domenica 30 agosto 2020

MELONI PRONTA AL SALTO VERSO PALAZZO CHIGI

 

Qualcuno potrebbe dire che i sorrisi che il premier Conte, solitamente sempre piuttosto controllato nelle sue reazioni istituzionali, ha riservato al discorso accalorato della Meloni alla Camera qualche giorni fa nascondessero il tentativo di esorcizzare un temibile avversario.
Dalle parti di Palazzo Chigi a fare più "timore" non è più Matteo Salvini, ma proprio la terribile leader di Fratelli d'Italia. Lo stesso leader della Lega più volte ha mostrato un certo fastidio malcelato verso l'ascesa di {{Giorgia Meloni}}. E d’altra parte la ragazza ha studiato e studia da tempo per diventare presidente del Consiglio, malgrado lei si schernisca spesso di fronte a chi le rivolge la fatidica domanda su un suo ipotetico {{futuro da premier.}}
Chi la ricorda nel lontano 1992, quando a soli 15 anni si iscrisse al fronte della gioventù per una sorta di rivalsa contro il pensiero dominante di sinistra di quegli anni, dice che già allora si intravedeva in lei la stoffa del leader. Nata sotto l'egida politica di Gianfranco Fini, Giorgia Meloni ha inanellato una serie di primati nella vita politica da fare invidia a molti ben più navigati di lei nel mare della politica nostrana. Più giovane consigliere provinciale, a soli 21 anni la prima presidente donna di un'organizzazione giovanile di destra, la più giovane donna parlamentare quando entrò alla Camera la prima volta nel 2006, e di conseguenza anche la più giovane vicepresidente della stessa, sotto la presidenza di Fausto Bertinotti, che ebbe parole di apprezzamento per il suo lavoro, malgrado si trovassero distanti anni luce in quanto a idee politiche.
E questa evidentemente è un’altra delle costanti nella vita della Meloni, che viene spesso apprezzata (ed ora anche temuta) anche da chi non la pensa politicamente come lei. Ma questo di certo non perché la si possa definire una donna accomodante o che non dà troppo “fastidio”, anzi. Basti pensare che non appena insediata al ministero della gioventù nel 2008, a 31 anni ebbe l'ardire di sfidare la Cina, invitando gli atleti italiani a boicottare la cerimonia d'apertura dei Giochi olimpici di Pechino in dissenso verso la politica cinese attuata nei confronti del Tibet.

Coerenza, interezza e determinazione sono gli aspetti che la gente dice di apprezzare maggiormente in lei, ed è anche per questo che il suo partitino in soli due anni è passato dal 4,2% al 15%. Il tutto con la "complicazione" di essere donna e quindi, come spesso accade anche in altri ambiti, con la necessità di dover sempre dimostrare qualcosa di più di un suo collega uomo. “{Sono sempre stata candidata ed ho assunto dei ruoli perché avevo fatto qualcosa per meritarmeli}”, dichiara infatti in una recente intervista con Maurizio Costanzo. Abbandonato il suo mentore politico Gianfranco Fini, reo di aver rinnegato le sue idee ed essersi avvicinato alla sinistra in piena bagarre con il leader del Popolo delle Libertà Berlusconi, è entrata nelle file del partito del Cavaliere.
Dopo aver chiesto inutilmente la convocazione di primarie per scegliere il leader del centrodestra, al secco rifiuto di Berlusconi fonda un suo partito.
Molti analisti e politici hanno sorriso allora, definendo quella mossa come un vero suicidio politico. Ma qualcosa si è mosso diversamente.
Dopo anni di dura sopravvivenza, il suo nuovo partito Fratelli d'Italia ha visto il suo consenso arrivare a vette mai raggiunte nemmeno da Alleanza Nazionale ai tempi d'oro dei primi governi berlusconiani.
Qualcuno ora non sorride più quando si arriva a preconizzare come possibile per lei l'approdo a Palazzo Chigi.
Ma non è l'obiettivo primario della Meloni, o almeno sembra, perché per molti la sensazione è che il ruolo sia solo un mezzo per arrivare a un fine e non il contrario. Il fatto che non sia voluta entrare nel governo giallo-verde, anche quando sembrava la soluzione più facile per arrivare alla formazione di un governo nel 2018, la dice lunga. Meglio misurare e ponderare le proprie mosse politiche perché la fretta, in politica come nella vita, è spesso cattiva consigliera, come forse adesso starà pensando il suo alleato Matteo Salvini, che ha visto erodere in poco tempo parte del suo ampio consenso, in grandissima parte confluito proprio in Fdi, soprattutto a causa della sue scelta di formare prima e far cadere poi il governo con i 5 stelle.
La politica è l'arte del compromesso, ma spesso i compromessi nascondono dei tranelli,che alla lunga si pagano amaramente. Anche le sue “intemerate” alla Camera, come il discorso di qualche giorno fa che tante critiche sui social le ha attirato, rivelano la volontà di farsi valere in un mondo come quello politico, ancora troppo maschilista.

In pochi anni è riuscita a creare un partito decisamente, dal primo dirigente all'ultimo degli attivisti, alla figura del suo leader, e questo non è banale soprattutto in momenti come questi, in cui le giravolte e i tradimenti sono quasi all'ordine del giorno.

