lunedì 26 novembre 2018

E' SOSTENIBILE IL DEBITO CINESE ?




L’economia della Cina sta entrando in un periodo di “spirale discendente”, dato che i tre strumenti della crescita – investimenti, export e consumi – stanno rallentando. Lo afferma Li Yang, capo dell’Istituto nazionale per la finanza e lo sviluppo e già vice direttore dell’Accademia delle scienze sociali. Parlando lo scorso 3 novembre al Chinese Institutional Investors Summit, egli ha manifestato le preoccupazioni della leadership per la seconda economia mondiale, alle prese con una guerra dei dazi con gli Stati Uniti. Il Pil sta scendendo, gli investimenti stanno rallentando, l’export rallenta e anche i consumi”: in tal modo, ha detto Li, i tassi di crescita stanno diminuendo allo stesso passo del Pil o anche più velocemente. Le preoccupazioni investono anche il settore privato, la cui situazione è definita da Li “piuttosto seria”. La scorsa settimana a Pechino, Xi Jinping ha tenuto un seminario con imprenditori privati per assicurare il sostegno del governo e del Partito per il settore privato, che combatte contro il raffreddamento dell’economia e il poco aiuto finanziario da parte delle banche cinesi. Fra i temi toccata da Li Yang vi è anche quello dei posti di lavoro. “Se l’economia si raffredda – ha detto – si abbasserà anche la possibilità di creare nuovi posti di lavoro; le imprese che sono in difficoltà taglieranno i salari; la crescita dei salari diminuirà e assisteremo a una caduta assoluta dei pagamenti… Potremmo anche vedere gente che perde il lavoro. E questo è un impatto delle frizioni fra Cina e Usa che si riversano nel mercato del lavoro”. Li ha anche fatto notare che il rallentamento dell’economia sta avvenendo anche in province come il Guangdong, Jiangsu, Shandong, Zhejiang, le regioni più sviluppate del Paese che un tempo mostravano una crescita superiore alla media nazionale. Eppure a guardare i dati statistici l'economia cinese risulta ancora in robusta crescita e pare riuscire anche a bypassare la poltiica dei dazi statunitense. Ma qui qualcuno lamenta anche la vera attendibilità dei dati statistici dell'egenzia cinese, la NBS. Gli economisti, infatti, temono che la Nbs abbia abbassato i dati di base dello scorso anno per rendere più elevato in termini percentuali il tasso di crescita di quest'anno del settore industriale. L’ufficio di statistica dichiara che le aziende vengono analizzate a campione. Secondo alcuni però questa campionatura verrebbe pilotata selezionando solo le realtà industriali più virtuose. Difatti le revisioni dei campioni utilizzati non sono rese pubbliche. I numeri “truccati” riguardano i grandi gruppi industriali, le vendite al dettaglio, il consumo di elettricità e la produzione di carbone. Va detto che , anche quest’anno, l’ufficio di statistiche sta riscontrando diverse difficoltà a far quadrare i conti forniti dalle province con il calcolo complessivo del Pil. Il sistema statistico è orientato dagli obiettivi fissati dalla politica. Se la spesa dei consumatori è destinata a crescere del 10% allora chi compila le statistiche aggiusta i numeri per raggiungere il 10%. Ciò potrebbe portare la Nbs a modificare il numero di aziende che vengono campionate o cambiare gli standard per