giovedì 27 febbraio 2020

LA BATTAGLIA SUI FONDI PAC EUROPEI


Mentre in Europa dopo il fallimento del Consiglio Europeo di settimana scorsa sul bilancio comunitario per il periodo 2021-2027, non si riesca a trovare una quadra fra i paesi cosiddetti “frugali” e i paesi come Italia, Spagna e Francia che sono invece per una maggior allargamento dei cordoni della Borsa, il premier spagnolo propone una possibile soluzione, che veda un maggior investimento di fondi nella Pac a scapito dei fondi di coesione. Su questo punto Sanchez è convinto di trovare una spalla nell’ Italia e nella Francia. Ma la soluzione non pare cosi semplice come forse appare. Il paese iberico, infatti, in questi giorni, deve far fronte con una durissima protesta degli agricoltori, che lamentano, come d’altra parte quelli italiani, come la politica europea di apertura verso alcuni mercati, abbia messo alcuni settori produttivi in ginocchio. Ma nello stesso tempo con i fondi di coesione si andrebbe ad aprire un conflitto con le regione autonome che sono grandi beneficiarie di questo tipo di finanziamenti. Insomma pare davvero che questo ginepraio sui fondi europei sia davvero di non facile soluzione. Senza contare che ora l’emergenza di coronavirus rischia di complicare ancora di più le cose, dal momento che dal punto di vista economico l’emergenza sanitaria potrebbe avere un forte impatto negativo. Certo è che con il bilancio 2021-2027 l’Unione europea gioca una partita decisiva nel mezzo di una crisi di fiducia nella sua forza, nella sua identità e, secondo alcuni, perfino nelle sue basi costitutive. Una crisi che investe nel profondo le relazioni tra gli Stati, il grado di condivisione e di fiducia reciproca. E la lotta fra fondi Pac e fondi di coesione rischia di essere alla fine una lotta fratricida che colpisca indistintamente i paesi maggiormente interessati, che sono appunto quelli del sud Europa, e quelli del cosiddetto blocco di Visegrad.
È chiaro da tempo che la politica di coesione sia di primaria importanza per la stessa tenuta dell’Unione europea e del mercato interno. Intanto è il canale fondamentale attraverso il quale passa la politica di investimento della Ue: eroga finanziamenti pari all’8,5% degli investimenti di fondi pubblici nell’ Unione, percentuale che sale a quota 41 per la UE-13 (tutti gli Stati membri che hanno aderito all’ Unione europea nel 2004 e nel 2007: Bulgaria, Repubblica Ceca, Estonia, Cipro, Lettonia, Lituania, Ungheria, Malta, Polonia, Romania, Slovenia, Slovacchia, Croazia) e a oltre la metà degli investimenti pubblici totali per diversi Paesi: in Portogallo oltre l’80%, Croazia 80%, Lituania oltre il 70%, Polonia al 60%, Ungheria e Slovacchia 55%. In Spagna i finanziamenti UE in rapporto agli investimenti pubblici totali nazionali superano il 15%, in Italia sono circa al 12% (dati 2015-2017). Al termine del periodo di attuazione del bilancio 2007-2013 è stato calcolato che il pil della Lettonia è aumentato del 3,9% grazie agli investimenti sostenuti dalla politica di coesione, mentre in Ungheria è aumentato di circa il 3,6%. Secondo i calcoli comunitari, il pil della UE12 (UE-13 meno Croazia) nel 2015 mediamente superava del 2,8% il valore che avrebbe avuto senza gli investimenti della politica di coesione. 