Ecco perché allora, in un futuro non troppo lontano, non è affatto irrealistico pensare a lei come alla prima donna in grado di ricoprire il ruolo di premier in Italia. Anche nei rapporti internazionali è stata in grado di costruirsi un percorso lineare, che le ha permesso di essere ben vista oltreoceano ed avere in Europa una posizione chiara e univoca all'interno del gruppo dei conservatori. Se sarà lei la prima donna premier lo scopriremo solo vivendo ma è certo che sempre più persone in ambito politico stiano iniziando a prendere molto sul serio l'ascesa politica della leader di Fdi

venerdì 21 agosto 2020

E ANCORA CONVENIENTE FARE MINING DI CRIPTOVALUTE..?

 



L'economia del mining di botcoin può essere distinta in tre input principali : entrate, spese operative e spese in conto capitale. Questi tre pilastri possono essere utilizzati insieme per comprendere meglio la redditività di un miner utilizzando metriche come IRR, NPV, ROI e periodo di rimborso.
Mentre i giorni in cui si stampavano centinaia di dollari con un singolo Bitmain S9 sono purtroppo finiti, ci sono ancora rendimenti fuori misura disponibili per il primo quartile di minatori.  
Sfruttando l'esperienza nell'approvvigionamento di attrezzature, operando con energia a basso costo, implementando sofisticati algoritmi di cambio dei profitti e altro ancora, i minatori possono generare solidi rendimenti adeguati al rischio, anche in un quadro generale che è sempre più incerto rispetto a qualche anno prima. 
Dei tre input, molti miner ritengono che le entrate minerarie siano le più predeterminate.  I miner producono hashrate e il valore di tale hashrate è in gran parte al di fuori del loro controllo: si basa principalmente sulle reti in cui estraggono.  Tuttavia, ci sono alcune leve che i minatori possono utilizzare per aumentare le proprie entrate.
I minatori decidono dove liquidare il loro hashrate.  Nella maggior parte dei casi, il minatore decide quale moneta vorrebbe estrarre e a quale pool vendere il proprio hashrate.  Alcune piattaforme sono più redditizie di altre.  Inoltre, alcune monete sono più redditizie di altre.  I miner possono sfruttare algoritmi di commutazione intelligente per aumentare la loro redditività complessiva.
In qualsiasi momento, la redditività tra le monete varia in base a variabili in continua evoluzione come difficoltà di rete, prezzo delle monete, commissioni di transazione, profondità del mercato e altri fattori.
Ad esempio, oggi Bitcoin potrebbe essere più redditizio da minare rispetto a BCH e BSV.  Ma domani BCH potrebbe essere il più redditizio. 
Un'altra leva da utilizzate per elevare il proprio reffito è quella di aumentare l'hashrate complessivo di un'operazione mineraria.  Un modo per farlo è installare un firmware personalizzato che aumenti l'hashrate di un mining rig.  Ad esempio, BOS + può aumentare un rig. S9 a 17+ TH / s, un aumento del 20% rispetto al suo livello standard.  Tuttavia, ciò comporta anche una efficienza inferiore e la possibilità di danneggiare l'hardware.
La previsione delle entrate è la parte più difficile della stima della redditività di un investimento minerario perché richiede molte stime e ipotesi personali.
Attualmente, il valore dell'hashrate è pari a circa $ 0,10 per TH / s al giorno.  Come misurato sull'Hashrate Index, questo è il valore ponderato al quale i mining pool pagano i miner per l'hashrate.
Indubbiamente la parte più imperativa del successo a lungo termine di un'operazione mineraria è il costo dell'elettricità.  Gli ASIC consumano un'enorme quantità di energia, rendendo l'elettricità la maggior parte delle spese operative di un miner. I migliori operatori possono gestire le loro strutture con un PUE (Power Usage Effectiveness) inferiore a 1,05, il che significa che quasi tutta l'elettricità utilizzata è per far funzionare le piattaforme stesse.
Ridurre la spesa per l'elettricità anche di 1 centesimo fa risparmiare ai minatori quasi ~ $ 90k / MW all'anno in costi energetici.
La quantità di hashrate presente sulla rete (e quindi la difficoltà) dipende dal valore dell'hashrate.  Ma il valore dell'hashrate dipende dalla quantità di hashrate.  Si tratta di un calcolo circolare, comunemente utilizzato nei modelli per prevedere il rimborso del debito, e può essere costruito in Excel.
Da lì, i miner devono fare ipotesi sul nuovo hashrate in arrivo sul mercato, la quantità di hashrate per ogni ASIC esistente, l'elettricità e i costi operativi per i miner suddivisi in tipo di hardware che utilizzano, prezzi delle monete, commissioni di transazione e altro. 
