mercoledì 30 gennaio 2019

FACEBOOK PAGA GLI UTENTI PER CARPIRE I LORO DATI

Il lupo perde il pelo ma non il vizio, verrebbe da dire commentando l’ ultima notizia rimbalzata dagli States, che riguarda il colosso dei social network, Facebook. Secondo techcrunch sito di news specializzato nel mondo tech, infatti, dal 2016 Facebook avrebbe pagato alcuni utenti per spiare le loro abitudini mentre navigano sul loro smartphone. Scaricando, infatti, una apposita app “ Facebook Research” gli utenti dai 13 ai 35 anni potrebbero aderire ad una sorta di accordo, che in cambio di 20 dollari al mese, metterebbe a disposizione del social tutti i dati personali presenti sul proprio cellulare. Dati di navigazione, foto,messaggi personali,!siti visitati, ordini effettuati su Amazon ed Ebay. Insomma tutta la cronologia della navigazione da smartphone verrebbe messa a disposizione per permettere a Facebook di avere una database preziosissimo sulle abitudini degli utenti che utilizzano internet. Evidentemente lo scandalo Cambridge Analytica, non ha proprio insegnato nulla a Zuckerberg e tutte le sue scuse appaiono sempre più come una foglia di fico per coprire ben più gravi violazioni della privacy. Sempre secondo quanto afferma l’ inchiesta del giornale americano. Apple avrebbe intimato a Facebook di togliere questa applicazione dal proprio App Store, proprio perché violerebbe le proprie regole sulla privacy. Ed in effetti a detta degli esperti in materia,  pare proprio che la nuova App sia piuttosto “ invasiva. Secondo Will Strafach, esperto americano di sicurezza informatica, che avrebbe provato la App, la stessa permetterebbe a Facebook di avere accesso ai messaggi dei social, quelli delle app di messaggistica  instantanea, email, ricerche tramite browers, acquisti online. Insomma praticamente lo smartphone diverrebbe un libro aperto per gli esperti di marketing di Facebook, che avrebbero accesso a dati privati da utilizzare a scopo pubblicitario. Ma a parte lo scandalo Cambridge Analytica, questo non è il primo tentativo da parte di Facebook di impossessarsi in ogni modo dei dati privati degli utenti. Già nel 2014, infatti, Facebook con l’ acquisto della società di VPN Onavo per circa 120 milioni di dollari, aveva cercato di inserirsi nel business dei dati di navigazione delle persone. Onavo Project, infatti, è la sviluppatrice di Protect, una delle tante applicazioni VPN presenti su App Store e Play Store. Quello che fa è creare una rete privata che gestisce i dati trasferiti e inviati da uno smartphone, in teoria per tenerli al sicuro e protetti agli occhi di agenzie, hacker e malintenzionati. Una soluzione del genere è ottima, ad esempio, per connettersi alle reti Wi-Fi pubbliche, agli hotspot di biblioteche, ospedali, hotel, smart city, notoriamente preda dei cybercriminali che riescono spesso a intrufolarsi nei loro canali per recepire le informazioni degli utenti collegati. Onavo, oltre a fare da VPN – virtual private network  offre anche un monitoraggio costante dei siti visitati con il browser e delle app utilizzate, per avvisare nel caso di problemi di sicurezza ed eventuali pericoli. Ecco allora che il social avrebbe utilizzato tutta questa enorme mole di dati sensibili” per utilizzarli a scopo commerciali. Inoltre proprio l’ analisi di questo dati avrebbe convinto Facebook ad acquistare per 19 miliardi Whatsapp. Poi dopo che sempre Apple aveva smascherato l’ utilizzo di Onavo da parte di Facebook per scopi tutto altro che disinteressati, denunciando appunto un pericolo per la riservatezza della privacy degli utenti, costringendo il colosso di Manlo Park a rimuovere l applicazione dall’ App Store, ora arriva questa notizia sul nuovo progetto per carpire, anche se in forma volontaria, dati dai propri utenti, con una nuova App di proprietà. D’ altra parte è  risaputo che per la società di Zuckerberg, Il business della raccolta dei dati sia sempre più destinato a diventare il vero core business. E questi fatti dimostrano che la questione della privacy e della riservatezza dei dati non rappresentano certo un’ ostacolo, e in ogni modo si studiano accorgimenti per aggirare le regole sulla tenuta e sfruttamento dei dati personali. E come molti sostengono questi sistema permetterebbe di intercettare le abitudini proprio di quella fascia di giovani che da tempo avrebbe abbandonato Facebook per altri social, come Snapchat o Instagram. Insomma forse Trump che da tempo ha scatenato una guerra senza confini contro la cinese Huawei sul tema della privacy, dovrebbe dare uno sguardo anche a quello che accade dalle parti di Facebook, che appare sempre più in difficoltà nel trovare modalità per sfruttare  in maniera profittevole la moltitudine dei suoi utenti e le loro sempre più appetibili, a scopi commerciali, abitudini. 

martedì 29 gennaio 2019

ANCHE LA SPAGNA CHIUDE LE FRONTIERE.



