L'industria farmaceutica italiana, anche
se in leggera flessione nell'ultimo trimestre, è comunque il settore
con la più alta crescita dal 2007 al 2017 della produzione (+24% vs
-18% della media manifatturiera) dell’export (+107% vs +23% della
media), che ha determinato il 100% della crescita negli ultimi due
anni è il settore che ha aumentato di più l’occupazione (+4,5% vs
+1,5% della media manifatturiera); dal 2013 4 mila addetti in più,
soprattutto in produzione e ricerca, è il 3° settore per
investimenti in R&S (7% del totale in Italia) e con il valore più
alto per investimenti in R&S sul valore aggiunto (16%) è tra i
settori più green: negli ultimi 10 anni sono molto diminuiti sia i
consumi energetici (-69% vs -18% della media manifatturiera) sia le
emissioni di gas climalteranti (-66% vs -19%), il 90% delle imprese
sta adottando l’innovazione 4.0 nella produzione nel confronto con
l’UE, l’Italia è il primo Paese per produzione di medicinali
(31,2 miliardi) ¾ con la più alta crescita dell’export (dal 2007
a al 2017 +107% rispetto a +74%), con la più alta crescita degli
investimenti in R&S (dal 2012 +22% vs 16%). Le imprese a capitale
italiano si caratterizzano per un fatturato realizzato all’estero
pari al 70% del totale, in notevole crescita e significativamente più
elevato rispetto alla media manifatturiera. Vendite estere più che
raddoppiate negli ultimi 10 anni (da 3,1 miliardi nel 2007 a 7,3 nel
2017), non in un’ottica di delocalizzazione ma di presidio di nuovi
mercati, che ha consentito di rafforzare la presenza in Italia delle
attività di R&S e produzione. L’Italia del farmaco gode
insomma di ottima salute e si dimostra come uno dei settori trainanti
della crescita del paese: «Siamo i primi in Europa per produzione
farmaceutica, grazie al traino dell’export. Un successo — ha
detto alla recente assise di Farmindustria il presidente
Scaccabarozzi — che dimostra la qualità del nostro sistema Paese.
E che ha ricadute importanti: più occupazione, investimenti,
sinergie con indotto e Università, sviluppo degli studi clinici che
fanno crescere la qualità delle cure e portano al Servizio Sanitario
impor-tanti risorse». Nella classifica per export dei 119 settori
dell’economia in Italia, nel 1991 i medicinali erano al
cinquantasettesimo posto, oggi sono al quarto. Le imprese del
farmaco, per di più, avanza-no anche sul fronte occupazionale: gli
addetti nel 2017 hanno raggiunto quota 65.400 (93% a tempo
indeterminato), 1.000 in più rispetto al 2016. E nell’ultimo
triennio le assunzioni sono state 6.000 ogni anno. Fiore
all’occhiello del settore è poi l’occupazione giovanile: secondo
i dati Inps, dal 2014 al 2016 gli addetti under 35 sono aumentati del
10%, rispetto al + 3% del totale dell’economia. E tante sono le
donne occupate, pari al 42% del totale. Un quadro positivo confermato
anche dalla crescita degli in-vestimenti: nel 2017 le imprese hanno
investito 2,8 miliardi (1,5 in ricerca e 1,3 in impianti produttivi).
Così il settore del farmaco è terzo
in Italia tra i settori manifatturieri per investimenti in Ricerca e
sviluppo, cresciuti del 22% negli ultimi 5 anni. Di più della media
degli altri Paesi europei (16%). Ma non si tratta solo di numeri ed
economia. La ricerca ha portato infatti alla nascita di nuovi farmaci
e terapie, con un risultato concreto: dal 1978 a oggi gli italiani
hanno guadagnato dieci anni di vita. In questo quadro cosi positivo
però come dicono da Farmaindustria incombe il problema del payback.
Come è noto, il cosiddetto pay back identifica la particolare
procedura introdotta con l'art. 15 del citato DL n. 95/2012, per
effetto della quale le aziende del comparto farmaceutico sono
chiamate a ripianare parzialmente – in misura pari al 50% -
l'eccedenza della spesa farmaceutica ospedaliera, allorché sia
superato il suo tetto stabilito per legge. Più precisamente, nel
caso in cui venga accertato dall' Aifa uno sforamento della soglia,
il comma 8, dell'art. 15 richiamato prevede che il ripiano sia
effettuato dalle imprese mediante versamenti disposti direttamente a
favore delle Regioni e delle Province autonome. Tali somme sono
calcolate sui prezzi dei farmaci al lordo dell'Iva. Un meccanismo
insomma piuttosto complicato e anche per certi versi perverso, che ha
determinato anche diversi contenziosi fra Governo e industria
farmaceutica che è costretta a coprire gli eccessi di vendita, a
accusa anche degli eccessivi utilizzi che vengono fatti dei farmaci
nella sanità pubblica. E i conti, infatti, non tornano. Tra il
payback 2013-2015 e il payback 2016 risultano non incassati 789
milioni di euro che di fatto rendono insostenibile l’equilibrio
economico, con la conseguenza che molte regioni rischiano il piano di
rientro, tenendo anche conto del fatto che molte aziende
farmaceutiche, pur avendo pagato, hanno comunque fatto ricorso.
Sul fronte opposto, l'industria difende le sue ragioni. «Io so che
le imprese del farmaco - spiega sempre il presidente di
Farmindustria Massimo Scaccabarozzi- hanno pagato un miliardo e mezzo
tra tutti i payback. Non credo che sia colpa delle imprese se questi
soldi non sono arrivati, perché noi li abbiamo pagati. Non è tutto
quello che si aspettavano, ma perché probabilmente i numeri non
erano corretti. Ci sono 880 milioni già pagati per il 2013-15 che
restano nelle mani dello Stato. E ci sono altri 580 milioni di euro
del 2016 già arrivati alle regioni e già ripartiti. Quindi non si
può dire che le industrie non hanno pagato. Io credo che
l'atteggiamento giusto delle imprese sia quello di pagare tutto il
dovuto , ma non un centesimo in più. Insomma un miliardo e mezzo
sono usciti dalle nostre casse. Ed è ora di parlare di sostenibilità
anche per le industrie».
La manovra del governo del cambiamento introduce finalmente dal 2019
una nuova disciplina per il monitoraggio del rispetto dei tetti di
spesa farmaceutica per acquisti diretti, vale a dire la spesa
farmaceutica ospedaliera, ed il corrispondente ripiano (payback) in
caso di sfondamento da parte delle aziende farmaceutiche, con la
finalità di superarne il meccanismo di determinazione calcolato sul
budget assegnato alle medesime aziende (cd. budget company) con il
più metodo – ritenuto “più appropriato” – delle quote di
mercato di ciascuna azienda (commi 574-583). Sperando che questo
possa essere il primo passo per dirimere una questione per un
comparto che sta diventando sempre piu fondamentale per l'economia
nostrana.
vcaccioppoli@gmail.com
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