l'inclusione nei campioni” dichiara al South China Morning Post Anne Stevenson-Yang, co-fondatrice di J Capital Research. E poi esiste il problema del colossale debito pubblico che ormai ha superato il 260% rispetto al pil, raggiungendo l'astronomica cifra di 29 mila miliardi. Nel 2007 eravamo a 6 mila miliardi e al 140% del pil. Certo la Cina non deve rispondere a nessuno del suo debito, come purtroppo noi europei, ma certo la mole di debito potrebbe diventare comunque un problema. In sostanza, fanno notare alcuni analisti, la crescita cinese poggia su una muraglia di debiti. Il debito porta sviluppo, ma lo sviluppo porta altro debito. Fin qui il giochino ha retto e portato risultati eccellenti. Ma fino a quando Pechino potrà crescere facendo nuovi debiti? Sembrerebbe che Xi si sia posto tale domanda e abbia trovato una soluzione momentanea. Il governo ha infatti spostato le risorse dai settori cosiddetti “maturi”, come industria pesante e immobiliare, a quelli più tecnologici e produttivi. Per far questo la Cina ha dovuto chiudere un discreto numero di fabbriche e bruciare investimenti. Con un conseguente aumento delle tensioni sociali. Certo la politica di Xi prevede comunque un intervento dello Stato molto forte che inietta miliardi di liquidità nell'economia, in pieno stile Keynesiano, riuscendo comunque a generare una robusta crescita, che però inevitabilmente risulta essere drogata. All’inizio del nuovo millennio, il paese è dovuto intervenire con riforme drastiche per contenere una situazione simile. Gli interventi sono costati praticamente il 50% del Pil del 1999, ma poi hanno portato a tassi di crescita che, in alcuni casi, hanno superato il 10%. Per i prossimi anni, le stime di Morningstar parlano di un avanzamento economico intorno al 4,5%. Un risultato per il quale probabilmente molti paesi del mondo metterebbero la firma, ma lontano dal 6,5-7% posto come obiettivo annuale da Pechino. Inoltre preoccupa anche la mole di investimenti fatti in Sudamericas ed in Africa, paesi fortemnete instabili e le cui economie sono in grande difficolta. Le banche cionesei hanno un esposizione enorme nei cosidetti Brics.. Una delle banche più esposte ai sogni di grandezza cinesi è la China Development Bank, che a fine 2015 aveva già investito 110 miliardi di dollari sulla Bri finanziando circa 400 progetti in 37 paesi. Segue la China Exim Bank, che fornisce varie tipologie di operazioni, dai crediti alle esportazioni al finanziamento delle infrastrutture, che a fine 2015 aveva supportato un migliaio di progetti in 49 paesi della Bri per un valore di 80 miliardi. Altri grandi “elemosinieri” della Bri sono l’Industrial and Commercial Bank of China, che ha già totalizzato 159 miliardi di esposizione per 212 progetti, e poi la China Export and credit insurance corporation, che a dicembre 2015 aveva già sottoscritto progetti per oltre 570 miliardi di valore nei paesi della Bri. Segue la Bank of China con circa 100 miliardi di prestiti a fine 2017 e chiude la classifica il Silk road fund, che investe per lo più in progetti infrastrutturali a vocazione energetica, con 40 miliardi di esposizione. Insomma il dragone è sommerso da una montagna di debiti i cui ritorni non sono proprio cosi sicuri.