Dopo che per mesi Sanchez si era assurto al ruolo di paladino della accoglienza degli immigranti, offrendo i propri porti alle navi delle Ong  rifiutate dal nostro paese, ora da quello che trapela da fonti governative sembra che il governo spagnolo sia orientato verso un drastico cambio di rotta. Secondo infatti il quotidiano “El Pais”, il ministero degli Interni avrebbe deciso di chiudere le frontiere all'arrivo indiscriminato di immigranti, stante la politica europea assolutamente inconcludente sull'argomento. La situazione secondo quelle che sono gli stessi dati in mano al ministero sembra ormai fuori controllo. Il paese spagnolo lo scorso anno avrebbe accolto ben 57.000 migranti, il doppio dell' Italia, per Frontex. Ma il ministero degli Interni comunica, invece, che gli arrivi sarebbero stati ben  64.000. Davvero troppi per i pochi e mal gestiti centri di accoglienza iberici e quindi adesso il governo spagnolo sembra deciso ad adottare le maniere forti, non accettando più migranti, fino a che l'Europa non si deciderà finalmente a farsi carico in maniera seria e definitiva della questione migrazione. “ Non si tratta di una marcia indietro. Ma solo della constatazione che non tutti, all'interno dell Ue, stanno rispettando le regole. Occorrono da parte di Bruxelles decisioni ferme e durature.” Questo lo scarno commento trapelato da fonti del ministero degli Interni spagnolo. Ai primi di Febbraio in Romania è prevista una riunione dei ministeri degli Interni europei, ma sembra davvero molto lontana la possibilità che si riesca ad arrivare ad un accordo. Dopo il blocco della nave Open Arms una decina di giorni fa nel porto di Barcellona, ora la Spagna sembra  decisa a chiudere del tutto le proprie  frontiere, con buona pace di Macron e Merkel. D'altra parte se si considera che solo dal Marocco nei primi quindici giorni di Gennaio sono sbarcati in Spagna 3.000 immigrati, il doppio dello stesso periodo dello scorso anno, si può ben capire come la situazione stia degenerando.
Molti commentatori però credono che questa decisione possa essere anche vista come una mossa prettamente elettorale in vista delle prossime elezioni europee, dal momento che formazioni di destra, come Vox, stanno facendo proseliti, proprio soffiando sul vento della protesta della gente verso questo aumento sconsiderato di arrivi. Sanchez in difficoltà su più fronti, in questo modo così cercherebbe di rincorrere sul loro stesso terreno i rivali in patria, come Vox e i popolari e sopratutto quelli come in Europa, come Salvini. Ma d'altra parte si sa la questione migratoria in Spagna è sempre stata piuttosto controversa e per certi versi molto più stringente di quella adesso applicata da Salvini in Italia, che ora viene attaccato come fascista e inumano da mezza Europa. Nell’aprile scorso, infatti, il gruppo di sinistra Podemos al Senato ha accusato il Governo di “nascondere i respingimenti di massa non registrandoli, in modo da non lasciarne traccia e non dover affrontare le critiche e soprattutto i procedimenti giudiziari contro questa pratica, inclusi i frequenti richiami delle Nazioni Unite e di numerose organizzazioni non governative e associazioni umanitarie sia spagnole che internazionali”. E ancora, il 22 maggio Francisco Fernandez Marugan, defensor del pueblo spagnolo (colui che vigila affinché vengano assicurati i diritti dei cittadini nel rapporto con lo Stato) denunciava che diversi profughi dei centri di internamento per stranieri (Cie) di Madrid sono stati espulsi “senza aver avuto la possibilità di presentare la richiesta di asilo o comunque di accedere al procedimento previsto in questi casi”. Fonti governative di Madrid, d’altronde, avevano fatto trapelare la risposta negativa alla proposta italiana di far sbarcare le navi delle Ong anche nei loro porti. “Ripartire i migranti fra i Paesi del sud non è la soluzione- dissero -. Ci deve essere una risposta europea davanti a una situazione eccezionale, come si è fatto per la crisi dei rifugiati che arrivavano sulle coste greche”. Come non dimenticare poi le politiche repressive dello stesso Zapatero e di Rayoj, con episodi ripetuti di scontri fra Guardia Civil e migranti, nelle enclavi di Ceuta e Melilla. Sanchez in realtà ha solo cercato di far trasparire un cambio di passo, forse per guadagnare il rispetto dei grandi di Europa, che si è rivelato alla fine solo come un bluff o una semplice operazione di maquillage. Ora questa informativa del ministero degli Interni ha definitivamente fatto calare la maschera. Insomma non si può negare che anche questo fatto dimostra come la politica di Salvini abbia contribuito, con le maniere forti, a mettere la questione della immigrazione al centro della agenda europea, facendo uscire allo scoperto anni di politiche contraddittorie e menefreghiste da parte di chi come Germania, Francia, il blocco del Nord e anche in piccola parte la stessa Spagna ha deciso di lasciare la patata bollente nelle mani dell'Italia e della Grecia. 

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giovedì 24 gennaio 2019

CAMERON PENSA AD UN RIENTRO IN. POLITICA..?

Mentre in Gran Bretagna non si spegne la polemica sul mancato accordo per la Brexit, e qualcuno parla sempre più insistentemente della possibilità di indire un nuovo referendum, è interessante capire che fine abbia fatto il principale protagonista di tutto ciò. Subito dopo la sconfitta in Parlamento della May, ad un giornalista che gli chiedeva se fosse pentito di aver indetto il referendum, David Cameron pare abbia tranquillamente risposto: "No. Sono solo dispiaciuto di aver perso".
Poi l'ex premier, seguito da una guardia dal corpo, ha cominciato la sua solita sessione di footing giornaliero. D'altra parte doveva recuperare e mettersi in forma, dopo il ritorno da una vacanza da sogno in Costa Rica con moglie e figli, in un resort di lusso da 1.980 euro a notte. Ma d'altra parte il personaggio è cosi, un po' distaccato, altero e con quel pizzico di superbia che contraddistingue, solitamente, i privilegiati come lui.
Sono passati sei ani esatti, da quando l'ex premier britannico, durante una intervista a Bloomberg, lanciò la proposta di indire un referendum, per porre fine alle polemiche nate in patria sulla opportunità o meno di continuare a restare nella comunità europea. Certamente il buon David era convinto di una vittoria schiacciante dei “remain”, che lo avrebbe ulteriormente rafforzato come premier e avrebbe dato un colpo mortale all'opposizione interna al suo stesso partito dei conservatori.
Come si è poi visto, mai previsione fu meno azzeccata.Ma tutto il caos creato al paese con questa sua mossa, a dir poco azzardata, non sembra averlo colpito più di tanto, anzi. Il 52enne politico inglese, infatti, oltre a fare il supervisore del Servizio nazionale al cittadino, da lui creato, sta finendo di preparare le sue memorie per il libro di prossima uscita, per cui la casa editrice William Collins, gli ha pagato 920.000 euro di diritti di autore. Inoltre in tre mesi di discorsi in giro per il mondo, è riuscito a racimolare la considerevole cifra di 530.000 euro.
Come se non bastasse dal dicembre 2017 guida un fondo di investimento da 1 miliardo di sterline, istituito per sostenere la “Belt and Road Initiative”, un ambizioso progetto sulle infrastrutture stradali, portuali e ferroviarie tra la Cina e i suoi principali partner commerciali. Il governo avrebbe di recente promesso investimenti per 124 miliardi di sterline. D'altronde come avrebbe riferito di recente un suo caro amico al tabloid Sun sembra che l'ex premier “ a casa si annoi terribilmente”.
Sarà pure cosi, ma certo è che che con tutti i suoi impegni strapagati, le sue conferenze da 100.000 dollari cadauna, e le vacanze extralusso che si concede di frequente, non è che a casa ci stia proprio tanto. Eppure evidentemente gli manca l'agone politico. Secondo i bene informati, infatti, starebbe addirittura pensando ad un clamoroso ritorno sulla scena politica, magari in un nuovo esecutivo, dopo che la matassa Brexit si sarà in qualche modo risolta.
A sua difesa va però detto che, prima di quella decisione, il suo operato politico aveva avuto il grande merito di portare avanti riforme importanti per il Regno Unito, come quella sul matrimonio omosessuale, o la riforma del sistema sanitario e dell'assistenza sociale. Ma per la gente comune lui è il responsabile di “uno dei peggiori errori della storia britannica”.
Di certo è che a Cameron non è mai stato perdonato dalla gente comune quel suo essere cosi glamour ed aristocratico e non fare nulla per nasconderlo, anzi. Figlio di un ricco imprenditore della City, diploma all'esclusivo college di Eton, sposato con una ricca aristocratica, non potrebbe certo avere il pedigree ideale per conquistare la middle class inglese.
Secondo molti opinionisti, proprio la figura di Cameron e la sua eccessiva personalizzazione del referendum stesso, potrebbero aver inciso su un esito del voto, cosi clamorosamente negativo. Un po' come quello accaduto da noi con la sonora sconfitta, sempre in un referendum, patita da Matteo Renzi. Ma forse i suoi detrattori hanno esultato troppo presto.
Cameron, infatti, dopo qualche anno passato fra gli agi e le comodità di una dorata “pensione”, potrebbe essere pronto ad un clamoroso ritorno sulla scena pubblica, favorito anche dalla totale assenza di leader carismatici, che possano sostituire la coriacea May. Ecco perchè paradossalmente forse quel clamoroso errore e le sue conseguenze sulla vita pubblica inglese, potrebbe favorire proprio chi ne è stato l'artefice.
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venerdì 18 gennaio 2019

