Con la triste questione dell’Ilva, che preoccupa giustamente anche
il Quirinale, si è forse definitivamente rotto il fragilissimo
equilibrio che teneva insieme una maggioranza di governo, nata più
che altro per frenare l’ascesa elettorale della Lega di Salvini ed
evitare una debacle al voto. Fatta questa premessa, molti
commentatori, analisti ed osservatori dovrebbero forse delle scuse
proprio al leader della Lega, accusato troppo in fretta di avere
fatto un autogol clamoroso, aprendo la crisi del governo gialloverde.
Tutto questo assurdo teatrino fra il Pd e i 5 stelle, intorno alla
gestione di una crisi ( senza dimenticare le tante giravolte su
plastic tax, auto aziendali e partite iva) che porterebbe un danno
enorme a tutta l’economia, gia fragile, del paese, dimostra appunto
due cose. La prima è che il movimento 5 stelle ha una vecchia idea
retrogada dello sviluppo economico di un paese, figlio di una
ideologia, che ormai è superata e che si basa sul concetto che la
crescita e l’imprenditoria sono fattori da combattere e non da
agevolare. La seconda invece è che Salvini ancora una volta si è
dimostrato un politico di razza e lungimirante, altro che un fesso
ormai destinato al declino, come troppi preconizzavano a fine Agosto.
Il voto in Umbria ne è stata la plastica dimostrazione. Salvini e il
centrodestra sono piu forti che mai, e questo proprio grazie alla
politica litigiosa, arruffona e pasticciona di questo governo. I 5
stelle hanno fallito sia come forza creata dal basso ( viene da
sorridere a vedere come sono attaccati alla poltrone, altro che
democrazia del popolo e ricambio generazionale) e sia come forza che
doveva e poteva portare un vero cambiamento nel panorama politico
italiano. Con il loro arrivo nelle stanze dei bottoni hanno
dimostrato, oltre che una scarsa attitudine al dialogo e al
compromesso, una incapacità di fondo a capire quali siano le
priorità per un paese difficile come il nostro dal punto di vista
economico. Inoltre le lotte intestine all’ interno del movimento
hanno fatto emergere come invece che portare il cambiamento, siano
stati inglobati nella nomenclatura, come e peggio dei vecchi partiti
tradizionali. La litigiosità del governo giallorosso è iniziato da
subito, ma d’altronde le premesse non facevano presagire nulla di
buono, considerando che i due “leader” ( Zingaretti e Di Maio)
fossero proprio i meno convinti di questa alleanza. Ma d’altra
parte questo governo basato su una contraddizione di fondo,
mascherata con la manfrina di evitare l’aumento dell’Iva ( a
lungo termine una eventuale chiusura dell’ Ilva o anche una
nazionalizzazione, sarebbero molto più dannosi che un aumento di
qualche punto dell’iva) che era quella appunto di mettere insieme
una maggioranza poco coesa ed unita, che difficilmente avrebbe potuto
coesistere. Forse però nessuno pensava che si arrivasse a questo
punto, nemmeno il leader della Lega in cuor suo, poteva auspicare che
da una situazione oggettivamente difficile, potesse ricavarne un
simile vantaggio in termini elettorali, e in cosi poco tempo. Salvini
aveva capito, forse prima di tutti, che la convivenza con i 5 stelle
non sarebbe potuta durare, ma ha voluto strenuamente e stoicamente
andare avanti, per senso di responsabilità e perchè credeva comunque
di riuscire a portare avanti alcune importanti istanze della lega. Ma
quando si è reso conto che andava a sbattere contro un muro, ha
preferito sparigliare il campo. Forse, ma questa è una pura boutade,
in cuor suo sapeva bene che non gli avrebbero concesso il voto, ma ha
voluto rischiare, calcolando che un eventuale governo pd e 5 stelle
lo avrebbe comunque favorito a lungo andare. E’ cosi è
puntualmente avvenuto, dal suo punto di vista, forse anche oltre
ogni più rosea aspettativa. Ora il dado è tratto e la stessa
finalità con la quale era nato questo governo si sta velocemente
ritorcendo contro: non solo stanno salendo i consensi di Salvini, e
quelli della sempre più convincente Meloni e del suo partito
stabilmente intorno al 9 %, ma persino Forza Italia, che sembrava
ormai inesorabilmente destinata ad un declino irreversibile, sembra
cominciare a vedere una luce in fondo al tunnel. Occorre perciò
essere onesti con se stessi e prendere atto di quello che è la
realtà delle cose, come già sembra stia facendo in queste ore
Zingaretti, forse anche per fare una volta tanto uno sgambetto a
Renzi. La maggioranza non solo non è in grado di arrivare al 2023,
ma addirittura, se appunto la crisi Ilva dovesse acuirsi, risulta
difficile persino pensare alla sua sopravvivenza al cruciale
appuntamento del voto in Emilia Romagna del 26 Gennaio prossimo. Il
Quirinale è stato netto e su questo, conoscendo la serietà e la
responsabilità del capo dello Stato, non ci saranno tentennamenti di
sorta. Se non verrà trovata una soluzione alla minacciata chiusura
dello stabilimento tarantino, la parola non potrà che tornare al
popolo. Non è difficile pronosticare a quel punto un trionfo ancora
maggiore del centrodestra, rispetto a quello che si sarebbe avuto con
un ricorso alle urne dopo al crisi agostana. Come al solito insomma
il pd credendo di essere il più furbo, si è per l’ennesima volta
gettato la zappa sui piedi, in perfetto stile Tafazzi. E il “fesso”
Salvini intanto se la ride sotto i baffi. Sic transit gloria mundi.
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