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LIFE DESIGN; RIDISEGNA LA TUA VITA




Ciak si gira. Comincia il film, la location è il palazzo del cinema di Venezia e la sceneggiatura è lasciata alla libera fantasia di ognuno. Si è proprio cosi, realizzare un film della propria vita futura, alzi la mano chi di voi non ha mai segnato una prospettiva di questo tipo ? Ebbene due ragazzi, amanti della formazione, nati sul duro campo del trading sui mercati finanziari e fondatori di “money surfers”, la prima azienda karmica di yoga finanziario o meglio di creazione della ricchezza “consapevole”, hanno radunato ben 1100 persone, disposte a sborsare dalle 400 ai 1000 euro per partecipare all evento della durata di tre giorni, il 9, 10 e 11 novembre a Venezia, denominato appunto “remake your life”. Davide Sada ed Enrico Garzotto, autori del best seller “ la felicita fa i soldi” hanno, infatti, deciso di offrire l'opportunità di realizzare un vero e proprio remake della propria vita passata e presente, per scoprire poi, dopo una serie di passaggi sequenziali, proprio come in un vero film, quale possa essere il percorso da seguire per avere una soddisfazione, non solo dal punto di vista economico, ma anche e sopratutto da quello mentale e dello spirito. Si tratta di un corso di “life design” come viene insegnato alla Stanford University, dove Enrico è unico ad avere ottenuto la certificazione in Europa, Si tratta di un vero e proprio percorso per “ridisegnare” il percorso della vita di ognuno di noi, sia personalmente che professionalmente. “La chiave per conciliare per sempre felicità e denaro è svegliarti ogni lunedì mattina con lo stesso umore del venerdì sera. Una soluzione immediata per cambiare o migliorare il nostro attuale lavoro. I metodi più sicuri per costruirsi un’entrata mensile stabile impegnando pochi minuti al giorno”. Questi alcuni dei proponimenti promessi dai due intraprendenti e sicuramente energetici ragazzi italiani di nascita, ma residenti in Svizzera, dopo un girovagare per mezza Europa. Ed in effetti assistendo all'entusiasmo quasi mistico che i due riescono a creare nei tre giorni della Kermesse, si capisce perchè in pochi anni i loro corsi siano diventati quasi un must per centinaia di persone. I partecipanti sono quasi tutti persone mature, che hanno già al loro attivo un bagaglio di esperienze nelle loro rispettive vite, ma evidentemente vogliono qualcosa di più e credono fermamente che da questa esperienza possano uscirne arricchiti in tutti i sensi. D'altra parte si sa oggi viviamo in una realtà fortemente polarizzata. Un mondo in cui il denaro è un male, ma purtroppo un male indispensabile. Ed è per questo che cresce quel senso di insoddisfazione non solo chi non ha denaro, ma anche in chi lo ha ma non riesce a goderne appieno, o perchè è troppo impegnato a non perdere quello che ha raggiunto e vive la sua vita alla continua ricerca di qualcosa, che poi alla fine si dimostra effimero e senza valore intrinseco. Oppure perchè è insicuro di quello che ha raggiunto e vive nel terrore perenne di perdere quel benessere cosi faticosamente guadgnato. “ Fare un business karmico significa guadagnare bene facendo del bene, a sè stessi e agli altri, un unione tra ciò che nutre il nostro corpo e ciò che nutre la nostra anima”. Questo è il mantra che seguono Davide ed Enrico, da dieci anni praticanti della meditazione trascendentale, quella di David Linch, di Paul Mcartney, di Richard Brenson, Oprah Winfrey, Clint Eastwood, George Lucas, Martin Scorsese, Rupert Murdoch, solo per citarne alcuni. Ecco allora che durante la tre giorni, oltre a preparare la realizzazione del film della propria vita, con la creazione dei personaggi, della sceneggiatura, della trama nascosta, tutto fatto come ovviamente una metafora di quella che dovrà essere una sorta di rinascita della propria vita. Ecco allora che tra una stesura del copione o una rielaborazione di quelli che sono stati gli elementi che hanno impedito di cambiare vita, compaiono anche momenti molto intensi di meditazione, con ospiti illustri come tre monaci tibetani o celebri insegnati di meditazione. Bisogna dire che questo non è il classico corso di formazione di “coaching mentale e professionale” di quelli come abbiamo imparato a conoscere, quelli cioè che cercano di insegnare alle persone a come fare più soldi o a come salire la gerarchia sociale. Questo assomiglia molto di più ad un percorso di meditazione per analizzare quello che la vita ci ha offerto e dare lo spunto per modificare quello che non piace, sulla base degli insegnamenti che I due ragazzi da dieci anni impartiscono ai loro “seguaci”. L'obiettivo, infatti,non sembra tanto quello di insegnare alle persone a come arricchirsi o a come avere successo nel proprio lavoro. Il vero obiettivo è quello di indirizzarli verso una via più consapevole, che comprenda certamente un benessere materiale, ma che non può prescindere da quello interiore e mentale. Ecco da dove nasce il titolo del loro fortunato best seller, che riecheggia come un mantra durante la tre giorni delle “riprese”: La felicità fa i soldi, nel senso che solo da una ricchezza interiore si può davvero apprezzare anche il benessere materiale. Molte ricerche scientifiche dimostrrano come la meditazione trascendentale, che serve a entrare in sintonia o meglio a far emergere i pensieri più reconditi del nostro io, che sono quelli che poi contribuiscono a formare la nostra coscienza, aiuti tantissimo anche nel lavoro e contribuisca a rendere molto di più e di conseguenza a raggiungere prima e meglio determinati risultati. Ecco perche i ragazzi hanno deciso di creare, dopo questo fortunato corso, una vera e proprio accademia karmica, in cui insegneranno alle persone a raggiungere la vera ricchezza che logicamente “trascende” da quella semplice materiale che tutti noi inseguiamo