Quel vuoto di leadership in Europa

Lo spettacolo a cui si sta assistendo in questi giorni in Gran Bretagna, con la storica sconfitta della May al Parlamento e la risicata fiducia ottenuta successivamente, è l’ennesima dimostrazione della ormai palese mancanza di leadership in Europa. Dalla Francia di Macron, alla Spagna di Sanchez fino alla Gran Bretagna i principali stati europei, infatti, lamentano una carenza di leader al governo come all’ opposizione, che sembra davvero senza precedenti. Il nostro tanto vituperato Conte, avvocato prestato alla politica,  al confronto sembra uno statista di altri tempi, al di là di quello che la critica interna vagheggia da mesi. E in questo scenario che ci si appresta alle elezioni europee forse più importanti e decisive della storia della comunità europea, che mai come questa volta sembrano potere decidere il futuro della comunità europea. Salvini, che molti gia’ pronosticano come il possibile leader di una nuova probabile vasta rappresentanza europea di “spvranisti ”, sembra effettivamente essere in grado di colmare il vuoto creatosi, continuando a mostrarsi per quello che è. Un politico che al di là delle polemiche su alcune sue posizioni e atteggiamenti, dimostra di avere quella caratteristica di leadership, che pochissimi oggi in Europa possono vantare. Ecco perché riesce a conquistare un simile consenso, che va anche al di là delle sue indiscutibili capacità di politico di razza. Quindi tutti ormai sembrano riconoscergli un ruolo da primattore per le le elezioni di Maggio. Forse qualcuno potrà storcere il naso o addirittura scandalizzarsi di fronte a ciò, ma si tratta di un dato incontrovertibile.  Il nostro paese proprio grazie a Salvini può per una volta giocare un ruolo da protagonista nel futuro parlamento europeo. I soliti perbenisti di sinistra e i politically correct inorridiscono davanti ad una simile prospettiva, ma non è colpa di Salvini se non esiste un alternativa, non solo in Italia, ma addirittura in tutta Europa, L’unico leader rimasto in campo sembra essere  infatti la solita Merkel, ormai imbolsita dai troppi anni al potere e in calo di consenso in patria e sempre più indirizzata verso il suo inevitabile viale del declino. L’establishment europeo, che evidentemente ben subodorava questo ha cercato in tutti i modi di mettere i bastoni fra le ruote al governo italiano e quindi al suo vicepremier sulla legge di bilancio, ma la intelligente retromarcia del governo prima, e le politiche di bilancio, molto espansive dal lato deficit, di Francia e Spagna poi, hanno di molto ridotto il potere di fuoco della Commissione contro la manovra gialloverde e il tentativo di screditarlo. Ora il dado sembra tratto e non si capisce davvero come Salvini & c non possano fare il pieno di voti a Maggio, in un panorama cosi desolante intorno a loro. Lo scenario in pochi mesi è radicalmente cambiato. Solo qualche mese fa, infatti, molti, sopratutto a sinistra ( nessuno dimentica i peana di Renzi verso il movimento en marche) avevano confidato a torto che Macron, arrivato al potere inaspettatamente ( ma anche grazie ad una serie mancanza di alternativa) potesse rappresentare una guida sicura per tutti gli europeisti e potesse appunto rappresentare un argine contro il dilagare delle destre in Europa, ma il suo fallimento in patria, sommerso dalle proteste dei gilet gialli, che lo stanno letteralmente travolgendo è sotto gli occhi di tutti ed ora appare spaesato e senza alcuna forza contrattuale né in Francia né tanto meno in Europa. Qualcuno poi aveva intravisto in Sanchez, ultimo paladino della sinistra in Europa, una possibile risorsa per uscire dall’impasse, ma le sue contraddizioni e le sua debolezze hanno fatto rimpiangere a molti perfino l’opaco Zapatero. Nel nostro paese infine tramontata l’era Renzi all’orizzonte non si profila nessuno capace di dare un impulso ad una opposizione ormai da troppo tempo allo sbando. E se ancora a destra si guarda all ottantaduenne Berlusconi, si capisce come la situazione sia davvero senza via di uscita. Utilizzando una metafora calcistica si può ben dire che, quando mancano i fuoriclasse diventa complicato, se non impossibile, vincere le partite che contano. Sono loro che trascinano il resto della squadre alle vittorie decisive. I semplici comprimari servono di contorno, ma le partite vengono decise da chi ha quel quid in più. Tornando alla politica attualmente quel quid sembra appartenere alle personalità come Salvini. Forse non sarà un fuoriclasse, ma certamente in mezzo al vuoto assoluto la sua intelligenza e il suo acume politico inevitabilmente escono fuori.


