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lunedì 28 ottobre 2019
DOPO IL VOTO IN UMBRIA NIENTE SARÀ PIÙ COME PRIMA
Dopo il trionfo del centrodestra nella regione più a sinistra d’Italia, niente potrà essere come prima sia a destra ma soprattutto a sinistra. Il governo quasi sicuramente reggerà l’urto della disfatta. Anche se molto indebolito, infatti, dovrà andare avanti per inerzia, perché altro non possono fare né il PD né tantomeno il movimento 5 stelle che sembra ormai diretto verso un declino irreversibile. Troppe incoerenze, troppe abiure, troppe indecisioni, troppe commistioni con il potere e i palazzi che volevano aprire come una scatoletta di tonno mentre la storia ha dimostrato che i tonni erano loro lo hanno reso a tutti gli effetti un partito senza capo né coda. E la colpa di tutto ciò non può che ricadere sul leader Di Maio, e sul suo mentore Beppe Grillo, che sembrano ambedue sempre più inadeguati al ruolo che gli compete. La resa dei conti e’ già iniziata da tempo all'interno del movimento anche se adesso rischiano di rimanere solo le macerie. Per il PD il discorso è sicuramente diverso, il partito da tempo vive una crisi di identità che paradossalmente la scissione dei Renziani ha forse contribuito un po a rischiarare. Ma prima lo stratega Renzi ha voluto regalare al suo ex partito la polpetta avvelenata della alleanza di governo con i 5 stelle, che inevitabilmente non poteva che disorientare i propri elettori. In questo modo ha ottenuto il risultato di passare per il salvatore delle patria, e allo stesso tempo ha delegittimato un grigio Zingaretti, che non a caso non ha mai guardato di buon occhio l'alleanza con il movimento, ma da leader senza carisma e senza forza quale è non è stato in grado di far sentire il suo peso e dire di no. Adesso anche lui finirà sul banco degli imputati, proprio perché seguendo soprattutto Franceschini, forse il vero segretario in pectore del partito, ha voluto provare la rabberciata alleanza di governo anche per le elezioni regionali. Il risultato è una condanna pure per lui. Un leader è da sempre colui detta la linea e non segue lo spartito preparato da altri. Infine Conte, altro grande sconfitto di questa elezione, perché proprio lui forse per eccesso di fiducia in sé stesso o per mania di protagonismo o per un pizzico di megalomania che pare averlo ammantato dal suo attacco a Salvini in Senato, ha voluto mettere il cappello del governo sul Umbria. Ed ora se ne deve assumere gli oneri. Non è un caso se Renzi animale politico certamente più navigato del premier, in Umbria non si sia nemmeno fatto vedere. Insomma l'entità della sconfitta non può che avere ricadute pesanti proprio su Conte già indebolito dallo scandalo sul Russiagate. Ma anche a destra nulla potrà più essere come prima, al di là dello strapotere di Salvini e della Lega, sempre più forti, alla faccia di chi già dava per spacciato ad Agosto il leader leghista.Salvini ha dimostrato di essere più vivo che mai, sia nel partito che nel paese, la sua parabola è ancora all'apice, malgrado il presunto autogol di Agosto Detto questo però non si può negare che ancora una volta chi ha stupito ed esce vero vincitrice è sicuramente Giorgia Meloni, che e la sua Fdi, con più del 10% dei consensi è il solo partito che cresce in Umbria. Il traguardo di terzo partito a livello nazionale sembra sempre più alla portata della terribile ragazza della Garbatella che qualcuno dalle colonne di Repubblica ha voluto sminuire definendola “coatta”, non offendendo tanto lei che ha le spalle larghe, ma i suoi tanti elettori, che si può ben dire abbiano abbondantemente superato i lettori di Repubblica. E questo trionfo fa ancora più impressione perché raggiunto senza praticamente togliere voti alla Lega ma probabilmente sottraendone più al movimento 5s e allo stesso PD. La Meloni ormai rappresenta forse la più bella sorpresa della politica italiana degli ultimi venti anni. E come per Salvini pare che le critiche e gli attacchi siano indirettamente proporzionali ai consensi che ottiene. Ne vedremo delle belle da qui al 26 Gennaio,quando probabilmente ci sarà la madre di tutte le elezioni in un latta regione storicamente rossa come l ‘Emilia Romagna
venerdì 18 ottobre 2019
PARTITE IVA I SOLITI TARTASSATI
Tutte le principali misure sulle partite Iva contenute decreto legge fiscale collegato al Ddl di Bilancio (ieri esaminato in via preliminare dal Consiglio dei ministri): “Una doccia fredda per l’esercito delle partite Iva in nome di un cambio di rotta all’insegna della lotta all’evasione”, ha commentato il Sole 24 Ore.