domenica 25 novembre 2018

Ecommerce nuova frontiera anche per Ikea




Ikea cambia modello di business e lo fa partendo da un piano di ristrutturazione che prevede la riduzione di 7.500 posti di lavoro o meglio posizioni di lavoro in 30 paesi del mondo secondo quanto comunica l’emittente Usa Cnbc. Non è però una notizia del tutto negativa visto che si punta a rafforzare alcuni settori con altri 11 mila entro 2 anni.. I progetti del colosso svedese di arredamento sono tanti e guardano al futuro smart in particolare. Ci sono però dei dati da considerare. Se le vendite online sembrano proseguire bene, segno che il settore dell’e-commerce è in salute, quelle dei negozi fisici sembrano vacillare..In Germania, le vendite online di Ikea sono cresciute più velocemente delle vendite al dettaglio. Peraltro i ricavi globali di Ikea sono cresciuti del 4,7 per cento e si sono attestati a 34,8 miliardi di euro (39,7 trilioni di dollari) nell’ anno fiscale 2018, conclusosi il 30 agosto, contro il 7% dell'anno precedente.  Ikea sta anche sperimentando nuovi servizi di realtà aumentata, che consentono ai clienti di visualizzare i mobili da acquistare direttamente all’ interno dei propri spazi domestici. Da qui la decisione di un piano di ristrutturazione per investire maggiormente alle vendite online e potenziare i punti vendita nelle città. I grandi store delle periferie sembrano non attrarre più come un tempo i clienti che durante i fine settimana affollano i centri commerciali a caccia dell’accessorio per la casa. L’idea è più quella di investire su negozi più piccoli, situati in centro, con prodotti ad hoc e un servizio clienti attivo. C’è però il rovescio della medaglia visto che Ikea come detto, pensa appunto di “sbarazzarsi” di 7.500 posizioni di lavoro ritenute non importanti e creare più di 11 mila posti nei prossimi 2 anni. Si punta a potenziare il digitale in particolare, dunque figure legate a questo tipo di settore. Il colosso svedese ha in mente anche di aprire 30 negozi in città. In Italia il gruppo vale 1,7 miliardi di euro lo scorso anno e proprio nel nostro paese è iniziata la sperimentazione di negozi più piccoli e specializzati come il Pop-Up store di Roma all’interno di Eataly, che si concentra soprattutto su cucina e living.  Il problema reale è però che il modello di business incentrato sopratutto sui grandi store fuori città, sta cominciando a segnare il passo. La concorrenza dei giganti del web come Amazon sta facendo sentire i suoi effetti anche sul gigante del mobili low cost svedese. La holding di Ikea Ingka perciò ha annunciato piani di ristrutturazione a causa del calo delle vendite nei negozi e l’aumento delle vendite online.  E spiega così la svolta epocale: «stiamo osservando che il settore delle vendite al dettaglio sta cambiando ad un ritmo come mai prima», dice Jesper Brodin, ceo di Ingka. L’idea è quella di avviare un piano per espandere le vendite online e per creare nei negozi in centro città dove poter scegliere l’arredamentoOltre a testare nuove tecnologie (spesa virtuale) proverà l’affitto di mobili e cercherà di portare la propria percentuale di vendite e-commerce dal 5% al 10%
Ikea punta quindi sui centro città, sull’ affitto dei mobili e sull’e-commerce. La scelta di negozi più piccoli e di sviluppo attraverso l’e-commerce non è in line a con quello che sta accadendo in Francia e negli USA, dove i grandi centri commerciali e gli ipermercati sono in crisi da tempo. L’affitto dei mobili potrebbe avere un grosso impatto sull’ ambiente (economia circolare).L'obiettivo è insomma quello di entrare direttamente nelle case dei potenziali acquirenti sfruttando proprio il digitale, lo shopping online e un servizio migliore di consegna a domicilio. Da qui anche la decisione di rivedere le strategie di pianificazione: se finora l'orizzonte temporale andava dai cinque ai dieci anni, ora si è optato per un approccio triennale in modo da stare al passo con una società in rapida trasformazione