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giovedì 17 gennaio 2019

IL PROBLEMA PAYBACK PER IL MONDO PHARMA


L'industria farmaceutica italiana, anche se in leggera flessione nell'ultimo trimestre, è comunque il settore con la più alta crescita dal 2007 al 2017 della produzione (+24% vs -18% della media manifatturiera) dell’export (+107% vs +23% della media), che ha determinato il 100% della crescita negli ultimi due anni è il settore che ha aumentato di più l’occupazione (+4,5% vs +1,5% della media manifatturiera); dal 2013 4 mila addetti in più, soprattutto in produzione e ricerca, è il 3° settore per investimenti in R&S (7% del totale in Italia) e con il valore più alto per investimenti in R&S sul valore aggiunto (16%) è tra i settori più green: negli ultimi 10 anni sono molto diminuiti sia i consumi energetici (-69% vs -18% della media manifatturiera) sia le emissioni di gas climalteranti (-66% vs -19%), il 90% delle imprese sta adottando l’innovazione 4.0 nella produzione nel confronto con l’UE, l’Italia è il primo Paese per produzione di medicinali (31,2 miliardi) ¾ con la più alta crescita dell’export (dal 2007 a al 2017 +107% rispetto a +74%), con la più alta crescita degli investimenti in R&S (dal 2012 +22% vs 16%). Le imprese a capitale italiano si caratterizzano per un fatturato realizzato all’estero pari al 70% del totale, in notevole crescita e significativamente più elevato rispetto alla media manifatturiera. Vendite estere più che raddoppiate negli ultimi 10 anni (da 3,1 miliardi nel 2007 a 7,3 nel 2017), non in un’ottica di delocalizzazione ma di presidio di nuovi mercati, che ha consentito di rafforzare la presenza in Italia delle attività di R&S e produzione. L’Italia del farmaco gode insomma di ottima salute e si dimostra come uno dei settori trainanti della crescita del paese: «Siamo i primi in Europa per produzione farmaceutica, grazie al traino dell’export. Un successo — ha detto alla recente assise di Farmindustria il presidente Scaccabarozzi — che dimostra la qualità del nostro sistema Paese. E che ha ricadute importanti: più occupazione, investimenti, sinergie con indotto e Università, sviluppo degli studi clinici che fanno crescere la qualità delle cure e portano al Servizio Sanitario impor-tanti risorse». Nella classifica per export dei 119 settori dell’economia in Italia, nel 1991 i medicinali erano al cinquantasettesimo posto, oggi sono al quarto. Le imprese del farmaco, per di più, avanza-no anche sul fronte occupazionale: gli addetti nel 2017 hanno raggiunto quota 65.400 (93% a tempo indeterminato), 1.000 in più rispetto al 2016. E nell’ultimo triennio le assunzioni sono state 6.000 ogni anno. Fiore all’occhiello del settore è poi l’occupazione giovanile: secondo i dati Inps, dal 2014 al 2016 gli addetti under 35 sono aumentati del 10%, rispetto al + 3% del totale dell’economia. E tante sono le donne occupate, pari al 42% del totale. Un quadro positivo confermato anche dalla crescita degli in-vestimenti: nel 2017 le imprese hanno investito 2,8 miliardi (1,5 in ricerca e 1,3 in impianti produttivi).
Così il settore del farmaco è terzo in Italia tra i settori manifatturieri per investimenti in Ricerca e sviluppo, cresciuti del 22% negli ultimi 5 anni. Di più della media degli altri Paesi europei (16%). Ma non si tratta solo di numeri ed economia. La ricerca ha portato infatti alla nascita di nuovi farmaci e terapie, con un risultato concreto: dal 1978 a oggi gli italiani hanno guadagnato dieci anni di vita. In questo quadro cosi positivo però come dicono da Farmaindustria incombe il problema del payback. Come è noto, il cosiddetto pay back identifica la particolare procedura introdotta con l'art. 15 del citato DL n. 95/2012, per effetto della quale le aziende del comparto farmaceutico sono chiamate a ripianare parzialmente – in misura pari al 50% - l'eccedenza della spesa farmaceutica ospedaliera, allorché sia superato il suo tetto stabilito per legge. Più precisamente, nel caso in cui venga accertato dall' Aifa uno sforamento della soglia, il comma 8, dell'art. 15 richiamato prevede che il ripiano sia effettuato dalle imprese mediante versamenti disposti direttamente a favore delle Regioni e delle Province autonome. Tali somme sono calcolate sui prezzi dei farmaci al lordo dell'Iva. Un meccanismo insomma piuttosto complicato e anche per certi versi perverso, che ha determinato anche diversi contenziosi fra Governo e industria farmaceutica che è costretta a coprire gli eccessi di vendita, a accusa anche degli eccessivi utilizzi che vengono fatti dei farmaci nella sanità pubblica. E i conti, infatti, non tornano. Tra il payback 2013-2015 e il payback 2016 risultano non incassati 789 milioni di euro che di fatto rendono insostenibile l’equilibrio economico, con la conseguenza che molte regioni rischiano il piano di rientro, tenendo anche conto del fatto che molte aziende farmaceutiche, pur avendo pagato, hanno comunque fatto ricorso. Sul fronte opposto, l'industria difende le sue ragioni. «Io so che le imprese del farmaco - spiega sempre il presidente di Farmindustria Massimo Scaccabarozzi- hanno pagato un miliardo e mezzo tra tutti i payback. Non credo che sia colpa delle imprese se questi soldi non sono arrivati, perché noi li abbiamo pagati. Non è tutto quello che si aspettavano, ma perché probabilmente i numeri non erano corretti. Ci sono 880 milioni già pagati per il 2013-15 che restano nelle mani dello Stato. E ci sono altri 580 milioni di euro del 2016 già arrivati alle regioni e già ripartiti. Quindi non si può dire che le industrie non hanno pagato. Io credo che l'atteggiamento giusto delle imprese sia quello di pagare tutto il dovuto , ma non un centesimo in più. Insomma un miliardo e mezzo sono usciti dalle nostre casse. Ed è ora di parlare di sostenibilità anche per le industrie». La manovra del governo del cambiamento introduce finalmente dal 2019 una nuova disciplina per il monitoraggio del rispetto dei tetti di spesa farmaceutica per acquisti diretti, vale a dire la spesa farmaceutica ospedaliera, ed il corrispondente ripiano (payback) in caso di sfondamento da parte delle aziende farmaceutiche, con la finalità di superarne il meccanismo di determinazione calcolato sul budget assegnato alle medesime aziende (cd. budget company) con il più metodo – ritenuto “più appropriato” – delle quote di mercato di ciascuna azienda (commi 574-583). Sperando che questo possa essere il primo passo per dirimere una questione per un comparto che sta diventando sempre piu fondamentale per l'economia nostrana.