Addio alla seconda parte della flat tax: il regime con tassazione al 20% per le partite Iva con ricavi o compensi da 65.001 a 100mila euro che sarebbe dovuto partire dal 1° gennaio 2020.
Addio al forfait per circa 2 milioni di partite Iva che nel 2019 con ricavi o compensi fino a 65mila euro hanno sfruttato la flat tax al 15 per cento.
Introduzione del regime analitico per chi ha scelto la flat tax al 15 per cento (contrario di quanto accade oggi che con il forfait imprese e professionisti semplificano tutto).
Obbligo del conto corrente dedicato ai flussi finanziari dell’attività imprenditoriale o professionale svolta anche per le partite Iva nel forfettario. Insomma come al solito, occorre dirlo, le partite iva vengono trattate come figli di un dio minore. Da sempre accusati di essere evasori incalliti e per questo guardati con sospetto dalla elatre categorie sociali, devono al solito pagare il conto più salato anche questa volta. Tutto quello di buono che aveva fatto la Lega viene smontato lì dove evidentemente è più facile farlo. Non viene toccata quota 100 e nemmeno il tanto vituperato reddito di citaddinanza, cavallo di battaglia del movimento 5 stelle. Ma sulle partite iva invece si cambia quasi tutto quello che era stato fatto dal precedente governo. Ora arriva un primo timido interevnto tardivo di Di Maio, che forse più per scopi elettorali e di propaganda, che per convinzione personale, alza la voce chiedendo maggiori tutele per i piccoli commercianti e i professionisti, che già devono combattere con un sistema bruocratico e fiscale che certo non li favorisce. Eppure da sempre si dice che le partite iva, fatte da artigiani, professionisti, e piccoli imprenditori sono il motore della crescita del paese. Ma se si soffoca questo motore poi non ci si può poi lamentare del fatto che il paese non cresca più da decenni. Nulla è mai stato fatto per agevolare quella che rappresenta un grande fetta del mondo lavorativo del nostro paese. Secondo i dati del minsitero delle finanze, gli autonomi nel nostro paese, infatti, sono il 23,2% degli occupati ( 5,3 milioni ), ben sopra alla media europea che si attesta intorno al 15%. Nel 2018 le nuove aperture di partita iva sono state sostanzialmente pari a quelle delle chiusure, anche se si registra un notevoile aumento sia degli over 50 che dei giovani under 25, segno tangibile che la partita iva spesso è vista come unica alternativa alla disocupazione. Ma evidentemente questi dati sono buoni solo per stanare presunti evasori o per cercare di trovare facili coperture ai buchi di bilancio «E ora che il governo intende recuperare 7 miliardi di evasione fiscale in un anno, temiamo che si andrà a colpire non tanto i veri grandi evasori – che possono contare su un esercito di preparatissimi avvocati capaci di contestare punto per punto ogni accertamento – quanto i soliti liberi professionisti, commercianti e piccoli artigiani, spesso non in grado di difendersi adeguatamente anche alla luce dell’inversione dell’onere della prova». Ha giustamente detto, qualche giorno fa Francesco Lollobrigida, capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera, uno dei pochi partiti insieme alla Lega, che non criminalizza le partite Iva. Un paese normale dovrebbe cercare di infatti di salvaguardare chi con enorme fatica, dopo aver sbrigato le centinaia di adempimenti burocratici e fiscali a cui lo Stato lo costringe, dovrebbe riuscire a portare la pagnotta a casa. Invece sulla categoria da sempre esiste una pubblicistica, alimentata da giornali, organi di informazione, partiti e rappresentaze sindacali e da apparati dello Stato per creare una sorta di lotta fraticidia fra dipendenti e autonomi, dove secondo una retorica ormai stantia si aniderebbe la gran parte degli evasori. Non vogliamo con questo negare che fra piccoli artigiani e professionisti non ci siano evasori, in alcuni casi anche totali, ma occorre dire che inanziatutto è assolutamente scorretto fare di ogni erba un fascio e poi come spesso detto da molti esperti e come accade, già da tempo in altri paesi europei, per eliminare quella fetta di piccoli lavori svolti da professionisti in nero in cambio dello “sconto”, sarebbe sufficiente rendere detraibili queste spese per creare un ciclo virtuoso che avrebbe effetti positivi sulle tasche degli italianin e su quelle dell'erario. Senza contare poi la assoluta necessita