giovedì 22 novembre 2018

I SOLDI DELLE DONAZIONI ALL'AFRICA FINISCONO PER META' IN FRANCIA





Forse non tutti sanno che la Francia ha ancora un immenso potere sulle sue ex colonie in Africa operando un vero e proprio sfruttamento sulle medesime. Gli accordi fatti dai paesi africani dopo la fine del colonialismo infatti prevedono delle clausole capestro, che permettono al paese francesi di godere di privilegi assolutamente senza senso. Il primo fra tutti è quello che le 14 ex colonie francesi devono lasciare il 50% di tutto quello che incassano ( compreso le donazioni umanitarie) in valuta estera presso la Banca francese, che materialmente cambia la valuta internazionale in Cfa africano o meglio conosciuto come franco coloniale, la valuta appunto in uso in questi paesi. Questa somma sarebbe lasciate nelle mani francesi come garanzia, non si sa bene di che cosa, se non di garantire il debito pubblico francese, che forse proprio grazie a questa clausola non schizza ai livelli di quello italiano. In origine la quota da trasferire in Francia era pari al 100% dell’incasso, poi è scesa al 65% (riforma del 1973, dopo la fine delle colonie), infine al 50% dal 2005. Così, per esempio, se il Camerun, previo un esplicito permesso francese, esporta vestiti confezionati verso gli Stati Uniti per un valore di 50mila dollari, deve trasferirne 25 mila alla Banca centrale francese.
Un sistema al quale non sfugge neppure un soldo, in quanto gli accordi monetari sul franco Cfa prevedono che vi siano rappresentati dello Stato francese, con diritto di veto, sia nei consigli d’amministrazione che in quelli di sorveglianza delle istituzioni finanziarie delle 14 ex colonie. Grazie a questo trasferimento di ricchezza monetaria, la Francia gestisce a suo piacimento il 50% delle valute estere delle 14 ex colonie, investendoli massicciamente in titoli di Stato emessi dal proprio Tesoro, grazie ai quali ha potuto finanziare per decenni una spesa pubblica generosa, sovente ignara dei vincoli di Maastricht ( senza che dalle parti di Bruxelles nessuno o quasi avesse nulla da eccepire). Secondo il professore Massimo Amato, intervistato da “Nigth Tabloid” programma della Rai che ha recentemente fatto una inchiesta sull'argomento, Su questo conto in questo momento ci sono l'equivalente di 10 miliardi di euro”. E quando poi Angela Merkel, ripetutamente a ha chiesto ai vari governi francesi di depositare il 50% delle riserve delle 14 ex colonie presso la Bce, invece che presso la Banca centrale francese, la risposta è sempre stata un secco no. Per questo motivo Camerun, Ciad, Gabon, Guinea Equatoriale, Repubblica Centrafricana, Repubblica del Congo, Benin, Burkina Faso, Costa d'Avorio, Guinea Bissau, Mali, Niger, Senegal e Togo devono da decenni sottostare a questo giogo, senza avere nessuna possibilità di ribellarsi. Tra i numerosi vincoli imposti dagli accordi sul franco Cfa, vi è anche il «primo diritto» per la Francia di comprare qualsiasi risorsa naturale scoperta nelle sue ex colonie. Da qui il controllo di Parigi su materie prime di enorme valore strategico: uranio, oro, petrolio, gas, caffè, cacao. Soltanto dopo un esplicito «non interesse francese», scatta il permesso di cercare un altro compratore. Come è piuttosto elementare capire e come viene sempre raccontato la fame in Africa non è causata dalla mancanza di risorse, bensì dalla loro esportazione: si esporta la produzione invece di consumarla». E tutto quello che si riusciva a guadagnare attraverso l' esportazione è stato destinato a pagare il debito estero, alimentando un circolo vizioso che ha provocato miseria e povertà crescente. La Francia quindi ha chiaramente tutto l'interesse che questi paesi continuino a rimanere in povertà e che non crescano, perchè la loro crescita e quindi la loro completa indipendenza danneggerebbe sopratutto lei. E' anche per questo che probabilmente Macron vede il nuovo corso della politica migratoria instaurato dal governo gialloverde. Ecco perchè è vergognoso che attacchi Salvini in nome di una solidarietà e di una difesa dei paesi africani che proprio il suo paese in questi decenni ha contribuito a rendere in questa situazione. Forse proprio chi viene tacciato di razzismo come Salvini tutto questo lo ha capito e sta cercando di forzare le cose per arrivare ad una soluzione che possa mettere i paesi africani nelle condizioni di crescere senza nessun condizionamento dall'esterno. E su questo punto che si sta combattendo la una “guerra “intestina fra lui e Macron, non certo sul moralismo e sugli ideali.
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mercoledì 21 novembre 2018

E’ IN CORSO UNA CRISI DELLA SILICON VALLEY?