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martedì 15 gennaio 2019

LYONESS MULTATA DALL AGCOM PER 3,2 MILIONI

L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, a conclusione di un complesso e articolato procedimento istruttorio, nella riunione del 19 dicembre ha accertato che il sistema di promozione utilizzato dalla società Lyoness Italia S.r.l. per diffondere fra i consumatori una formula di acquisto di beni con cashback (ovvero con la restituzione di una percentuale del denaro speso presso gli esercenti convenzionati) è scorretto in quanto integra un sistema dalle caratteristiche piramidali, fattispecie annoverata dal Codice del Consumo tra le pratiche commerciali in ogni caso ingannevoli.
Il sistema di promozione, utilizzando il pretesto del descritto vantaggio degli acquisti con cashback, si sostanzia in realtà nel reclutamento di un numero elevato di consumatori ai quali viene richiesto, dopo aver assunto la veste di incaricato alle vendite, di pagare una fee di ingresso particolarmente elevata per accedere al primo livello commissionale (pari a 2.400,00 euro) e iniziare la “carriera” come Lyconet Premium Marketer. Successivamente, essi devono reclutare altri consumatori, nonché effettuare ulteriori versamenti per confermare e progredire nella “carriera”.
L’istruttoria svolta ha consentito di appurare che la possibilità di ottenere uno sconto differito sugli acquisti sotto forma di cashback costituisce in realtà un aspetto secondario del volume economico generato dal sistema Lyoness (pari a circa 1/6 dei ricavi complessivi). Infatti, il conseguimento di elevati livelli di Shopping Points - il meccanismo di remunerazione del piano di compensazione - è in sostanza possibile solo con versamenti di somme di denaro da parte dei consumatori aderenti o da parte dei soggetti da questi ultimi reclutati. Da quanto emerso, numerose decine di migliaia di consumatori hanno versato le predette somme di denaro per entrare, partecipare e rimanere nel sistema e solo pochissimi soggetti sono effettivamente riusciti a conseguire posizioni rilevanti.
L’Autorità ha, inoltre, accertato le modalità ingannevoli con le quali sono prospettate le caratteristiche, i termini e le condizioni del sistema di promozione Lyoness, aspetti non adeguatamente chiariti sia sui siti internet che negli eventi promozionali, nonché l’assenza in detti siti internet di talune informazioni essenziali richieste nelle vendite a distanza, quali quelle sulle modalità di trattamento dei reclami, sul diritto di recesso e sul foro competente.

Pertanto, alla luce delle numerose evidenze raccolte anche grazie alla collaborazione del Nucleo Speciale Antitrust della Guardia di Finanza, l’Autorità ha concluso il procedimento comminando una sanzione complessiva di euro 3.200.000. Questo è quello che si evince dal comunicato sul sito della antitrust che punisce per la prima volta in maniera pesante una società che fa del multilivel marketing il suo business.Lyoness d’ altra parte non è nuova a questo tipo di indagini, essendo stata sanzionata in mezza Europa proprio per questo sistema di remunerazione assolutamente poco chiaro ed ingannevole. Troppe persone spinte dalla volontà di guadagnare in maniera “facile” anche nel nostro paese evidentemente si sono fatte abbindolare da un sistema che sembra davvero molto vicino alle classiche forme piramidali che come si sa sono vietate nel nostro paese. Resta da vedere ora quali potranno essere le iniziative che prenderanno le associazioni di consumatori, che già ventilano possibilità di class action.

SANCHEZ COME SALVINI

Dopo avere accolto 60.000 immigrati in tutto il 2018, anche la Spagna del socialista Sanchez ha deciso di cambiare rotta. Come Salvini, anche il governo spagnolo ha infatti bloccato la nave Open Arms al porto di Barcellona. Strano, ma forse nemmeno troppo, che nessuno dei benpensanti italiani di sinistra abbia avuto da dire nulla a proposito della accoglienza e della umanità dopo avere ricoperto di insulti di ogni tipo, il ministro degli Interni italiano.
Invece la decisione del governo di sinistra spagnolo potrebbe essere un incredibile assist per i sovranisti, considerando come la Spagna fino ad ora era stata indicata a modello della politica accoglienza. Ma il vento in patria per il premier è cambiato radicalmente.
Non si può, infatti, negare che il periodo per premier spagnolo, dopo la clamorosa sconfitta in Andalusia e i sondaggi che lo vedono crollare nel grado di fiducia degli elettori, e con gli alleati di Podemos che minacciano di far mancare la fiducia sulla legge di bilancio, non sia certo dei migliori. Ecco allora che il premier iberico ha cominciato forse un ripensamento proprio sulla politica dell'immigrazione, considerata da molti, anche all'interno del suo stesso partito, troppo morbida.
Le elezioni europee, infatti, si avvicinano ed evidentemente qualcuno deve avergli suggerito che la sua politica della accoglienza poteva far gioco proprio a chi, come i “sovranisti” ne fanno un caposaldo del loro programma. Sulla questione migratoria, infatti, si giocherà forse la partita più delicata, sul fronte elettorale in un Europa sempre più divisa e indebolita. La crescita nei sondaggi di un uomo forte come Salvini e in patria della piccola formazione di estrema destra Vox, ha evidentemente fatto capire che qualcosa di concreto e anche clamoroso ( come la chiusura dei porti) andava fatto, per cercare di cambiare lo status quo, a cui un Europa miope ha costretto da troppi anni, gli Stati meridionali a fronteggiare, praticamente da soli una situazione insostenibile.
Sanchez, quindi, dopo avere voluto cercare l'accondiscenza di Merkel e Macron, nei primi mesi del suo mandato, accogliendo molti più immigrati, di quelli che il paese poteva permettersi, marcando anche una netta differenza proprio verso il nostro governo, evidentemente ha capito che avvicinarsi al fronte franco- tedesco, mai cosi debole come ora, con un leader ormai dimezzato come la Merkel ed uno, come il francese, che ha i suoi grandi grattacapi in patria, non era più un buon affare. E quindi l'unica cosa che restava da fare, per cercare di contrastare l'ascesa della destra di Vox, che ha proprio nel contrasto alla immigrazione clandestina, uno dei cardini della sua azione politica, potrebbe essere smarcarsi dai primi due, e cercare di inseguire il leader dell'estrema destra Abiscal in patria e sopratutto Salvini in Europa sul loro stesso campo.
Ma si sa che quasi mai le copie sono come l'originale e questa mossa tardiva di Sanchez rischia di metterlo ancora più in difficoltà, dando ai cosiddetti “sovranisti” altri argomenti per criticare una sinistra mai cosi spaesata e contraddittoria come ora.
Questa perciò può rappresentare una ulteriore vittoria della politica della fermezza di Salvini, che sembra sempre più destinato a giocare un ruolo da sicuro protagonista alle prossime elezioni di Maggio. E memore di ciò e da grande comunicatore quale è, il nostro non si è lasciato sfuggire la ghiotta occasione di sfruttare la notizia, postandola immediatamente sui suoi amati social e utilizzandola a proprio vantaggio.
Chissà se magari, dopo che anche in Spagna si profila una battaglia con l'Europa propria sul deficit di bilancio, mai cosi alto da 10 anni, anche Sanchez alla prossima occasione pubblica, non sia tentato di lasciare la sua grisaglia per indossare magari una giacca della Guardia Civil, che non a caso ha di recente lamentato la situazione ormai insostenibile del controllo dei troppi immigrati sbarcati nel paese in questi mesi.