di rendere piu snella la macchina burocratica statale che porta via tempo e risorse. Ma poi è vero che gli autonomi pagano poche tasse o meno tasse rispetto ad altre categorie? Secondo i dati del centro studi della Cgia di Mestre, l'associazione degli artigiani, sembrerebbe proprio di no. Recentemente infatti gli esperti della Cgia di Mestre hanno elaborato un'analisi dell'imposizione fiscale che promette di far discutere e non poco il mondo politico e le varie categorie interessate. Avrebbe, infatti, calcolato che i lavoratori autonomi pagherebbero, sia in percentuale che in valore assoluto, un importo maggiore di Irpef rispetto ai lavoratori dipendenti e ai pensionati. Questa, infatti, è l'imposta sulle persone fisiche ed è dovuta, indistintamente, sia da lavoratori dipendenti, pubblici e privati, che dai pensionati che, ovviamente, dai lavoratori autonomi. Solo nel 2017, ultimo anno per il quale sono disponibili dei dati, l'Irpef ha rappresentato circa il 32,8 % delle entrate tributarie totali dello Stato italiano. 4 mila e 700 euro all'anno a testa all'Erario di Irpef, contro una media di 4000 dei dipendenti. Senza contare ppi tutti gli altri vari balzelli da versare durante l'anno. Insomma forse è giunto il momento di lasciare da parte la propaganda e i personalismi e pensare ad una politica economica e fiscale piu equa e redistributiva per tutti, nessuno escluso.
vcaccioppoli@gmail.com
sabato 12 ottobre 2019
UNA VERA POLITICA PER LA SOSTENIBILITA
Analizzando i contenuti del recente decreto clima partorito dal governo, apprezzando il tentativo di cominciare a mettere mano ad una questione che non pare più procrastinabile, sono molti gli interrogativi sulla sua efficacia e sulle misure approvate.
Nel nostro paese ormai da anni, al contrario che in altri paesi, è assente da anni un vero partito “verde”, che non è mai riuscito a conquistare una percentuale di voti apprezzabile, mentre in Germania o in altri paesi del nord Europa, la componente verde rappresenta ormai una forza stabile all’interno delle compagini parlamentari e spesso diventa ago della bilancia per la formazione dei governi. Questo particolare dovrebbe farci riflettere su quanto poco spazio abbia occupato la politica ambientale nella agenda politica del nostro paese. Nella Legge di Bilancio 2019 manca una visione integrata di quel cambiamento verso lo sviluppo sostenibile definito dall’Agenda 2030 delle Nazioni Unite e sostenuto da oltre l’80% degli italiani, soprattutto dai giovani e dai più informati. È questa la cruda valutazione che emerge dall’esame dei singoli commi della Legge di Bilancio alla luce dei 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile (Sustainable Development Goals – SDGs) previsti dall’Agenda 2030, contenuto nel documento “La Legge di Bilancio 2019 e lo sviluppo sostenibile” predisposto dall’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile (ASviS). Secondo il rapporto dell Asvis recentemente presentato di fronte al presidente della repubblica, Sono, infatti, evidenti, i ritardi in settori cruciali per la transizione verso un modello che sia sostenibile sul piano economico, sociale e ambientale, e fortissime restano le disuguaglianze, comprese quelle territoriali. L’Italia resta, quindi, lontana dal sentiero tracciato nel 2015, quando si è impegnata ad attuare l’Agenda 2030 e gli accordi di Parigi. Storicamente, sono stati i Paesi scandinavi i primi a interessarsi alle questioni green e alla sostenibilità ambientale. ( non è un caso se la celebre giovane attivista Greta Thumberg sia svedese). Nel 1972, a Stoccolma in Svezia, si è tenuta la Conferenza delle Nazioni Unite sull'Ambiente Umano: al centro dell’evento c’erano i temi della salvaguardia dell’ambiente, dei diritti dell’uomo in merito alla qualità della sua vita e alla necessità di vivere in un ambiente il più possibile sano. I 113 Paesi che hanno preso parte alla Conferenza hanno poi stilato la Dichiarazione di Stoccolma, una sorta di piano d’azione in 26 punti per “ispirare e guidare i popoli del mondo verso una conservazione e miglioramento dell’ambiente umano. Poi è stata la volta della conferenza di Rio de Janeiro nel 2012, Parigi nel 2015. ll 25 settembre 2015, le Nazioni Unite hanno approvato l'Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile e i relativi 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile (Sustainable