Uno studio del Pew Research Center di Washington riporta come la percentuale di americani dediti all’uso di tecnologie – come gli smartphone, Internet e i social network – è sostanzialmente ferma, perché quelle tecnologie hanno raggiunto un vero e proprio punto di saturazione. Il 95% degli americani usa il cellulare; il 77% uno smartphone, l’89% Internet; il 69% i social. Per quasi un decennio, questi ultimi hanno dominato l’economia tecnologica, ma man mano che l’esperienza è diventata più satura e invasiva, gli utenti si sono rivolti alla messaggistica criptata: basti pensare ad app come Telegram, o Signal. Cosa vuol dire questo dato, forse poco o forse tantissimo. Il mondo della tecnologia sta affrontando forse una delle sue più gravi crisi dallo scoppio della bolla tecnologica nei primi anni 2000. Wall Street, trascinato proprio dal listino dei titoli tecnologici, ha docuto subire uno degli Ottobri peggiori della sua storia, azzerando tutti i guadagni del 2018. Tutti i principali titoli del settore a cominciare dalla regina Apple, stanno letteralmente precipitando in borsa. E il crollo non pare del tutto giustificato dai dati di bilancio, che malgrado un fisiologico rallentamento, raccontano di un settore ancora in crescita, sia sotto il profilo dei fatturati che dei ricavi. Un crollo che però fa salire a 1.000 miliardi il valore di mercato bruciato dalle Faang -FacebookAppleAmazonNetflix Google - rispetto ai loro record storici. Dal 25 luglio Facebook ha bruciato 250 miliardi. Amazon ha visto svanire dal 4 settembre 255 miliardi, mentre Google 155 dal 27 luglio. Netflix ha perso 63 miliardi dal 21 giugno. Difficile dare una spiegazione univoca per questo trend. Certamente gli scandali scoppiati che hanno colpito sopratutto Facebook, ma anche Google e twitter, non hanno di certo aiutato. La congiuntura economica con il rialzo dei tassi americani e la politica dei dazi del presidente Trump hanno avuto il loro impatto. Ma un crollo di questa entità era difficilmente pronosticabile. Ha destato impressione l'affermazione fatta dall'uomo più ricco del mondo Jeff Bezos, fondatore di Amazon, che ad una recente assemblea ha candidamente affermato che sicuramente anche Amazon inevitabilmente fallirà, negando il fatto che sia “too big to fail” e si tratterà solo di ritardare il più possibile quel momento. Come anche non pensare al ritiro anticipato di Jack Ma, fondatore del più grande sito di e commerce al mondo Alibaba, che ha evidentemente fiutato l'aria che tira ed ha preferito ritirarsi in gloria. Insomma pare proprio che gli stessi fondatori prevedano per le loro creazioni un futuro non cosi roseo o comunque duraturo. Sicuramente la crescita spropositata dei colossi del web poteva prevedere una leggera flessione, ma non cosi repentina. Qualche Cassandra arriva perfino a preconizzare una ennesima bolla, che determinerà un deciso ridimensionamento di tutti i giganti della Silicon Valley, altro che festeggiare il miliardo di capitalizzazione come avevano fatto solo qualche mese fa  Apple e Amazon. Forse, ma qui qualcuno potrà sicuramente obiettare, è cambiato il vento politico, che inutile negarlo ha sempre favorito, magari anche surrettiziamente la crescita delle aziende tech, con politiche vantaggiose dal punto di vista fiscale e cercando comunque di incentivarle in tutti i modi, chiudendo anche un occhio sulle loro enormi evasioni ed elusioni fiscali. Forse qualcuno avrà cominciato a capire che queste aziende stanno prendendo troppo potere e che quindi occorre una pausa di riflessione per ripensare al loro strabordante ruolo nella vita dio ognuno di noi. Lo scandalo di Cambridge Analytics potrebbe essere stato un importante spartiacque, non solo per Facebook, ma per tutti quelli che comunque riescono ad avere accesso alle nostre vite private condizionandole oltre misura. Certo questo non può assolutamente essere considerato un de profundis, la rivoluzione digitale è ormai nello stato delle cose ed è indubbio che essa ha aiutato a migliorare la vita di tutti noi. Ma sicuramente un ripensamento sul suo utilizzo e sul suo futuro occorre e il fatto che uno dei pionieri di questa rivoluzione, Bill Gates, fra i primi ad abbandonare il mondo del web per dedicarsi ad attività benefiche ( si sa i pionieri sono sempre avanti), commentando la crisi del Nasdaq, ha detto che per capire tutto questo stato di cose è sicuramente utilissimo guardare la nuova fortunatissima serie di HBO “ Silicon Valley” una sit-com  che fa una feroce parodia del mondo tecnologico e delle sue declinazioni. Forse, ma ripetiamo forse, è arrivato davvero il momento di decelerare in questa folle rincorsa verso il progresso sfrenato e l ' eccessiva invasione della tecnologia in tutte le sue forme nella quotidianità della vita di ognuno di noi. Ai posteri l'ardua sentenza.