sabato 12 gennaio 2019

FINTECH: ANNO RECORD

2018 è stato davvero un anno da record per l’innovazione technology-driven nei servizi finanziari. A testimoniarlo è il livello record dei finanziamenti che, secondo CB Insights, nel terzo trimestre del 2018,  erano già cresciuti dell’82% rispetto al dato totale del 2017. In questo contesto, qual è lo scenario italiano? E qual è il rapporto tra gli italiani e il fintech? Affronta la questione il nuovo Report dell’Osservatorio Fintech e Insurtech del Politecnico di Milano “Fintech e Insurtech: l’Italia spiega le vele. Il digitale sta rivoluzionando l’ecosistema finanziario italiano favorendo la nascita di attori innovativi facendo emergere nuove esigenze della clientela e nuove forme di relazione tra utenti imprese istituti finanziari – commenta Marco Giorgini, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Fintech e Insurtech – Ma bisogna accelerare il processo di trasformazione digitale per non farsi trovare impreparati, è necessario approfittare delle opportunità offerte da nuove tecnologie come la blockchain, le piattaforme di roboadvisor, per proporre nuovi servizi di valore, banche e assicurazioni possono rispondere alle sfide della trasformazione digitale mettendo l’innovazione al centro delle strategie e puntando sulla costante collaborazione con altri attori”. Scendendo nel dettaglio, il rapporto evidenzia come circa 11 milioni di italiani (ovvero 1 su 4)  hanno utilizzato almeno un servizio fintech nel 2018, e ne sono rimasti soddisfatti: particolarmente graditi i servizi di mobile payment, i servizi per gestire il proprio budget personale e familiare e i servizi per trasferimenti istantanei di denaro tra privati, oltre a servizi in ambito assicurativo come la gestione digitale dei sinistri e le micro-polizze. servizi digitali utilizzati dalle PMI, il rapporto indica che il 92% delle imprese utilizza l’home banking attraverso un computer, mentre il 55%  interagisce con la propria banca tramite un’applicazione per smartphone. I prodotti finanziari più utilizzati dalle PMI sono l’anticipo su fatture (71%) e le soluzioni di leasing (66%), mentre sono poco sfruttate gli strumenti di previsione del Cash Flow (18%). Solo il 5% delle imprese campione ha già utilizzato metodi di finanziamento alternativi come Minibond, P2P Lending, Crowdfunding, soluzioni di Supply Chain Finance, tutti strumenti che sono ben poco conosciuti. Persistono ancora alcune PMI che non utilizzano neanche pc (8%). Nello specifico poi per quanto riguarda i finanziamenti che a livello globale sono stati circa 43 miliardi di dollari, in Italia ci sono alcuni servizi che crescono e che riescono a raccogliere adeguati finanziamenti. È il caso delle assicurazioni online e dei sistemi di pagamento digitali o P2P, con soprattutto le prime che hanno saputo raccogliere negli anni una grossa fetta di pubblico che le ha scelte in virtù del risparmio garantito. Settore in grandissima crescita a livello globale è poi sicuramente quello dei pagamenti digitali. Secondo i dati del “World Payments Report 2018” di Capgemini e Bnp Paribas, si rileva come le transazioni digitali raggiungeranno un tasso di crescita annuale del 12,7% entro il 2021, aumentando quindi la progressione che si era attestata al 10,1% nel periodo 2015-2016, quando i volumi delle transazioni non in contanti aveva toccato i 482,6 miliardi. Tra i paesi in prima linea che trainano l’aumento delle transazioni digitali ci sono la Russia (+36,5%), l’India (33,2%) e la Cina (25,8%), mentre i mercati più maturi si attestano poco al di sopra del 7%. Anche le più grandi aziende si stanno muovendo in questo senso. per quanto riguarda gli operatori sarà ancora dominato da App play, Samsung pay ed Android pay, oltre a WeChat pay, Starbucks pay e ovviamente Amazon pay. Anche in Italia alcuni si stanno muovendo in questo senso. A Dicembre, infatti, Sixthcontinent, la piattaforma di social commerce italiana, che ha registrato un aumento del fatturato del 700% sul 2017, ha lanciato il proprio sistema di pagamento digitale, sxc pay. E non potrebbe essere che così visto che, secondo l’ Osservatorio del Politecnico di Milano sul mobile payment, si tratta di un mercato che oggi vale 46 miliardi di euro, ovvero il 21% dei pagamenti digitali “old style” (con carta), ma si stima che nel 2020 il valore sarà più che raddoppiato, visto che raggiungerà quota 100 miliardi. E solo per rimanere in Italia nel  2020 il transato delle nuove forme di pagamento digitale, potrebbe valere dai 3,2 ai 6,5 miliardi di euro. Secondo gli esperti comunque il 2019 sarà l’ anno della svolta per il fintech, con il sempre più crescente utilizzo della intelligenza artificiale nel settore che dovrebbe oltremodo rivoluzionare il mondo della finanza e dei pagamenti sul web.