Development Goals – SDGs nell'acronimo inglese), articolati in 169 Target da raggiungere entro il 2030. Fino ad ora tutto molto bello, ma per la maggior parte rimasto solo sulla carta, proprio per la incapacità dei governi di mettere mano ad una seria politica ambientale condivisa. Nel nostro paese a fronte di una quasi totale assenza di politiche ambientali da anni, si contrappongano invece eccellenze private, come per esempio Gucci, Erg, Ferrero, Aboca, Intesa o Chiesi farmaceutici per citare solo le più note, molto attente ad uno sviluppo sostenibile, e in alcuni casi ( come Aboca e Chiesi) da poco diventate società benefit, ossia aziende sostenibili per statuto. Perchè se è vero come affermato ad un recente incontro sulla sostenibilità, da Massimo Mercati, amministratore delegato di Aboca “ Il capitalismo che ha come unico obiettivo il profitto è ormai morto” è altresì vero che per cambiare il modello di sviluppo, occorre l’intervento delle istituzioni e di una politica che possa favorire e guidare il processo verso una economia più sostenibile. Non si può, infatti, lasciare tutto il peso della “rimodulazione” ( termine divenuto molto di moda di questi tempi) dei processi produttivi verso la sostenibilità ambientale, sulle sole spalle degli imprenditori e dei cittadini. Occorre una politica lungimirante di investimenti e di politiche atte a favorire una simile transazione. Per una volta il nostro particolare tessuto industriale, fatto per lo più di piccole e piccolissime aziende molte legate per questo al territorio in cui operano, potrebbe rappresentare un vantaggio. Come detto molte piccole e medie aziende stanno già compiendo passi in tal senso ( anche con politiche di riqualificazione ambientali sul territorio). Ma tutto ciò andrebbe inserito in un quadro generale di politica dell’ambiente ad hoc, per esempio promuovendo una nuova economia nelle città e nei territori, nelle forme dello sharing mobility e del rafforzamento del trasporto pubblico, introducendo nella fiscalità obiettivi ambientali, prevedendo un sostegno allo sviluppo delle fonti rinnovabili eliminando i sussidi alle fossili. Ma con una ottica a più lungo respiro si dovrebbe anche mettere in cantiere interventi di riqualificazione del patrimonio edilizio e di messa in sicurezza del territorio, considerando i fenomeni atmosferici sempre più devastanti e definiscano nuove regole di tassazione più trasparenti e chiare per cave, acque minerali, rifiuti. E’ poi necessario promuovere lo sviluppo dell’economia circolare pensando ad un piano di industria 5.0 che aiuti a far decollare su tutto il territorio questo nuovo modello di sviluppo economico. Tutte iniziative che oltre ad essere benefiche per l’ambiente e la vivibilità, sono un motore di sviluppo economico e creazione di migliaia di nuovi posti di lavoro Ecco che allora alla luce di tutto ciò, il recente decreto sul clima appare, per ora, una semplice foglia di fico
mercoledì 2 ottobre 2019
SOCIETA BENEFIT: NASCE ASSOCIAZIONE
Il cambio climatico è questione che occupa da giorni le prime pagine
dei giornali. La rivolta partita dalla ragazza Greta Thumberg sembra
aver almeno scosso un poco le coscienze su quello che sta diventando,
a detta degli scienziati, un problema a cui porre rimedio al più
presto. La necessità di fare qualcosa per l’ambiente sta
diventando prioritaria come non mai anche nell’agenda politica dei
principali paesi mondiali, compreso quello italiano. Il neo ministro
dell’economia Gualtieri ha parlato in occasione della sua riunione
europea con i omologhi dell’unione della volontà di ottenere
flessibilità per investire nello sviluppo sostenibile e
nell’economia verde. Conte ha parlato nel suo discorso sulla
fiducia proprio della necessità di cerare un ecosistema produttivo
sostenibile. Tutto sembra insomma convergere verso uno sviluppo
sostenibile e più attento alle tematiche dell’ambiente. Ma in
realtà fatti concreti nel nostro paese ne sono stati fatti ancora
pochi. Tutto rimane ancora in fase progettuale. Una delle ultime
leggi approvate in materia di ambiente e sostenibiltà forse è
quella che porta la firma dell’onorevole Mauro Del Barba del pd,
nel 2016 e che riguarda le società benefit. Società che per statuto
devono fare della sostenibilità e del rispetto dell’ambiente un
loro modus operandi, e non avere più come unico fine quello del
profitto fine a se stesso.