Costruire un modello con questa architettura generale consentirà a un minatore o investitore di prevedere il valore del proprio hashrate in futuro.
Indubbiamente la parte più imperativa del successo a lungo termine di un'operazione mineraria è il costo dell'elettricità.  Gli ASIC consumano un'enorme quantità di energia, rendendo l'elettricità la maggior parte delle spese operative di un miner.  I migliori operatori possono gestire le loro strutture con un PUE (Power Usage Effectiveness) inferiore a 1,05, il che significa che quasi tutta l'elettricità utilizzata è per far funzionare le piattaforme stesse.
Ridurre la spesa per l'elettricità anche di 1 centesimo fa risparmiare ai minatori quasi ~ $ 90k / MW all'anno in costi energetici.
Non è certo un caso che i minatori si sono riversati nelle regioni a basso costo energetico ( Nord est Europa, Islanda, Cina e sudamericae preferite).  Nella maggior parte degli studi, il prezzo medio globale dell'elettricità utilizzata dai minatori è compreso tra 3-4 centesimi a kWh. Alcuni dei migliori operatori in Sichuan, Kazakistan e Texas stanno ottenendo una potenza inferiore ai 2 centesimi.
Oltre alla potenza, è fondamentale che i minatori implementino un robusto software di gestione ASIC, firmware personalizzato e tecnologie di raffreddamento adeguate per ridurre i costi generali e il consumo di energia.
I minatori con bassi costi operativi sono isolati dalle grandi fluttuazioni dei ricavi minerari.  Possono anche acquistare apparecchiature più vecchie a un prezzo molto basso e continuare a gestirle in modo redditizio.
La più grande barriera all'ingresso per chiunque cerchi di entrare nello spazio minerario è la spesa in conto capitale richiesta sia per la creazione di una struttura che per l'acquisto di macchine.
I minatori che desiderano passare direttamente al settore minerario possono ospitare con una serie di strutture in tutto il mondo.  
Ma questo lascia ancora una parte cruciale: l'approvvigionamento di attrezzature. I mercati primari e secondari per l'hardware di mining sono incredibilmente opachi.  I produttori cambiano costantemente i prezzi, le specifiche e le tempistiche sul loro sito web.  Hanno anche battaglie interne che possono rendere incerta la consegna effettiva.  Esistono mercati secondari in gruppi di chat come Telegram e Wechat, senza prezzi di mercato chiari.
I migliori operatori del settore hanno esperienza nel trattare con produttori e rivenditori ASIC, offrendo loro una buona posizione per acquisire macchine a costi persi.  L'esperienza e le relazioni richieste per gli acquisti ASIC sono una barriera all'ingresso per le persone che non sono già nel settore.
I minatori devono riflettere quando acquistano macchine nel ciclo minerario.  Ci sono periodi in cui le macchine sono economiche e il loro periodo di ammortamento rapido.  Hashrate Index ha un tracker per i prezzi delle macchine che può essere utilizzato dagli operatori minerari per determinare quando acquistare le macchine nel ciclo.
Come per qualsiasi investimento, è fondamentale tenere conto dei potenziali rischi e vantaggi del mining prima di prendere una decisione.
Il tasso di rendimento interno (IRR) è un tasso di sconto che rende il valore attuale netto di tutto il flusso di cassa di un particolare investimento uguale a zero.  Riflette il rendimento medio annuo nel corso della vita di un investimento.  IRR è un potente strumento per le decisioni di investimento di capitale.
Ancora più importante, l'IRR tiene conto del valore temporale del denaro (costo opportunità).  Ci sono molte opportunità di investimento sia all'interno che all'esterno di questa attività del mining.  Ogni investimento ha profili di rischio diversi e quindi naturalmente avrà aspettative di rendimento diverse.  Più rischioso è l'investimento, maggiore deve essere il rendimento atteso.  Questo è noto come tasso di rendimento richiesto (RRR). 
Non esiste un unico RRR per tutti i minatori. Il calcolo dell'RRR deve essere effettuato a livello individuale a seconda della posizione unica del minatore.  Gli operatori esperti che hanno un basso costo dell'energia, un buon approvvigionamento ASIC e l'accesso a capitali relativamente economici, avranno un RRR inferiore rispetto a un minatore che entra nel mercato  per la prima volta.
In conclusione, ci sono ancora rendimenti fuori misura da ottenere nel mining se le operazioni sono impostate correttamente ed eseguite bene.  Tuttavia, gli operatori esperti saranno avvantaggiati in un ambiente sempre più difficile da navigare.

