sabato 12 ottobre 2019

UNA VERA POLITICA PER LA SOSTENIBILITA

Analizzando i contenuti del recente decreto clima partorito dal governo, apprezzando il tentativo di cominciare a mettere mano ad una questione che non pare più procrastinabile, sono molti gli interrogativi sulla sua efficacia e sulle misure approvate.
Nel nostro paese ormai da anni, al contrario che in altri paesi, è assente da anni un vero partito “verde”, che non è mai riuscito a conquistare una percentuale di voti apprezzabile, mentre in Germania o in altri paesi del nord Europa, la componente verde rappresenta ormai una forza stabile all’interno delle compagini parlamentari e spesso diventa ago della bilancia per la formazione dei governi. Questo particolare dovrebbe farci riflettere su quanto poco spazio abbia occupato la politica ambientale nella agenda politica del nostro paese. Nella Legge di Bilancio 2019 manca una visione integrata di quel cambiamento verso lo sviluppo sostenibile definito dall’Agenda 2030 delle Nazioni Unite e sostenuto da oltre l’80% degli italiani, soprattutto dai giovani e dai più informati. È questa la cruda valutazione che emerge dall’esame dei singoli commi della Legge di Bilancio alla luce dei 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile (Sustainable Development Goals – SDGs) previsti dall’Agenda 2030, contenuto nel documento “La Legge di Bilancio 2019 e lo sviluppo sostenibile” predisposto dall’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile (ASviS). Secondo il rapporto dell Asvis recentemente presentato di fronte al presidente della repubblica, Sono, infatti, evidenti, i ritardi in settori cruciali per la transizione verso un modello che sia sostenibile sul piano economico, sociale e ambientale, e fortissime restano le disuguaglianze, comprese quelle territoriali. L’Italia resta, quindi, lontana dal sentiero tracciato nel 2015, quando si è impegnata ad attuare l’Agenda 2030 e gli accordi di Parigi. Storicamente, sono stati i Paesi scandinavi i primi a interessarsi alle questioni green e alla sostenibilità ambientale. ( non è un caso se la celebre giovane attivista Greta Thumberg sia svedese). Nel 1972, a Stoccolma in Svezia, si è tenuta la Conferenza delle Nazioni Unite sull'Ambiente Umano: al centro dell’evento c’erano i temi della salvaguardia dell’ambiente, dei diritti dell’uomo in merito alla qualità della sua vita e alla necessità di vivere in un ambiente il più possibile sano. I 113 Paesi che hanno preso parte alla Conferenza hanno poi stilato la Dichiarazione di Stoccolma, una sorta di piano d’azione in 26 punti per “ispirare e guidare i popoli del mondo verso una conservazione e miglioramento dell’ambiente umano. Poi è stata la volta della conferenza di Rio de Janeiro nel 2012, Parigi nel 2015. ll 25 settembre 2015, le Nazioni Unite hanno approvato l'Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile e i relativi 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile (Sustainable Development Goals – SDGs nell'acronimo inglese), articolati in 169 Target da raggiungere entro il 2030. Fino ad ora tutto molto bello, ma per la maggior parte rimasto solo sulla carta, proprio per la incapacità dei governi di mettere mano ad una seria politica ambientale condivisa. Nel nostro paese a fronte di una quasi totale assenza di politiche ambientali da anni, si contrappongano invece eccellenze private, come per esempio Gucci, Erg, Ferrero, Aboca, Intesa o Chiesi farmaceutici per citare solo le più note, molto attente ad uno sviluppo sostenibile, e in alcuni casi ( come Aboca e Chiesi) da poco diventate società benefit, ossia aziende sostenibili per statuto.  Perchè se è vero come affermato ad un recente incontro sulla sostenibilità, da Massimo Mercati, amministratore delegato di Aboca “ Il capitalismo che ha come unico obiettivo il profitto è ormai morto” è altresì vero che per cambiare il modello di sviluppo, occorre l’intervento delle istituzioni e di una politica che possa favorire e guidare il processo verso una economia più sostenibile. Non si può, infatti, lasciare tutto il peso della “rimodulazione” ( termine divenuto molto di moda di questi tempi) dei processi produttivi verso la sostenibilità ambientale, sulle sole spalle degli imprenditori e dei cittadini. Occorre una politica lungimirante di investimenti e di politiche atte a favorire una simile transazione. Per una volta il nostro particolare tessuto industriale, fatto per lo più di piccole e piccolissime aziende molte legate per questo al territorio in cui operano, potrebbe rappresentare un vantaggio. Come detto molte piccole e medie aziende stanno già compiendo passi in tal senso ( anche con politiche di riqualificazione ambientali sul territorio). Ma tutto ciò andrebbe inserito in un quadro generale di politica dell’ambiente ad hoc, per esempio promuovendo una nuova economia nelle città e nei territori, nelle forme dello sharing mobility e del rafforzamento del trasporto pubblico, introducendo nella fiscalità obiettivi ambientali, prevedendo un sostegno allo sviluppo delle fonti rinnovabili eliminando i sussidi alle fossili. Ma con una ottica a più lungo respiro si dovrebbe anche mettere in cantiere interventi di riqualificazione del patrimonio edilizio e di messa in sicurezza del territorio, considerando i fenomeni atmosferici sempre più devastanti e definiscano nuove regole di tassazione più trasparenti e chiare per cave, acque minerali, rifiuti. E’ poi necessario promuovere lo sviluppo dell’economia circolare pensando ad un piano di industria 5.0 che aiuti a far decollare su tutto il territorio questo nuovo modello di sviluppo economico. Tutte iniziative che oltre ad essere benefiche per l’ambiente e la vivibilità, sono un motore di sviluppo economico e creazione di migliaia di nuovi posti di lavoro Ecco che allora alla luce di tutto ciò, il recente decreto sul clima appare, per ora, una semplice foglia di fico

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