Ma anche il nostro paese non può certo accettare a cuor leggero una sorta di compromesso come proposto dalla Spagna fra Fondi Pac e fondi di coesione, considerando che il nostro paese per il periodo 2014-2020 è stato con i suoi 73,7 miliardi di euro, il secondo maggior beneficiario ( dietro alla Polonia, la stessa Spagna è comunque al terzo posto) di fondi. Il vero problema del nostro paese è quello di riuscire ad impiegarli, ma questo è tutt’altro discorso. Come di recente denunciato dal senatore Patrizio La Pietra, di Fdi, capogruppo in commissione agricoltura, in una audizione al Senato “La bozza sulla nuova Pac presentata dalla Commissione europea, purtroppo conferma quanto da tempo sostiene Fratelli d'Italia e cioè un danno per la nostra agricoltura quantificato in un taglio netto di 2,7 miliardi di euro. Cifre che si scontrano con gli annunci del Commissario europeo. Non si può pensare di sviluppare l'agricoltura attraverso politiche green se poi si operano tagli alle risorse. Tutto questo penalizzerà la nostra agricoltura, aumentando a sua volta il divario rispetto gli altri paesi dell’area euro, dove i costi del lavoro, la tassazione e i servizi sono profondamente diversi dai nostri. La verità è che si sta creando un vero e proprio sistema di concorrenza sleale nei confronti della nostra agricoltura”. Ecco perché la questione per il nostro paese si fa oltremodo difficile ed occorre una forte coesione con altri paesi per formare un blocco che possa cercare di arginare le pretese di chi vorrebbe una drastica riduzione dei fondi per agricoltura e aree sottosviluppate. Inoltre secondo i nuovi criteri che la Commissione europea vorrebbe adottare, basati su una media astratta sul criterio della superficie agricola, senza contare fattori chiavi quali i costi di produzione, il valore aggiunto della produzione il reddito medio o le questioni climatiche, la nuova ripartizione dei fondi andrebbe ad aggravare ulteriormente il quadro dei piccoli produttori, che nel nostro paese sono la stragrande maggioranza. Secondo gli ultimi calcoli il nostro paese rischierebbe di perdere quasi 3 miliardi di fondi per l’agricoltura rispetto al periodo precedente. 
Ma questo problema si scontra con la necessità di alzare il budget, che per ora rimane fissato poco sopra all’1% del Pil europeo. La proposta spagnola parte appunto dal presupposto che il budget debba comunque essere alzato e non fermarsi alla proposta di mediazione proposta dal presidente del Consiglio Europeo Charles Michel che vedeva nell’1.074% del reddito nazionale lordo un possibile punto di incontro. Dopo le parole di Macron al Consiglio europeo ( “Non voglio sacrificare la politica agricola. Lo dico chiaramente: non è l'agricoltura che pagherà per Brexit.”) e adesso la proposta arrivata dalla Spagna è che molto in Europa nei prossimi mesi, per l’accordo sul bilancio, si giocherà proprio sulla PAC ( anche perché li pare siano destinati i maggiori tagli), e il nostro paese può e deve giocare un ruolo da protagonista.