SARA' VERA GLORIA PER NETANYAHU..?

 

Lo storico accordo tra Israele ed Emirati Arabi Uniti, annunciato inaspettatamente la scorsa settimana, preludio a relazioni diplomatiche normalizzate, è sicuramente per certi versi di portata storica e molti lo definiscono un trionfo per il premier Benjamin Netanyahu, che lo ha definito come “l’inizio di una nuova era” Che continua a dover fare i conti con una maggioranza interna tutt’altro che granitica Ed infatti nel panorama tumultuoso e litigioso della politica israeliana, le celebrazioni di Netanyahu sono state mitigate da aspre recriminazioni in patria, a ricordare che in Israele nessuna vittoria arriva senza ferite e senza contropartite. Nell'accordo, reso pubblico per la prima volta dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump, gli Emirati Arabi Uniti hanno concordato di stabilire pieni legami diplomatici con Israele in cambio della sospensione israeliana dei piani di annettere parti della Cisgiordania. La mossa degli Emirati Arabi Uniti smaschera definitivamente forse quella che ormai appariva essere una pura e semplice finzione di un fronte arabo unito contro Israele, che ha iniziato a sgretolarsi anni fa, nonostante le promesse dei leader arabi di non fare pace con Israele, fino alla creazione di uno stato palestinese. Media e commentatori israeliani dal loro canto, sono concordi nel definire l’annuncio come un passo decisivo per Israele verso la pace. Non c’è però unanimità rispetto alla direzione che dovrebbe rappresentare questo passo. “L’accordo tra Israele e Emirati Arabi Uniti è una pietra miliare importante e strategica verso nuovi processi nella nostra regione. Mi auguro che questo passo porti anche al rafforzamento della fiducia necessaria tra noi e i popoli della regione per raggiungere un accordo ampio e stabile tra tutti noi” è stato il commento a caldo del del presidente d’Israele Reuven Rivlin. Il direttore del quotidiano più filo-Netanyahu d’Israele, Israel Hayom, Boaz Bismuth, per esempio ha commentato entusiasta affermando che : “Il nuovo Medio Oriente ha alzato la testa ieri – ma in modo molto diverso da quello che hanno cercato di venderci. Israele è una potenza regionale che firma un accordo di pace senza chinare la testa e senza cedere territori. È vero, volevamo la sovranità ora ma l’idea è stata solo posticipata”. Bismuth si è spinto fino a dire che l’intesa raggiunta da Netanyahu con gli Emirati Arabi Uniti è più importante della pace raggiunta da Begin nel 1979 con l’Egitto e da Rabin nel 1994 con la Giordania. Ma nello stesso tempo non sono mancate anche le molte voci critiche per l’operato del premier israeliano.” Mi sento ingannato.”, ha dichiarato il 15 Agosto scorso, alla radio israeliana 103 Fm, Yossi Dagan, capo del Consiglio regionale della Samaria: “Netanyahu vende il futuro della Giudea e della Samaria in cambio di aria. Sono sotto shock! C’è un limite a quanto si può ingannare. C’è un limite al cinismo”. E sulla stessa lunghezza d’onda, l’analisi di un altro celebre giornalista israeliano, Ben Caspit (Maariv), altrettanto noto per essere un fervente critico del leader del Likud. “Se ci liberiamo dal rumore di fondo, allora l’annuncio di una roadmap verso la normalizzazione tra Israele e gli Emirati Arabi Uniti è un’ottima notizia e anche una buona conquista storica per il governo di Netanyahu. Il problema è che in Medio Oriente in generale e in Israele in particolare, il rumore di fondo è la realtà, e non fa ben sperare per Netanyahu. Ha guadagnato qualche punto nel centro-sinistra, che ama gli accordi con gli arabi, ma ha perso più punti nella base dei suoi elettori di destra. Il motivo è semplice: tutti capiscono che la promessa di annessione è decaduta. Il sogno è svanito”. Ma questo forse già da tempo era solo un sogno destinato a rimanere tale. Molti analisti, infatti, sostengono che fra Israele e gli Emirati Arabi, già da tempo ci fosse una distensione anche solo a livello intese diplomatiche non ufficiali, determinata dalle rassicurazioni israeliane di non avere intenzione di operare nessuna annessione. Come in un gioco delle parti i due stati si guardavano in cagnesco in pubblico per poi parlarsi tranquillamente nelle “segrete stanze” . Ora, la relazione tra i due paesi è venuta clamorosamente allo scoperto È difficile vedere questo come qualcosa di diverso da una vittoria per Israele - difficile, ma a quanto pare, non impossibile. Nella progressiva Tel Aviv, il comune ha illuminato il suo edificio con i colori della bandiera degli Emirati. A Gerusalemme, politici di destra hanno invece rimproverato Netanyahu, definendo l'accordo un tradimento della promessa del primo ministro di portare formalmente le terre bibliche di Giudea e Samaria in Israele, una prospettiva denunciata da gran parte della comunità internazionale come illegale annessione. 

Il principale rivale di Bibi per la leadership dell'ala destra di Israele, Naftali Bennett, già ministro della Difesa e della economia, che ha molto criticato il premier per la sua gestione della pandemia, ha detto che "Netanyahu ha perso un'opportunità di un secolo". Bezalel Smotrich, un colono e legislatore con il blocco Yamina di Bennett, un'alleanza di partiti nazionalisti e ultranazionalisti, ha dichiarato furiosamente che "Netanyahu ha ingannato per anni gli elettori di destra con grande successo". È ora, ha detto, di "presentare una leadership alternativa". Ma se la destra estrema, i coloni, una minoranza della popolazione israeliana e i loro sostenitori non sono contenti per quella che considerano una sorta di resa di frinte alla possibilità di annessione della Cisgiordania, la stragrande maggioranza degli israeliani si rallegrava della notizia della normalizzazione con un altro paese arabo. Un sondaggio condotto tre giorni dopo l'annuncio ha rilevato che quasi l'80% degli israeliani preferisce la normalizzazione con gli Emirati Arabi Uniti rispetto all'annessione della Cisgiordania. Nel dettagliare l'accordo con gli Emirati Arabi Uniti, Netanyahu ha affrontato le richieste contrastanti di reclamizzare il risultato, mostrandosi un uomo di pace e placando le ansie della destra, senza il cui sostegno la sua carriera è finita. Il premier è apparso per la prima volta su Sky News Arabia. Le sue parole, tradotte in arabo, ha dichiarato: "Le persone nella regione sono stufe di guerre e conflitti". Parole impensabili sino a qualche mese in bocca a quello che veniva considerato come il vero ostacolo per un processo di pacificazione con i palestinesi. Forse dietro a questa mossa del premier israeliano potrebbe esserci anche, in qualche misura, lo zampino degli Stati Uniti del suo amico Donald Trump, alla disperata ricerca di trovare qualche trofeo da sfoderare negli ultimi mesi della sua campagna elettorale per la riconferma, che fino ad ora è tutta in salita. Netanyahu dal canto suo dopo mesi di estenuanti battaglie interne, forse, ha capito che doveva abbandonare la sua politica di destra oltranzista, per allargare il suo consenso, che pareva appunto in calo fra i suoi vecchi sostenitori. Alcuni credono che non avesse mai davvero inteso annettere la Cisgiordania, ed era solo una tattica politica per sostenere la sua base. Per ora, ha raggiunto due dei suoi obiettivi: uno a lungo termine, uno a breve termine. Guardando alla storia, 