domenica 18 novembre 2018

DONAZIONI? CONTROLLALE CON LA BLOCKCHAIN. IL CASO HELPERBIT




Si sa che noi italiani siamo a livello internazionale riconosciuti come un popolo dal cuore d’ oro. Ma adesso a certificare questa tendenza e  arrivato un importante riconoscimento internazionale ad una interessante start up nostrana, che si occupa proprio di donazioni a livello umanitario. Durante la finale di StartUp Europe Summit, infatti, la manifestazione annuale europea con innovatori, investitori e responsabili politici, che si è svolta a Sofia il 15 novembre 2018, la startup italiana Helperbit è stata riconosciuta come la miglior startup in Europa nella categoria fintech. 
L'evento, che quest'anno si è concentrato sulle regioni dell'Europa centrale e orientale e sui Balcani occidentali, ha riunito più di 500 rappresentanti dell'ecosistema imprenditoriale europeo.
Helperbit ha creato una piattaforma che permette di portare la trasparenza nel settore delle donazioni attraverso l'uso del bitcoin, la famosa criptovaluta che permette di rendere trasparente e visibile il flusso di denaro, evitando le inefficienze nella gestione dei fondi per le emergenze umanitarie. 
Alzi la mano, infatti, chi per un momento una volta che fa una donazione non ha io dubbio che quei soldi vengano destinati proprio ala causa per la quale sono stati inviati. Molto fatti di cronaca hanno infatti scoperchiati vergognosi episodi di male utilizzo di ingenti somme di denaro destinate ad iniziative umanitarie. L’idea Helperbit non a caso, nacque nel 2014, proprio alla luce degli scandali sulla gestione dell’emergenza in seguito al terremoto a L’Aquila del 2009: i 5 milioni di euro raccolti tramite SMS non arrivarono mai direttamente ai terremotati ma servirono per costituire un Consorzio finanziario con un Fondo di garanzia: un progetto di microcredito gestito da enti locali, banche e Caritas, con costi di gestione alti e tempi lunghi di attuazione. Ecco allora che nascere l idea di Helperbit, che  attraverso
la tecnologia blockchain e l'uso dei GIS (Geographic Information System, in italiano sistemi informatici geografici) permette di studiare e analizzare i territori colpiti da disastri naturali e assicurarsi che le donazioni arrivino a chi ne ha veramente bisogno, senza venir erose nel cammino da burocrazia o corruzione.
Il premio ricevuto da Helperbit è stato ottenuto durante StartUp Europe Awards (SEUA), un'iniziativa della Commissione Europea e della Fondazione Finnova in collaborazione con Startup Europe Summit. Dopo aver superato diverse fasi di selezione ed essere stata scelta come rappresentante per l'Italia nella categoria fintech, Helperbit ha ricevuto il premio dalle mani di Mariya Gabriel, commissaria europea per l'economia e la società digitale, accreditando Helperbit come vincitore europeo, alla presenza del primo ministro bulgaro, Boyko Borissov e diversi primi ministri e ministri Europei. 
“La blockchain – spiega Davide Menegaldo, coo di Helperbit - permette di avere trasferimenti di denaro in qualunque parte del mondo, con costi e tempi ridotti rispetto ai sistemi tradizionali e, registrando tutte le transazioni che avvengono nel network bitcoin, offre l'opportunità di tracciare in tempo reale i flussi economici. Portare trasparenza nelle raccolte fondi è il vantaggio principale, in quanto oggi a livello mondiale il settore della beneficenza è afflitto da problematiche legate all'opacità, inefficienze e mala gestione dei fondi”. Con la speranza che la maggiore fiducia generata nei donatori possa anche aumentare il volume delle donazioni. In totale, nell'arco di un anno, sono stati raccolti oltre 10 bitcoin (al valore circa 55.000 euro) da una decina di progetti attivi. Quello d'esordio, creato da Legambiente per sostenere i giovani imprenditori nelle aree terremotate del centro Italia, è stato al momento quello di maggior successo e si è già tradotto in aiuti sul territorio.
Dallo scorso settembre, grazie a un accordo con i servizi finanziari di Mistral Pay e con l'exchange The Rock Trading, Helperbit permette anche di donare con carta di credito, debito e prepagata. L'utente non deve più reperire autonomamente i bitcoin, ma la donazione viene automaticamente convertita in criptovaluta. Certo esiste il problema della grande volatilità della criptò valuta, che negli ultimi mesi si è deprezzata moltissimo. Ma a questo la società cerca di porre rimedio,minimizzando al massimo il tempo in cui j soldi raccolti rimangono in portafoglio, incentivando gli enti che ricevono le donazioni a spendere dette somme nel più breve tempo possibile, aumentando oltretutto anche in questo senso l efficienza degli interventi. Ma come guadagna Helperbit? La startup si sostiene tramite consulenze e sviluppo di servizi informatici che riguardano la blockchain. “Ma per il futuro – conclude Menegaldo - sono in fase di definizione diversi servizi extra per le organizzazioni no profit e stiamo sviluppando un servizio assicurativo contro calamità naturali (sempre basato su tecnologia blockchain), che nel lungo periodo porterà i maggiori ricavi”. 