lunedì 17 febbraio 2020

FINLANDIA IN CRISI PER LA TROPPA AUSTERITY

La Finlandia ha proposto di affrontare il crescente indebitamento delle famiglie, favorito da bassi tassi di interesse e dalla digitalizzazione dei servizi di credito, attraverso una strategia nazionale volta a migliorare l'educazione finanziaria dei cittadini. Secondo la Banca di Finlandia, l'indebitamento delle famiglie in relazione al loro reddito è più elevato che mai e raggiunge una media del 127%, una tendenza che, secondo le autorità, rappresenta una minaccia sia per la prosperità dei cittadini che per l'economia nazionale. Secondo Jenni Hellstrom, direttore della comunicazione della Banca di Finlandia, uno dei principali fattori del crescente indebitamento dei finlandesi è la digitalizzazione dei pagamenti - con una carta o con applicazioni mobile - e il minore utilizzo di denaro contante. 
La percentuale di pagamenti con carta di credito o di debito dei consumatori finlandesi nei negozi è aumentata dal 30% nel 2000 all'81% nel 2018, mentre l'uso del denaro è stato ridotto al 19%, secondo i dati della Banca di Finlandia. "L'indebitamento ha a che fare con il modo in cui vengono effettuati i pagamenti nei Paesi nordici, perché l'intero processo di pagamento per gli acquisti è diventato letteralmente invisibile", afferma Hellstrom. "Quello che vediamo è che, soprattutto tra i giovani, ma anche tra altre fasce della popolazione, a volte capita che il conto di quanto effettivamente speso non venga considerato, pagare è così facile che non viene più data così tanta attenzione", aggiunge. Questo dato dovrebbe forse far riflettere chi all'interno della attuale maggioranza giallorossa continua a spingere per una diffusione dei pagamenti con carta di credito anche per piccoli importi anche in Italia. 
Il fatto che il nostro paese sia uno dei paesi con il maggior tasso di risparmio famigliare al mondo forse analizzando questi dati finlandesi dovrebbe far riflettere su quali effetti potrebbe avere su di esso un eccessivo aumento dell'utilizzo di pagamenti digitali. Ma analizzando più in generale la situazione della Finlandia, che sempre viene vista come un paese virtuoso e all'avanguardia per molti aspetti in materia di vivibilità, clima, educazione e welfare, forse ci si accorge che molti miti andrebbero sfatati. La Finlandia, infatti, spesso viene valutata ai primi posti nelle classifiche dei paesi più felici al mondo, ma è 32° per il numero dei suicidi ( l'Italia è 142°) ed invece al 158° per quella che attiene al tassi di natalità. Insomma come si può vedere dati piuttosto discordanti e che se vogliamo non rappresentano la Finlandia come l'isola felice che molti forse pensano sia. D'altra parte la Finlandia è sempre stato uno dei paesi maggiormente convinti della necessita della politica della asuterity, anche se certo, come si può ben vedere dai dati, non ha certo contribuito ad accrescere l'economia e il benessere dei propri cittadini, anzi. Impersonata dall’ex primo ministro (2011-2014) . ex commissario europeo Jyrki Katainen ( che molti in Italia ricorderanno come una sorta di falco implacabile quando si doveva discutere di politiche di bilancio anche per il nostro paese), ed ex  vicepresidente  della scorsa Commissione di Bruxelles, l’austerità ortodossa di Helsinki ha portato a non ritenere esaustiva per l’uscita dalla Grande Recessione alcuna misura che non fosse incentrata sul taglio al welfare, sul contenimento della spesa pubblica e sulla riduzione del deficit di bilancio. 
Tutto ciò ha determinato per l’economia finlandese tra il 2008 e il 2015  una contrazione del Pil da 283 a 232 miliardi di euro (-18%) prima di risalire fino a 251 miliardi, senza che al contempo il governo liberale di Helsinki, guidato dopo Katainen, da Alexander Stubb (2014-2015) e Juha Silpila (2015-2019) sapesse andare oltre la ortodossia dell'austerity a tutti i costi. La Finlandia ha sempre battuto duramente sul chiodo dell’austerity, predicato il rispetto delle regole europee e la contrazione del debito pubblico dei Paesi dell’Unione. Forse però in tal senso uno spiraglio comincia ad intravedersi anche da quelle parti, perché nello scorso Giugno, la risicatissima vittoria dei socialdemocratici sui populisti ( per un solo seggio di differenza) ha portato al governo il nuovo primo ministro Antti Rinne, 57 anni, che aveva subito dichiarato la ferma volontà di spezzare i vincoli dell’austerità che hanno massacrato l’economia finlandese, ridotto il welfare e frenato la crescita del Paese. Il piano prevedeva un aumento della spesa pubblica di 1,23 miliardi all’anno da qui al 2023, a cui si aggiungono 3 miliardi utilizzabili in caso di shock esterno, come una nuova recessione nell’Eurozona. Ora resta da vedere se, dopo le sue dimissioni causate dalla supposta cattiva gestione dello sciopero dei dipendenti delle poste nazionali, come si comporterà, in campo economico la nuova giovanissima premier Sanna Marin, che ha preso il suo posto alla guida dell'esecutivo. La sua prima proposta di ridurre la settimana a 4 giorni mantenendo lo stesso stipendio indica che la strada sembra essere ormai quella. Ma certo è che la sua priorità sembra quella di arrivare alla neutralità di emissioni di Co2 il prima possibile. E difficile pensare ad arrivare ad un programma cosi ambizioso senza un piano di investimenti massiccio liberato dai vincoli della austerity. Anche perché il partito populista finlandese ha fatto, in campagna elettorale, molto leva sullo scontento popolare che questi anni di austerità hanno creato nella popolazione. Il fatto poi di essere fra i principali difensori di questa politica anche in Europa, non ha fatto altro che rafforzato la tesi dei populisti che hanno perciò aumentato il loro consenso, fino a sfiorare un clamoroso successo. Inoltre il paese deve anche fare i conti, in questi ultimi anni, con un costante aumento della criminalità comune, che le destre addebitano in larga parte all'aumento della immigrazione clandestina. 
Ecco perché forse dal piccolo paese finlandese, da sempre uno dei più solidi alleati della politica di bilancio della austerità in Europa, cosi cara ad austriaci e tedeschi, può aprirsi quella crepa nella solidità di una fermezza nel mantenere rigidi vincoli di bilancio che hanno fallito e che hanno contribuito a rendere il continente sempre meno competitivo e in difficoltà contro i due giganti mondiali Usa e Cina