Netanyahu, che è già il primo ministro israeliano più longevo, vuole assicurarsi il suo posto accanto ai suoi predecessori, Menachem Begin e Yitzhak Rabin, che hanno siglato accordi di pace con i vicini di Israele e gli ex nemici in Egitto e Giordania, rispettivamente. Ma deve anche affrontare le crisi più immediate che montano su ogni fronte. L'accordo con gli Emirati Arabi Uniti, per quanto storico, offre una gradita distrazione, un allargamento della lente oltre i problemi di oggi. Netanyahu non solo sta affrontando gravi problemi legali - il suo processo penale per accuse di corruzione dovrebbe iniziare l'anno prossimo - ma sembra che gli israeliani si siano stancati di lui. La normalizzazione con gli Emirati Arabi Uniti offre allora a Netanyahu l'opportunità di sostenere che, indipendentemente dai suoi fallimenti, sta riuscendo nella sfida più difficile e più importante che devono affrontare gli israeliani: la perenne ricerca di pace e sicurezza. La maggior parte degli israeliani è entusiasta dell'accordo con gli Emirati Arabi Uniti e si preoccupa molto di più della pace che della Cisgiordania. Sono entusiasti della possibilità di andare in vacanza a Dubai e della prospettiva che gli Emirati vadano in vacanza in Israele. Hanno a cuore le possibilità di avere buone relazioni nella loro regione, proprio come fanno gli altri paesi. Se l'accordo con gli Emirati Arabi Uniti sarà seguito da altri accordi di normalizzazione con i paesi arabi, come molti prevedono, Netanyahu cementerà il suo successo. Sicuramente cosi facendo guadagnerà un posto nei libri di storia. Che questo però poi garantisca o meno che rimarrà primo ministro è un'altra questione.

sabato 8 agosto 2020

LA LEGA BEN SALDA NELLE MANI DI SALVINI

 


