sabato 9 maggio 2020

FATTORE CINA NELLA BATTAGLIA ELETTORALE PER PRESIDENZA USA



Mentre gli Stati Uniti sono ormai diventati il paese di gran lunga con il maggior numero di contagi ( 1.320.000) e di morti ( oltre 78.000), anche se sottotraccia continua la battaglia per la conquista della Casa Bianca.  Le campagne politiche negli Stati Uniti, infatti, sembrano aver trovato un potente punto d'appoggio: la Cina. La mano pesante con Pechino è stata una delle grandi forze elettorali di Donald Trump ed è ora anche uno dei suoi rivali, Joe Biden. Un cavallo di battaglia che, alla luce della pandemia, proveniente dal gigante asiatico, nessuno vuole sprecare. Secondo un sondaggio del Pew Research Center, due americani su tre hanno una visione sfavorevole della Cina: un aumento sostanziale rispetto al 47% di due anni fa. La sfiducia, inoltre, si verifica in tutto l'elettorato: a destra e a sinistra, con un numero leggermente più alto tra i repubblicani e tra gli anziani. Da parte repubblicana, Donald Trump mantiene  il messaggio che ha sollevato nel 2016 e si è materializzato come presidente nella guerra commerciale con il gigante cinese: un'escalation tariffaria che ha raggiunto un temporaneo "accordo di prima fase". La sua promessa di "andare duro con la Cina" è stata quella di costringerla a smettere di applicare determinate politiche: secondo gli Stati Uniti, il furto della proprietà intellettuale da parte delle società statunitensi, la svalutazione della sua valuta o pesanti sussidi alle società statali. Una strategia che, sebbene sia stata promossa come un modo per fermare la Cina, è stata accompagnata da altri movimenti che potrebbero aver giovato al paese asiatico. "Nel complesso, il presidente Trump ha continuato a inviare segnali contrastanti sulla Cina", ha spiegato Thomas Narins, professore all'Università di Albany, specializzato in relazioni economiche con la Cina. "Trump ha parlato usando il suo istinto per comunicare ciò che crede possa costruirgli credibilità politica quando verrà il momento. Direi, tuttavia, che la Cina ha guadagnato terreno negli Stati Uniti in termini geopolitici durante il mandato di Trump, data la crescente credibilità della Cina a livello mondiale ”. Insomma anche in questo caso Trump ha mostrato un atteggiamento ondivago fra le minacce e le marce indietro che però sembra aver preso una nuova direzione verso lo scontro aperto con i cinesi, dopo lo scoppio della pandemia, accusandoli di essere stati artefici di tutto, e di aver nascosto la verità. Sui questo il presidente cerca di sviare la popolazione dai suoi tanti errori nella gestione della emergenza, sopratutto all’inizio e cerca di creare un facile bersaglio contro cui scaricare responsabilità, che sono anche sue e della sua amministrazione. Stravagante poi il fatto che Trump stesso fu il primo a fine Gennaio ad elogiare atteggiamento del presidente cinese per come stava gestendo l’epidemia. Da parte democratica, invece, Joe Biden accusa il Presidente di aver compromesso le capacità scientifiche degli Stati Uniti licenziando i responsabili della squadra di prevenzione della pandemia e decimando il suo bilancio. Mentre il virus si diffondeva in Cina, Biden ha chiesto l'immediata spedizione di osservatori. Il democratico afferma anche la sua esperienza cinese come garanzia delle politiche che avrebbe attuato se fosse diventato presidente. La storia di Biden con il gigante asiatico risale al 1979, quando, come senatore, iniziò un viaggio ufficiale. Trenta anni dopo, come numero due di Barack Obama alla Casa Bianca, Joe Biden ha assunto il compito di iniziare a coltivare una relazione con l'allora vice presidente cinese Xi Jinping. Secondo lo stesso Biden, nel 2011 e nel 2012 ha trascorso 25 ore praticamente da solo con Xi, mangiando i due con i rispettivi interpreti. "Ho trascorso più tempo negli incontri privati con Xi Jinping di qualsiasi altro leader mondiale", ha dichiarato Biden.

Le immagini di quei giorni, con Joe Biden che rideva delle battute che già considerava il futuro leader della Cina, i due riuniti in occasione di eventi ufficiali e che brindavano con champagne, hanno dato munizioni a Donald Trump. La campagna repubblicana descrive Biden come un uomo più calmo, un politico gentile che ha avuto solo buone parole per un paese il cui primo obiettivo è quello di sostituire gli Stati Uniti sul podio mondiale. I repubblicani l'hanno soprannominato "Beijing Biden"; anche il figlio minore Hunter Biden è stato accusato di trarre profitto dal suo pedigree familiare per fare affari in Cina. E proprio sulle spalle di Biden viene fatto cadere il peso dei tanti errori di sottovalutazione operati dall’amministrazione Obama nei confronti della Cina, anche rispetto al sempre maggior peso che il grande dragone ha assunto nelle principali organizzazioni internazionali, OMS in testa. Durante il mandato di Obama-Biden, la Cina era ufficialmente considerata un "partner strategico": un potere che doveva essere integrato in un ordine mondiale guidato e regolato dagli Stati Uniti. Una prospettiva che molti conservatori chiamavano morbida e accomodante. Inoltre, l'atteggiamento cinese è diventato più ambizioso negli ultimi anni, sotto il mandato di Xi Jinping. Bonnie Glaser, direttrice del China Power Project presso l’osservatorio “Center for Strategic and International Studies” di Washington, ha sottolineato come Biden abbia sempre “minimizzato la minaccia proveniente dalla Cina”, ma nell’ultimo anno ha capito o che Pechino costituisce una grande minaccia, oppure che il suo approccio non era opportuno dal punto di vista politico. La pandemia non può far altro che accelerare inevitabilmente questo processo di critica verso la Cina, che rischia di uscire dalla pandemia ancora più rafforzata dal punto di vista economico e geopolitico, rispetto al resto del mondo e agli Usa.  Ecco perché allora la Cina diverrà sicuramente l’argomento forte di questi ultimi mesi di campagna elettorale. Ambedue i candidati hanno da farsi perdonare qualcosa verso gli americani proprio nel loro rapporto con il grande rivale cinese, ma paradossalmente la crisi da coronavirus potrebbe essere alla fine un arma in più nelle mani di un Trump inevitabilmente indebolito dalla crisi sanitaria ed economica. La sua fiera difesa della forza economica americana, portata fino alla quasi autarchia diventerà probabilmente una esigenza naturale per fronteggiare la gravissima crisi economica a cui il paese sta andando incontro. “America first” inevitabilmente diventerà uno slogan ancora più forte e condiviso, e Trump giustamente potrà con fermezza rivendicare la progenia di una simile politica, ( d’altra parte dopo i primi giorni di difficoltà, l’indice di popolarità del presidente sta salendo costantemente). In tempi di guerra si sa la gente tende da sempre ad affidarsi agli uomini “forti”, caratteristica che inevitabilmente pare mancare al troppo “educato” e morbido Biden.

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