sabato 1 febbraio 2020

MELONI PIACE PURE IN AMERICA

Dopo la sorprendente per certi versi uscita dell’autorevole Times che ha inserito Giorgia Meloni fra le 20 persone più influenti dell’anno, per la Giorgia nazionale arriva un importante endorsment da parte degli Stati Uniti d’America e precisamente dal meeting repubblicano che vedrà il 7 Febbraio la presenza anche del presidente americano. Secondo alcuni questa potrebbe essere l’occasione per la Meloni di incontrare il presidente americano o almeno il suo vice Pence. In questo viaggio in  terra americana la leader di Fratelli d’Italia dovrebbe essere accompagnato da Carlo Fidanza, capo delegazione del partito al parlamento europeo, fine tessitore della politica filo atlantista del partito. 
Insomma la Meloni sembra non ricevere apprezzamenti sempre più numerosi in Italia ( Fratelli di Italia ormai è saldamente sopra l’11% secondo i principali istituti di sondaggio) ma anche oltreoceano e questo forse potrebbe essere ulteriore motivo di attrito con il leader della Lega Matteo Salvini, che invece sembra ancora trovare qualche resistenza all’interno della amministrazione americana. Anche perché per la Meloni non si tratta della prima esperienza come ospite ad una convention repubblicana negli Usa. Nello scorso Marzo, infatti, aveva già partecipato al Consiglio Italia-Stati Uniti a New York, un grande evento che mette insieme le migliori energie della politica e dell'imprenditoria italo-americana per intensificare i rapporti e gli scambi commerciali. E di seguito aveva partecipato, come ospite accreditata a parlare, al Conservative Political Action Conference 2019 a Washington, la più grande manifestazione organizzata dai repubblicani americani e che riguarda il campo dei conservatori. In quella sede il suo discorso, in un inglese impeccabile, aveva stupito molti osservatori americani, che evidentemente ancora non conoscevano appieno la leader di Fratelli d’Italia e le sue grandi potenzialità. Questa sua esperienza americana, infatti, secondo alcuni gli sarebbe valsa ( il condizionale è assolutamente d’obbligo in queste circostanze) un invito ufficiale e riservatissimo da parte dell’ambasciata americana in Italia, onore che si riserva solitamente a pochi importanti ed autorevoli esponenti politici, sopratutto della maggioranza di governo. L’America conservatrice d’altra parte sembrerebbe da tempo alla ricerca di una valida sponda italiana nella sua nuova linea di politica internazionale, dopo l’ondivaga politica italiana del governo gialloverde verso la Cina e la Russia. La Meloni, secondo i bene informati, potrebbe incarnare alla perfezione il politico di riferimento per l’amministrazione americana all’interno di una Europa da tempo divisa sopratutto in materia di politica internazionale. Lo stesso Steve Bannon, il guru della campagna elettorale trumpiana, riciclatosi come spin doctor della diffusione del sovranismo europeo, ha più volte avuto parole di grande apprezzamento per il lavoro della leader di Fdi. Le affinità dopotutto fra Fratelli d’Italia e i conservatori americani, come aveva spiegato lo stesso Fidanza in un recente intervista al Giornale, “ hanno diverse sfaccettature, in particolare riguardo il rispetto del ruolo della famiglia, dei valori tradizionali e della tutela della sovranità nazionale”. Ma non si fermano certo solo a questo ma hanno attinenza anche con importanti questioni strettamente legate alla geopolitica.  La convergenza fra amministrazione Trump e FdI,  infatti, riguarda anche la sfida al surplus commerciale tedesco, di cui da sempre anche Obama stesso fu critico, ma anche i timori nei confronti dell'avanzata cinese. Anzi, proprio sul fronte della Via della Seta, il partito di Giorgia Meloni si è sempre posto in maniera critica, in questo confermando l'asse con Nato e Stati Uniti. Un altro aspetto che sicuramente non dispiace a Trump è quello che riguarda l’atteggiamento di critica costruttiva che il partito della Meloni da sempre ha verso le istituzioni europee e la sua politica di austerity.  E non è certo una novità che Trump non abbia un gran feeling né con Macron né tantomeno con la Merkel. Ecco perché l’Italia può rappresentare una sorta di cavallo di troia all’interno della stessa comunità europea. Al di là delle pacche sulle spalle e della supposta simpatia umana verso l’attuale premier, Conte e il suo governo, infatti, agli occhi americani appaiono troppo appiattiti sulle posizioni franco tedesche. E lo sgarbo riservato al nostro governo, quando fu tenuto all’oscuro, al contrario di Francia Germania e Gran Bretagna, del raid per eliminare il generale iraniano Soleimani. La Meloni, quindi, in questo scenario potrebbe addirittura diventare il naturale riferimento della politica italiana per l’ amministrazione Trump, sopratutto se, in caso di elezioni anticipate, il centrodestra, come sembra, dovesse avere la meglio nelle urne. Insomma per la ragazza partita dal quartiere popolare della Garbatella potrebbero presto aprirsi prospettive a livello internazionale precluse a molti altri politici italiani ben più accreditati della leader di Fdi. Ma quello che contano alla fine in politica così come nella vita sono i fatti e la Meloni proprio nei fatti sta costruendo la sua statura politica, non solo a livello nazionale.