Una settimana fa in un bar nei pressi di Palazzo Madama, un capannello di senatori della Lega commentava, sorridendo, l'ennesimo articolo di giornale che descriveva come evento assai probabile quello di un prossima scissione della Lega, a causa di supposte difficoltà crescenti per Salvini di tenere il partito unito. Da giorni infatti su alcuni giornali si susseguono ipotesi che immaginano scissioni, trame interne, nordisti pronti a fondare un nuovo partito e Giorgetti che preparerebbe improbabili colpi di mano per portare alla guida del partito Luca Zaia, da tempo indicato  come il vero rivale interno del segretario leghista. Insomma secondo il mainstream di sinistra, e non solo, Matteo Salvini dovrebbe far fronte ad una sorta di guerra interna, che lo vorrebbe far fuori dalla guida del partito. Partito che grazie a lui è arrivato in pochissimo tempo ad essere il primo partito italiano. Ma si sa la riconoscenza in politica non esiste e quindi adesso che i sondaggi sembrano aver voltato le spalle a Salvini è opinione comune che molti sarebbero pronti a farlo fuori anche dalla Lega. Ma forse si fanno i conti senza l'oste e si confonde la speranza di alcuni con la realtà dei fatti. La lega è ancora saldamente in mano al suo leader, impegnatissimo nella campagna elettorale in Toscana e poi combattivo e forte che mai. D’altra parte la Lega fin dalle suo origini, si è sempre contraddistinto da altre formazioni politiche per essere appunto un partito unito e coeso intorno alla figura di un leader carismatico. Fino a pochi anni fa il padre padrone era Bossi e nessuno osava contestare le sue mosse anche quando apparivano poco ortodosse. Più di una volta si è vociferato di liti interne fra quanti erano con Bossi e quanti invece avrebbero visto alla guida del partito il più moderato Roberto Maroni. Caso vuole che proprio il profilo dell'ex ministro degli interni leghista sia assai simile a quello del presidente della Regione Veneto, Luca Zaia, che sempre secondo questi bene informati sarebbe pronto alla “scalata” del partito. Come Maroni infatti era considerato posato, autorevole, political correct e presentabile per le alte sfere, rispetto al carattere, ruvido duro e poco incline ai compromessi del vecchio Bossi, così Zaia viene considerato come l alternativa più moderata e presentabile di Salvini e perciò  sicuramente piu adeguato a ricoprire ruoli di responsabilità. Ma l’impressione che si ha è che si tratti ora come allora, di un semplice gioco delle parti a cui probabilmente si adegua buona parte dei vertici del partito, compreso il buon Giorgetti, che mentre molti osservatori vedono sempre meno tollerante verso le uscite di Salvini in realtà sarebbe molto più legato e vicino al segretario, di quanto molti vogliano far credere. Nessuno più di Zaia forse ha il suo destino e percorso politico così strettamente legato a Salvini, così come Marini lo era a Bossi. Il resto è solo retorica e dietrologia. Non è che perdendo qualche punto percentuale nei sondaggi ( dopo averne guadagnati più di una ventina in un anno e mezzo.!!!) si possa essere messi già in discussione. Chi dice questo è perché non conosce la Lega e le sue meccaniche interne che sono rimaste le stesse negli anni. Bossi infatti, ha cominciato a perdere quella sua aura di invincibilità che aveva, a causa degli scandali delle malversazioni dei fondi del partito, usati, secondo le accuse, un pò troppo allegramente pro domo sua. Ma solo con l'avvento di Salvini la sua figura è diventata marginale all'interno del partito. L intelligenza di Salvini è stata quella di cambiare il volto alla vecchia Lega Nord e farlo diventare un partito nazionale, cosa a cui un Bossi ormai indebolito nello spirito e nel fisico non si è potuto opporre. Molti pensavano che il tentativo di Salvini sarebbe naufragato ed invece il suo successo in pochi anni è stato sorprendente. Ora la Lega è il primo partito nazionale, proprio grazie alla sua vocazione nazionale e alla figura del suo leader, che è amato dalla base come e più del vecchio Bossi ai tempi d’oro della Lega Nord, alla fine degli anni 90. Salvini è stato in grado di  raggiungere vette di consenso proprio in regioni come Toscana, Emilia, Puglia o Calabria, dove la Lega di Bossi praticamente non toccava palla. Il suo miracolo è stato quello di colmare quel vuoto di rappresentanza per quanti fino a qualche anno fa votavano a sinistra, ma che ora non si riconoscono più in questa sinistra troppo “borghese”e distratta verso le loro istanze. La svolta è stata la capacità del leader della Lega di capire in tempo bisognava cambiare strategia pena la irrilevanza politica e così ha fatto. I risultati sono sotto gli occhi di tutti. In Emilia ha sfiorato un incredibile successo che lo avrebbe portato a conquistare una regione da decenni storicamente di sinistra. Ora il miracolo per certi versi forse ancora più clamoroso, potrebbe avvenire nella altra roccaforte rossa, quella Toscana di Renzi, che non a caso ha convintamente votato per autorizzazione a procedere in Senato contro Salvini nella vicenda della Open Arms. forse proprio nel vano tentativo di indebolirlo nella corsa alle regionali. Le piazze piene di questi giorni in mezza Toscana, ricordano quelle dell Emilia prima dell’inaspettato avvento delle sardine, che hanno sparigliato il campo. A vedere i sondaggi sempre più favorevoli alla candidata leghista Susanna Ceccardi c è davvero da essere sorpresi. La stella del leader leghista sembra stia superando tranquillamente, l'appannamento dovuto ai mesi di lock down che hanno inevitabilmente penalizzato un animale da palcoscenico come Salvini. Il tentativo di screditarlo pare più un esercizio retorico di commentatori e retroscenisti che una reale ipotesi sul campo. Difficile pensare ad un Salvini in difficoltà all’interno del suo partito, che lui ha forgiato a sua immagine e somiglianza. Salvini e più vivo che mai ed è più forte che mai nelle gerarchie della Lega e un eventuale clamoroso successo in Toscana potrebbe dargli nuova linfa anche a livello nazionale, per cercare la definitiva spallata ad un governo che continua nel suo tortuoso percorso tra distingui e litigi vari della maggioranza che lo compone. La Lega è Salvini e Salvini è la Lega. Piaccia o no questo è per ora un assioma in cui l'elettorato della Lega si riconosce e grazie al quale convintamente segue il partito e il suo leader. Un partito  diverso più grande più nuovo e più nazionale rispetto al vecchio partito personalistico e regionale di Bossi ma che ha mantenuto però fede alle sue gerarchie e alla sua totale fedeltà nel condottiero. Il fatto poi che Zaia rappresenti forse la Regione più tradizionalmente ancorata al vecchio cliché del partito autonomista e federale non fa altro che rafforzare paradossalmente la posizione di Salvini a livello nazionale. Salvini è ormai un leader a livello nazionale, a cui il federalismo comincia ad apparire una parola molto meno ricca di contenuti, rispetto al recente passato. Zaia rimane un grande presidente di Regione, ma essere un leader di un grande partito nazionale come è la Lega è ben altra cosa. Ed è proprio per questo che Matteo Salvini attualmente sembra non avere ancora rivali all'interno del partito e la sua posizione rimane perciò ancora ben salda al timone,alla faccia di chi pensa il contrario

lunedì 3 agosto 2020

LA STORIA INFINITA DI ALITALIA ALL ULTIMO CAPITOLO?



