanza negli organi degli enti locali. La Gran Bretagna come spesso accade fa storia a se perchè il finanziamento pubblico ha un ruolo marginale rispetto agli altri paesi europei. Fatta eccezione per le forme di incentivo finanziario destinate a tutti i partiti e ad alcune agevolazione sui servizi dal 1975 i contributi statali sono riservati ai partiti di opposizione (Short Money Grant). Questo perché si presuppone che servano a compensare quei vantaggi che il partito di maggioranza trae dalla disponibilità dell'apparto di governo. Poi però esiste la possibilità per i privati di finanziare sia partiti che singoli parlamentari nella massima trasparenza e legittimità. Come si può vedere in ogni paese è presente una forma di finanziamento pubblico dei partiti sotto forma di rimborso elettorale o di contributo per svolgere la propria attività.
In Italia la montante aria di antipolitica, generata da troppi di casi di cattivo utilizzo dei contributi politici da parte di partiti e parlamentari ha permesso che si arrivasse al paradosso di gettare via il bambino con l’acqua sporca. Occorre perciò una serie riflessione sull’argomento per dare seguito al dettato dell’articolo 49 della Costituzione e non rischiare di creare invece un sistema che rischia di essere peggiorativo rispetto al finanziamento pubblico. Bisognerebbe invece sedersi ad un tavolo e pensare a nuove forme di finanziamento che abbiano regole ferree e rigidi controlli su ogni singolo euro che va al finanziamento dei partiti, per evitare quelle commistioni ed intrecci fra interessi privati e la politica. Il tema è delicato ma prima o poi bisognerà pure affrontarlo
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