martedì 30 ottobre 2018

Start up: in Italia la vita è piu dura





Malgrado negli ultimi anni qualcosa a livello governativo sia stato fatto, è indubbio che il nostro paese sia da sempre un ambiente piuttosto ostile per chi decide di creare una start up. Guardando, infatti al mercato europeo, il 2017 è stato un anno di record considerando che è stata investita la cifra record di 19,2 miliardi di euro, e se si include anche il mercato israeliano, uno dei più attivi in questo senso, si arriva a 22 miliardi. Secondo lo studio del report 2018 di Genome Start up, la massima autorità nel campo, il nostro paese non figura fra i primi venti paesi in cui il clima è piu favorevole al sorgere di start up, in una classifica in cui domina ovviamente la Silicon Valley. Il nostro paese risulta meno attrattivo persino di Spagna e Portogallo. Eppure non si tratta certo di mancanza di liquidità a frenare il comparto. Secondo uno studio di Unimpresa, che incrocia i dati di Banca d’Italia relativi alla raccolta delle banche, il totale della liquidità finanziaria è passato dai 1.260,7 miliardi di novembre 2016 ai 1.315,4 miliardi di novembre 2017. Le imprese italiane non investono, mentre le famiglie risparmiano, tanto che le banche accumulano riserve per oltre 55 miliardi di euro solo nel 2017. Giusto per dare un’idea, i conti correnti delle famiglie italiane hanno sforato il tetto dei mille miliardi di euro. Si stima inoltre che i fondi delle Pmi italiane supereranno quota 30 miliardi di euro a fine 2018. Ma allora il problema potrebbe essere quello che non crescono start up in Italia? Assolutamente falso considerando che secondo i dati del Ministero dello sviluppo economico in Italia esistono circa 9000 imprese innovative. La relazione annuale di Bankitalia dimostra tuttavia che il 58% delle 9 mila startup italiane ha come unica fonte finanziaria le proprie risorse, il 25% utilizza credito bancario e solo l’11 % ha ricevuto finanziamenti da fondi di venture capital. In pratica uno startupper su 5, tra quelli intervistati da Bankitalia, si è dichiarato insoddisfatto delle risorse finanziarie a propria disposizione, mentre la gran parte non risulta avere mai cercato finanziamenti di società di venture capital o di altre istituzioni, oppure operato campagne di raccolta di capitali di rischio attraverso portali online. Il primo problema allora pare proprio essere quello che mancano i finanziatori delle imprese innovative nel nostro paese. Secondo il terzo report di uno dei fondi di venture capital che più hanno fatto la storia del tech, il fondo Atomico, tra gli investitori di Skype, GoEuro e Stripe, definisce il 2017 "un grande anno per gli investimenti in start up in Europa, ma sottolinea la situazione invece piuttosto critica nel nostro paese. Nel suo report State of European Tech, infatti si dimostra come l'Italia, nonostante sia tra i Paesi più ricchi al mondo, non è stata capace di sviluppare un ecosistema degli investimenti in innovazione commisurato al suo potenziale. Di fronte al totale dei 19 miliardi investiti, infatti, il nostro paese conta circa 100 milioni di investimenti in start up innovative. Un altro dato che fa capire come sia in ritardo il nostro paese in questo campo e quello che raccoglie gli investimenti pro capite. In Italia, secondo i dati di dealroom.co, azienda specializzata nella consulenza per finanziamenti in start up ( basata ad Amsterdam, ma fondata da un italiano) è di 3 dollari. Israele (304 dollari) e Stati Uniti (246) sono su un altro pianeta. Ma sono lontani anche Regno Unito (59 dollari), Francia (45) e Germania (26). Tra i Paesi presi in esame da Atomico, solo Russia e Turchia fanno peggio. A livello internazionale, l'Italia riesce ad attirare solo il 2,8% dei lavoratori in ambito tecnologico (è nona in Europa). Ma è italiano il 5% degli specialisti che hanno deciso di emigrare (ponendo l'Italia al quinto posto in questa graduatoria). l'Italia ha un saldo negativo di talenti. Quelli che se ne vanno sono meno di quelli che arrivano. Insomma il problema esiste e racconta di una situazione che continua a vederci sfavoriti rispetto ai principali competitor internazionali. I problemi sono sempre i soliti che attanagliano questo paese, che rischia però se non fa qualcosa subito di perdere irrimediabilmente il treno dell'innovazione, accumulando un ritardo tale che poi diventerà sempre più difficile recuperare. Nelle ultime settimane il Governo prova ad aprire una seconda fase in tema di innovazione d’impresa. La prima è stata introdotta dal Decreto-legge 179 del 2012, nota anche come “Startup Act”. La policy punta appunto a colmare questo gap, creando un ambiente più favorevole alle startup innovative, attraverso una serie di strumenti complementari, tra cui figurano gli strumenti di costituzione rapida e gratuita, le procedure di fallimento semplificate, incentivi fiscali per gli investimenti in equity e un sistema pubblico di garanzia per l’accesso al credito bancario. Poi c'è da registrare quello affermato dal vice premier Luigi Di Maio circa la creazione di una piattaforma pubblica, garantita dallo Stato, per stimolare gli investimenti in capitale di rischio a favore dell’innovazione tecnologica. Il Governo giallo verde ha assicurato che che entro dicembre sarà lanciato un fondo di venture capital, sul modello francese, per investire sulle startup italiane. Si vedrà ma forse questo potrebbe non bastare per sbloccare gli investimenti in start up innovative, forse occorre anche un maggior impegno di istituzioni universitarie, incubatori, strutture e investimento a livello privato, che possa creare quel clima favorevole che per esempio in Francia sta determinando un grande sviluppo di nuove startup innovative negli ultimi due anni, clima favorito anche dalla creazione del più grande campus di startup al mondo alla periferia di Parigi . Anche perchè anche in un clima del genere sono molte le eccellenze che riescono comunque a distinguersi, come Satispay, Credimi, Smartika, Soisy, Soldo e Moneyfarm nel fintech. Lanieri, Sixthcontinent, Tannico, Interwine, Velasca per l' ecommerce. Quomi, My cooking box per quanto riguarda il food, solo per citarne qualcuno.



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