Fa una certa impressione sentire la ministra dei trasporti De Micheli dire con una certa naturalezza che lo Stato con Alitalia “ ha fatto un (l'ennesimo) sforzo enorme per inserirla in una competizione uniforme. Alitalia ha futuro solo c’è una strategia industriale. Senza questa tra due o tre anni saremo daccapo. “Bella scoperta signora ministro, sarebbe il caso di dire, pare piuttosto ovvio che senza strategia industriale non esiste futuro per nessuna azienda. Ma il fatto  che forse la ministra omette di dire è che questa strategia ora dovrebbe essere messa in campo proprio dal suo ministero, e quindi detta affermazione pare assomigliare ad una sorta di soliloquio senza costrutto. Ma quello che lascia ancora più perplessi è capire cosa si intende dire, quando si parla di “competizione uniforme”. Forse si riferisce al fatto che la pandemia Covid ha reso il settore aereo in generale “uniforme” alla situazione fallimentare della compagnia italiana, pre pandemia o forse si intende, è ciò sarebbe per certi versi ancora più grave, che in qualche modo si vorrebbe imporre regole dall’alto in un mercato libero per appunto uniformare un mercato, favorendo magari proprio chi in questo mercato ha dimostrato nei fatti di non essere in grado di rimanerci. Se queste sono le premesse e se come si dice il buongiorno si vede dal mattino, abbiamo la forte sensazione che i due tre anni preconizzati dalla ministra,prima che si torni al punto di partenza, sono un lasso di tempo forse troppo ottimistico. Il mercato libero per sua natura prevede che solo chi è in grado di competere alle leggi del mercato  può operare in detto mercato, altrimenti come in natura, il mercato stesso tende ad estromettere dallo stesso i più deboli. Alitalia è da almeno un ventennio, forse il più indicativo esempio di come certe pratiche e politiche economiche scellerate siano state deleterie per il mondo imprenditoriale e per l'economia del nostro paese. Mancanza di strategia industriale, assistenzialismo, favoritismi, classe dirigente incompetente nel migliore dei casi, se non disonesta in altri casi hanno infatti, determinato una situazione in cui la compagnia aerea brucia liquidità molto più velocemente di quanto i suoi aerei facciano con il kerosene durante i voli. Inutile elencare la lunghissima serie di errori commessa nel travagliato percorso gestionale di Alitalia, uno dei fiori all'occhiello del paese, smembrata in pochi anni, con operazioni che di sensato avevano davvero poco. Ora il governo ha deciso per l'ennesimo oneroso salvataggio statale, approfittando della “finestra” che l emergenza pandemica ha concesso per intervenire pesantemente nel capitale di Alitalia. Ma invece di pensare a come cercare di far uscire Alitalia da quella che pare una crisi irreversibile, dalle parole del ministro competente si evince come in realtà non si abbia un'idea precisa di come approcciare la delicata questione e per questo maldestramente si metta le mani avanti lanciando messaggi poco rassicuranti. Avere una compagnia di bandiera non è un assioma imprescindibile come molti politici vogliono far credere. Non è affatto dimostrato che questo porti maggiore  turismo e ricchezza ad un paese. Se la compagnia non ha una strategia aziendale precisa come si è visto in questi anni, i turisti utilizzano come è giusto che sia altre compagnie. Alitalia e marginale da tempo e da qualche anno non è più il principale vettore nemmeno sul territorio nazionale. Forse allora sarebbe il caso di quello accaduto in altri paesi europei in casi simili. Sono molti i casi che dimostrano che privatizzare o lasciare fallire compagnie che non riescono a camminare con le proprie gambe, alla lunga possa essere la soluzione migliore oltre che quella più economica. La Swiss Air è solo uno degli ultimi esempi di quanto detto, ma anche la belga Sabena ambedue fallite nei primi anni 2000, durante la crisi gravissima post attentati alle torri gemelle, dalle cui ceneri sono nate nuove compagnie sane. Ma qualcuno potrebbe obiettare che la Svizzera e il Belgio non hanno certo la vocazione turistica del nostro paese. Secondo i grandi esperti di turismo che la nostra politica da sempre annovera e che hanno permesso al paese più bello del mondo di scendere al quinto posto come arrivi turistici, avere una compagnia di bandiera sia fondamentale. Beh avere una compagnia che non funziona come Alitalia e peggio che non averla. E poi se si pensa alla Spagna ( primo paese al mondo nel 2018 per arrivi turistici) e a come si è comportato il governo spagnolo con la sua compagnia Iberia, si può facilmente smontare questa falsa asserzione. Dopo essere stata privatizzata nel 2001, infatti, Iberia gestita in maniera oculata, è riuscita a farsi strada grazie ad una politica incentrata sul lungo raggio mirata verso determinate zone geografiche e sulla coesistenza di due hub Madrid e Barcellona ( qualcuno ricorderà la sterile e onerosa polemica durata mesi sulla impossibilità ad avere due hub sul suolo italiano). Quando poi si è capito che da sola la compagnia non avrebbe potuto competere con i colossi del settore si è deciso per un fusione nel 2009 con British airways ( IAG) dando vita al terzo principale operatore europeo. La privatizzazione di Alitalia da parte dei capitani coraggiosi ( si fa per dire chiaramente) sotto il governo Berlusconi, ne ha invece forse decretato la sua definitiva uscita dal mercato. Dopo  quella fallimentare gestione si sono susseguiti vani tentativi di salvataggio, l’ultimo con ingresso nel capitale della compagnia degli Emirati, Ethiad airways, che ha pensato solo a spolpare ulteriormente quello che ancora aveva un valore all interno della stessa e cioè gli slot e il programma mille miglia che ha portato alla rottura dell'alleanza dopo due soli anni. Se insomma la ministra De Micheli adesso pensa che l'ingresso dello Stato in una compagnia decotta possa avere successo magari stravolgendo le regole del mercato si rischierà l'ennesimo errore di valutazione commesso in passato.. E allora il fallimento da troppo tempo forse rimandato sarà inevitabile con grande discredito e con un ulteriore inutile spreco di risorse pubbliche che in un momento difficile come questo potrebbe si rappresentare un ulteriore durissimo colpo per un settore come quello del turismo già in ginocchio per il Covid.


domenica 2 agosto 2020

PERCHÉ UN NUOVO RALLY DI BITCOIN?