“
Ho scoperto le aziende benefit quando ero assessore al bilancio di
Morbegno nel 2005, quando me ne parlò il fondatore di “Nativa”
Eric Ezechieli, e ne sono rimasto folgorato. Appena eletto in
parlamento ho subito pensato a fare un emendamento che rigiuardasse
le aziende benefit e i casi della vita hanno permesso che lo stesso
passasse. E da quel momento il mio impegno è stato assoluto e
costante per cercare di promuovere presso le aziende e le istituzioni
l’importanza di diventare un azienda benefit, che vuol dire
ripensare il modo di fare impresa.” Dice l’onorevole raccontando
con entusiasmo quello che secondo lui potrebbe risolvere molti dei
problemi legati all’ambiente.
“
Dopo la legge ho passato il tempo a girare il paese, andando dalle
imprese dalle associazioni di categorie per sensibilizzarle sul tema.
Devo dire che il fatto che il sistema imprenditoriale italiano sia
formato da piccole imprese molto legate al proprio territorio
sicuramente ha agevolato il mio compito.” In effetti il nostro
paese è stato il primo paese, dopo gli Stati Uniti, ad adottare
questo tipo di aziende sostenibili, e ad oggi sono circa 300 le
aziende che hanno ottenuto la certificazione di aziende benefit, tra
cui Chiesi Farmaceutiche e Aboca. Ma secondo quello che sostiene Del
Barba siamo appena agli inizi. “ Adesso nel tema della
sostenibilità aziendale sta entrando prepotentemente anche la
finanza. E mi riferisco alla lettera inviata agli investitori dal ceo
di Balckrock, in cui sostiene che le aziende devono cambiare il loro
modello di business verso una maggiore sostenibilità ed attenzione
all’ambiente.” e se lo dice il ceo del più grande fondo di
investimento al mondo sicuramente il peso sepcifico che può avere
sulle imprese lo rende un tema di importanza rilevante. Intanto Del
Barba ha fondato la prima associazione per le aziende benefit, di cui
è presidente, per offrire un riferimento a quanti magari sono
interessati al tema ma hanno difficoltà, per diverse ragioni, ad
iniziare il processo per arrivare a diventare benefit.
“
Assobenefit lavora per aiutare e sostenere le imprese che sono già
benefit, ma anche per offrire un servizio di consulenza a chi vuole
capire come fare per diventarlo. E facciamo questo creando
partnership e collaborazioni con chi come le università può
concretamente fare formazione e creare tutte quelle figure che
servono, ad esempio, per valutare le metriche da seguire nel
processo.”
Ecco che in questo processo di supporto verso le
aziende che possono avviare le pratiche per diventare azienda
benefit, devono entrare anche le banche come finanziatori dei
progetti con politiche di agevolazioni e di prestiti agevolati verso
le stesse. “ Abbiamo gia chiuso un accordo con Intesa per concedere
prestiti a tasso agevolate proprio alle aziende che intendono
cominciare il percorso per diventare benefit. Qualcosa si sta
muovendo ci vorranno sicuramente anni, ma la sfida è sicuramente
stimolante.” Anche perché come dice lo stesso onorevole la
politica anche sull’ambiente non si dimostra in grado di anticipare
gli eventi, ma si limita a seguirli, come le tante riunioni che si
sono tenute a livello internazionali sul clima e sull’ambiente
hanno tristemente confermato. “Capiterà di sicuro che il tema
diventerà prioritario anche nell’agenda politica, forse non sarà
in questa legislatura, ma il tema comincia ad essere più sentito e
quindi dovrà essere per forza affrontato con un po' più di coraggio
anche dalla politica. Io sono fiducioso.” Intanto il prossimo
appuntamento della neonata assobenefit è già in agenda per il 29
Novembre a Firenze, dove appunto si parlerà di come cambiare
l'impresa per un nuovo modello di sviluppo economico sostenibile.