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giovedì 10 gennaio 2019

Accordo tra popolari e vox in Andalusia

Dopo giorni di serrate trattative nella tarda serata di ieri e’ arrivato la firma di un accordo fra Partito Popolare e  Vox, per eleggere un presidente in Andalusia, che dovrebbe essere, salvo clamorosi colpi di scena, il candidato popolare, Juan Manuel Moreno Bonilla. Dopo che infatti il 26 Dicembre scorso, i popolari e Ciudadanos avevano stilato un accordo programmatico per formare un governo, ora questo nuovo fatto mette il partito socialista fuori dai giochi definitivamente. Il patto fra il partito popolare di Pablo Casado e la formazione di destra di Abiscal, infatti, garantisce grazie anche ai voti di Ciudadanos, 59 deputati, quattro poi della maggioranza assoluta. La firma sull’ accordo programmatico è avvenuta, infatti, a Siviglia fra Il segretario regionale dei popolari Teodoro Garcia Egea è quello di Vox Javier Ortega Smith, dopo quasi sei ore di serrata trattativa. Il documento che si basa su 37 punti programmatici  rappresenta la quasi totale accettazione da parte dei popolari di quelle che erano le linee programmatiche della formazione di Abiscal, vera sorpresa delle passate elezioni nella regione. Secondo alcuni analisti questo accordo, che rappresenta un chiaro successo della destra di Vox, potrebbe essere un precedente per un qualche possibile accordo futuro, anche a livello nazionale. Nell’ accordo firmato infatti sono previste alcune iniziative che inevitabilmente potrebbero avere un impatto a livello nazionale. Primo fra tutti la decisione di espellere il più presto possibile ben 52000 immigrati irregolari. Una iniziativa, che chiaramente sbatte contro la politica della accoglienza portata avanti dal premier spagnolo Sanchez in questi ultimi mesi di governo. Ma oltre alla politica sulla immigrazione, cavallo di battaglia di Vox, il futuro governo andaluso dovrà  anche pensare a politiche fiscali meno opprimenti, come per esempio la eliminazione della tassa di successione  una radicale riforma del diritto familiare e un miglioramento della sanità, con un chiaro intento di “ combattere il così detto turismo sanitario”, ma anche proposte per migliorare il problema della precarietà e della disoccupazione della Andalusia. Sicuramente questo importante accordo rappresenta una svolta che estromette per la prima volta, dopo 36 anni, i socialisti dal governo, ma rappresenta anche una chiara vittoria della formazione di destra di Santiago Abiscal, che ha praticamente ottenuto quasi tutto quello che era nel suo programma elettorale. I popolari da parte loro che già avevano fatto una accordo con Ciudadanos di Alberto Rivera, rivendicano di aver ottenuto molto e di essere pronti a governare finalmente una regione, che soffre da “ troppo tempo una crisi dovuta alle assurde politiche dei socialisti”. Duro il comunicato della Moncloa che ha accusato Pp e Ciudadanos di essersi “ radicalizzati sulle posizioni della destra estrema in una deriva verso il sessismo e la xenofobia”. Ma certo è che questo per il premier spagnolo rappresenta  l’ ennesimo duro colpo nella sua breve ma già molto tormentata legislatura. La perdita della Andalusia, infatti, provocherà sicuramente molti malumori all’ interno  del partito socialista, dove la fronda contro il premier potrebbe allargarsi ulteriormente. Secondo gli ultimi sondaggi, infatti, malgrado i socialisti siano dati in testa nei sondaggi, con circa il 28%dei voti, la fiducia in Sanchez continua a calare. E’ facile perciò prevedere che anche in Spagna, come in Italia e in Francia, le elezioni europee di Maggio, saranno un passaggio fondamentale per capire quale potrà essere il futuro del governo nazionale.



martedì 8 gennaio 2019

La crisi di Apple dipende dalla Cina..?