Nelle ultime ore il Bitcoin ha fatto una salita vertiginosa delle sue quotazione arrivando a suietare la fatica soglia dei 12000 dollari per og i bitcoin. Sono molte le congetture che vengono fatte per cercare di spiegare questo rally delle criptovaluta più famosa anche se la crescita ha riguardato un po tutte le criptovalute prima fra tutte Ethereum che ha superato i 400 dollari. Alculni osservatori hanno notare che questo rialzo coincideva anche con un periodo in cui gli investitori si preoccupavano sempre più dell'inflazione e la conseguente stanpa di moneta da parte delle principali banche centrali Fed in testa. Ma i timori dell'inflazione alimentano l'ascesa dei Bitcoin? La risposta è sì e no. Anthony POMPLIANO, fondatore di Morgan creek digital soacikozzato in investimenti in criptovalute, ha fatto notare come a seguito dell’introduzione di 2,5 trilioni di dollari di stimoli monetari da parte degli Stati Uniti, sia l’Oro che il Bitcoin siano cresciuti rispettivamente del 26 e 43%, sottolineando come gli USA continueranno a stampare moneta anche nel breve termine (di conseguenza, le quotazioni sia dell’Oro che del Bitcoin sono destinate a continuare a crescere. 
Sebbene il design computazionale del bitcoin sia deflazionistico - non possono mai essere creati più di 21 milioni di bitcoin e il tasso di mining che il bitcoin dimezza in media una volta ogni quattro anni - che di per sé non rende immediatamente il bitcoin una copertura contro  inflazione e sebbene 
la sua relazione con la sua coppia di trading dominante, il dollaro, non è stata coerente.
Tuttavia, ciò non ha impedito ad alcuni dei più grandi nomi del mondo degli investimenti, incluso l'investitore miliardario di macro hedge fund Paul Tudor Jones di allocare una parte dei loro vasti portafogli di investimento in bitcoin, come copertura contro l'inflazione.
Ad essere onesti, Tudor Jones ha definito il suo investimento in bitcoin una "grande speculazione", in particolare per quanto riguarda il suo valore come copertura contro l'inflazione.
E per certi versi Tudor ha ragione. 
Quando i tassi di interesse diminuiscono, le attività non produttive come il bitcoin in genere diventano più interessanti perché il costo opportunità di lasciare denaro, nella criptovaluta, diminuisce.
E quando l'inflazione aumenta, anche la narrativa che alimenta la domanda di queste attività non produttive ottiene una spinta.
Ma dove l'inflazione conta davvero è nella componente dei tassi reali attesi - una misura attentamente osservata dei tassi di interesse che sono adeguati all'inflazione.
L'indicatore preferito dai tassi reali sul mercato sono i rendimenti sui titoli statunitensi Treasury Inflation-Protected o TIPS, che forniscono agli investitori una compensazione integrata per gli effetti dell'aumento dei livelli dei prezzi.
Per capire se gli investitori pensano che l'inflazione aumenterà o meno in futuro, i tassi di inflazione in pareggio - misurati dal divario tra i rendimenti nominali sui rendimenti dei titoli del Tesoro (obbligazioni) e TIPS degli Stati Uniti, fungono da proxy per l'inflazione futura.
Mentre la Federal Reserve americana ha adottato misure di politica monetaria e fiscale senza precedenti per combattere gli effetti economici della pandemia di coronavirus, i tassi reali sono scesi ai minimi storici in un momento in cui attività nascenti come il bitcoin hanno iniziato ad apprezzarsi in modo drammatico.
Alimentando la narrativa di copertura dell'inflazione, alcuni investitori suggeriscono che il dollaro ha perso terreno rispetto ad attività come il bitcoin quest'anno, in parte almeno, perché la Fed ha acquistato gran parte delle vendite record di debito del governo degli Stati Uniti - potenzialmente svalutando il dollaro e  diminuendo il suo fascino come bene rifugio. 
Ma se tale argomento fosse valido, il Giappone, dove oltre il 70% del debito pubblico giapponese è di proprietà della banca centrale, avrebbe subito un'inflazione in fuga e lo yen giapponese sarebbe quasi senza valore.
Al contrario, l'inflazione è rimasta bassa in Giappone e lo yen giapponese è visto come una valuta rifugio in tempi di turbolenze economiche.
Negli ultimi quattro mesi, è stato osservato che i tassi reali sono correlati all'ascesa dei bitcoin. Quando il bitcoin è crollato a marzo, ha dimostrato una forte correlazione negativa con il dollaro.
E da quel momento, il dollaro è scivolato contro altre principali valute, mentre il bitcoin ha continuato a salire.
Biosgna anxje aggiungere che  quest'anno ha fornito una moltitudine di fattori per sconvolgere il dollaro, tra cui, la pandemia di coronavirus, il conseguente aumento della disoccupazione, disordini razziali e sociali, ingorgo politico, recessione economica e tensioni sino-americane  malgrado tutto ciò però gli Usa, sono ancora la macchina del moto perpetuo che fa funzionare il resto dell'economia globale.
È per questo che Giappone e Germania che hanno tassi di interesse negativi e un livello elevato di debito sovrano (nel caso del Giappone) non hanno visto l'implosione delle loro economie come hanno fatto lo Zimbabwe e il Venezuela. Si tratterà ora di vedere come si reagirà ad una crisi economica senza precedenti e se è come il bitcoin che pare sempre poi assomigliare ad una sorta di oro digitale e quindi divenire un bene rifugio, si comporterà di conseguenza.