Apple a rischio? Secondo gli analisti di Goldman Sachs(non proprio gli ultimi arrivati) la situazione potrebbe avere effetti catastrofici, preconizzando per il colosso di Cupertino un destino simile a quello del suo grande ex rivale Nokia, sic transit gloria mundi, sarebbe il caso di dire. “Vediamo il potenziale per una ulteriore revisione delle stime per l'anno fiscale 2019», spiega la banca d'affari, precisando che un ulteriore taglio dipenderà dall'andamento della domanda in Cina agli inizi dell'anno.
«Abbiamo messo in guardia sulla domanda cinese dalla fine di settembre e il taglio di Apple conferma» l'avvertimento: «Non ci attendiamo che la situazione migliorerà in marzo e restiamo cauti». Apple come Nokia - osserva Goldman Sachs - dipende dalla decisione dei consumatori di acquistare gli ultimi modelli dei dispositivi a disposizione: più l'economia rallenta, più la velocità dei consumatori di aggiornare i loro dispositivi rallenta.
Quello che sicuramente sta pesando sull’azienda americana, infatti, sembra essere sopratutto determinato dalla difficoltà a reggere la concorrenza degli agguerriti concorrenti cinesi, come Huawei ( secondo produttore al mondo dopo Samsung ) Xiaomi, Vivo e Oppo. Il mercato degli smartphone infatti sta calando anche in Cina, dove la Apple fatica a tenere il passo dei concorrenti, che offrono device sempre più tecnologici e di design ad un prezzo di molto inferiore ai classici melafonini. Ecco perché la politica dei dazi da parte di Trump verso la Cina, ha sicuramente aggiunto grandi motivi di preoccupazione nei piani alti della Apple.
I big della tecnologia americani hanno più volte fatto appello a Trump perché riveda le sue politiche commerciali. Dopo la nuova ondata di dazi entrata in vigore ad agosto, che colpisce beni importati dalla Cina per un valore di circa 200 miliardi di dollari, il ceo di Apple, Tim Cook, aveva più volte chiesto alla Casa Bianca di fare marcia indietro. Cook aveva sottolineato che i dazi, facendo salire i prezzi dei prodotti americani assemblati in Cina, metterà le aziende Usa in posizione di svantaggio rispetto alle aziende rivali. Inoltre secondo molti esperti, malgrado i pochi dati ufficiali raccontino un paese in costante crescita economica, nel paese del dragone i consumi interni sono in calo e per la prima volta da un decennio sono in calo anche i beni di lusso.
Certo la crisi dei telefonini non è solo in Cina e non è solo questione di Apple. Nel terzo trimestre del 2018, Samsung, infatti, ha registrato il suo più grande calo degli ultimi otto anni, secondo quanto afferma Gartner, la più importante agenzia di consulenza e ricerca nella IT. Le vendite di smartphone Samsung sono diminuite del 14% nel terzo trimestre. I Samsung Galaxy S9, S9+ e Note 9 hanno faticato a rivitalizzare la domanda nel 2018. Inoltre, i rinnovati smartphone mid ed entry-level hanno continuato a subire la concorrenza dei principali marchi cinesi.
Huawei anche grazie alla sua sottomarca più economica, Honor, ha infatti mostrato ancora il segno più. Mentre sono addirittura da record i numeri di Xiomi, l' ultimo arrivato fra I produttori cinesi,che registra un tasso di crescita nelle vendite del 32% nel penultimo trimestre dell’ anno. La Apple lamenta nel terzo trimestre una riduzione che va dal 7 al 8% di vendite di telefoni in Cina, proprio a scapito dei produttori locali. Lo stesso amministratore delegato Cook, ha ammesso, che malgrado il record di vendite natalizie, il mercato cinese e’ in calo anche perché “il contesto economico in Cina è stato ulteriormente colpito dalle crescenti tensioni commerciali con gli Stati Uniti“.
Questa è stata una affermazione che ha molto spaventato i mercati, perché ad aprile per commentare i non esaltanti dati del primo trimestre fiscale,l’amministratore delegato aveva citato a giustificazione il rallentamento di tre mercati emergenti, cioè Brasile, India e Russia. Specificando, però, che la Cina non rientrava tra le sue preoccupazioni. Ora invece è stato costretto ad ammettere l’errore di valutazione, scrivendo in una nota rivolta agli investitori che “ci aspettavamo alcune sfide in mercati emergenti chiave, ma non avevamo previsto l’entità del rallentamento dell’economia, specialmente nella Grande Cina”.
Se poi a questo, si unisce il fatto che meno persone del previsto hanno abbandonato il loro vecchio smartphone per passare ai modelli più recenti, il quadro diventa ancora più grigio. Molti sostengono che su questo influisce sicuramente anche il prezzo dell’iPhone, considerato ormai troppo alto e non giustificato dalle performance dell’ oggetto stesso. Secondo quanto ha scritto Toni Sacconaghi, senior analist di Bernstein Research Apple “sembrerebbe aver perso quote significative in Cina anche nel quarto trimestre, nonostante i nuovi lanci di prodotto. Non è la prima volta che Apple incontra problemi in Cina: questo evidenzia la volubilità dei consumatori cinesi”.
Ecco allora che la nuova promessa apertura del dialogo fra Washington e Pechino e sopratutto un esito positivo dello stesso, se può essere molto importante per tutte le grandi aziende esportatrici americane, potrebbe essere fondamentale per la società di Cupertino.

giovedì 3 gennaio 2019

Le affinità elettive



La grande affermazione di Vox in Andalusia domenica scorsa con la conseguente grande sconfitta dei socialisti e del loro premer Sánchez, pone di fronte interpretazioni che sono molto simili anche se forse contrapposte alla parabola di Renzi in Italia. La prima ovvia analogia che troviamo fra il professore di economia spagnolo e Renzi è sicuramente quella che ambedue sono arrivati al governo del paese senza passare dal voto popolare, ma solo grazie a circostanze fortuite. Sanchez, infatti, la cui carriera politica è costellata da sconfitte elettorali e ripescaggi, è arrivato a diventare leader dei socialisti, grazie al voto delle primarie, malgrado avesse tutta la nomenclatura del partito contro. Stesso discorso si può fare per Renzi, osteggiato dai grandi vecchi del partito, che lui voleva “rottamare”, anche se lui partiva dal ruolo di sindaco e non da quello di semplice consigliere di Madrid come lo spagnolo. Ambedue hanno perciò preso il governo del paese solo perché erano al posto giusto al momento giusto, anche se Renzi ha fatto cadere un governo “amico”, mentre almeno lo spagnolo ha approfittato della debacle del suo avversario politico Rajoy. Ambedue hanno subito una sconfitta alle elezioni molto pesante, la cui colpa è ricaduta quasi totalmente sulle loro spalle. Uno si è dimesso, il secondo sta seriamente pensando di farlo. Ambedue sono stato incolpati di essere uno,Renzi, troppo poco di sinistra e lo spagnolo invece troppo legato alla sinistra estrema. Ambedue hanno dovuto confrontarsi con sentimenti antitetici all interno del loro stesso partito, c’è chi li ama e c’è chi non li sopporta. Ambedue hanno cercato subito una sponda sicura nella Merkel, anche a danno del proprio consenso in patria ,visto come la premier tedesca sia vista come il vero leader di una politica europea che non piace a nessuno. Tutti e due poi anche a causa di ciò hanno pagato la loro politica verso l ‘ immigrazione, considerata troppo morbida dalla maggioranza dei propri cittadini. Il conflitto interno è sicuramente la caratteristica che ha inseguito il loro percorso politico , forse proprio perché senza la forza del passaggio elettorale, sono visti alla stregua di usurpatori, non appena le cose non vanno per il verso giusto. Per questo motivo tutti e due hanno perso velocemente il consenso che all’ inizio avevano acquisito. La parabola discendente di questi due uomini della sinistra così diversi negli atteggiamenti, ma allo stesso tempo così simili nel loro percorso politico, rappresenta forse meglio di tante colte dissertazioni, la crisi profonda in cui versa la sinistra in tutta Europa. Se infatti due personalità così differenti nella personalità e nel modo di intendere il potere, che hanno interpretato la sinistra in maniera quasi opposta, vengono severamente puniti alle elezioni, vuol veramente dire che la crisi di identità della sinistra è davvero profonda. Le prossime elezioni europee saranno un crocevia fondamentale per certificare o meno questo fatto. La destra parte sicuramente da in posizione di vantaggio, dopo le ultime tornate elettorali, che hanno dimostrato come il consenso per loro sia crescente in tutti i paesi dell’ Unione. Inoltre essi possono vantare un possibile leader, proprio nel nostro Salvini, che sembra molto più carismatico e preparato di altri per guidare questo cambiamento. Dall’ altra parte dello schieramento invece appare una accozzaglia di partiti, i cui esponenti di spicco devono affrontare pesanti crisi di consenso in patria quindi senza avere la capacità di poter certo assumere un ruolo di rilievo in Europa, ma sopratutto senza una identità precisa, che in politica si sa è difetto che quasi sempre gli elettori mal digeriscono.

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