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martedì 6 novembre 2018

IL CONFLITTO CINA E USA SI GIOCA ANCHE IN EUROPA

E' di pochi giorni fa l’ annuncio di un accordo fra USA e Cina. Dopo la guerra dei dazi promossa da Trump contro la “ concorrenza sleale “ dei cinesi e al grido di “ America first ” il tycoon evidentemente è dovuto scendere a qualche compromessi con quello che ormai da tutti viene considerato come la vera locomotiva mondiale.  Due secoli or sono, Napoleone lanciò un monito: «Lasciate dormire la Cina, perché al suo risveglio il mondo tremerà». Oggi la Cina si è risvegliata e il mondo inizia a tremare.
è un interessantissimo libro del professore Graham Allison, docente ad Harvard, destinati alla guerra” in cui l esimio professore e politigolo americano porta avanti una tesi suggestiva e inquietante allo stesso tempo. Secondo Allison, infatti, la incredibile crescita della Cina potrebbe portare anche ad una guerra. Per giustificare questa tesi, cita la “ trappola di TucidideSecondo questa teoria, quando una potenza emergente minaccia di scalzarne unaltra al potere, ecco che scatterebbe l allarme. La Cina e gli Stati Uniti stanno procedendo in rotta di collisione verso la guerra, Forse la teoria del celebre politologo americano, che si rifà alla guerra fra Sparta ed Atene nell antica Grecia, in cui una potenza affermata come Sparta, ai giorni d oggi gli USA, si è sentita minacciata da un altra in crescita esponenziale come Atene, nel nostro caso la Cina, può forse apparire  paradossale o troppo enfatica, considerando come la minaccia atomica abbia fino ad ora agito come deterrente verso qualsiasi tipo di conflitto. Ma certo e’ che l amministrazione americana si sente assai minacciata dalla potenza della Cina, che in venti anni ha realizzato quanto gli USA hanno fatto in oltre cento anni di storia. Qualche piccolo dato può aiutare a contestualizzare il tutto. Dopo la seconda guerra mondiale il pil degli Stati Uniti era il 50% di quello globale, oggi raggiunge a malapena il 16%. La Cina il cui pil nel 1980 era il 2% di quello totale, nel 2017 rappresenta il 19% e nel 2040 sarà il 33% di quello globale.” Nel 2015 il punto di crescita più basso la Cina ha creato una Grecia ogni 16 settimane è un Israele ogni 25. E questo considerando come la produttività dei cinesi sia ancora un quarto rispetto a quella dei laboratori statunitensi, se riusciranno a colmare questo gap, e v e da credere che lo faranno, fra una ventina di anni l economia del dragone potrebbe essere doppia rispetto a quella degli Stati Uniti. Tutto questo non può certo essere tollerato con sufficienza dal grande ego che da sempre contraddistingue gli USA, ancora di più adesso sotto la presidenza di Trump. D’ altra parte Xi sta dimostrando che quello che vuole e’ proprio aumentare la potenza e l importanza del suo paese nello scacchiere mondiale. La crisi nordcoreana ha proprio dimostrato questo. Ecco allora che in questo contesto proprio la tanto vituperata Europa potrebbe giocoforza giocare un ruolo importante come ago della bilancia fra i due litiganti. Non è un caso che Trump stia cercando di dividere la stessa Europa, puntando proprio sul nostro paese, cosa che peraltro nel suo piccolo sta cercando di fare per altri motivi anche la Russia di Putin. Pechino, invece, conta di spostare il baricentro dei suoi mercati, sia di approvvigionamento che di sbocco: i Paesi produttori di generi alimentari o di prodotti energetici, come Argentina ed Australia, vengono ampiamente favoriti rispetto agli Usa; i Paesi manifatturieri in cerca di sbocco per le proprie merci, come quelli europei, riempiono lo spazio lasciato vuoto in Cina dallaumento dei dazi sullimport dagli Usa. È proprio questo vuole evitare Trump e proprio su questo sta giocando la sua guerra personale contro Germania e Francia. Un Europa più debole infatti favorisce l egemonia statunitense ed impedisce alla Cina di avere un altro sbocco importante per le sue merci. Ecco perché il nostro paese rischia di avere un peso così importante nei nuovi equilibri mondiali. Forse questo è proprio il vero obiettivo di uno stratega e politico di razza come Salvini, che vede nel trionfo delle destre un po’ in tutto il mondo, un viatico per un cambio di passo anche in Europa, e la possibilità di giocarsi le sua carte, magari come presidente della commissione, non solo a livello nazionale, ma anche a livello internazionale. Non è un caso che anche all interno della stessa maggioranza Di Maio ( che è stato in Cina due volte in pochi mesi ) cerchi di differenziarsi col suo principale alleato anche in questo, cercando una sponda in Pechino. Insomma per una volta forse il nostro paese può davvero giocare un ruolo di primo piano nelle relazioni internazionali. E tutto questo proprio grazie al nuovo atteggiamento del governo giallo verde. Piaccia o no.

venerdì 2 novembre 2018

LOYALTY AZIENDALE UN MERCATO IN GRANDE CRESCITA

Quello dei programmi fedeltà per i clienti è un mercato che vale quasi 2 miliardi di dollari, una cifra che entro il 2023 potrebbe triplicare crescendo ogni anno almeno il 20% in più. 
Il 74% degli italiani è iscritto a un programma fedeltà presso almeno un rivenditore che offre questo tipo di iniziativa  (media UE e Mondo 66%). Il 44% aderisce a un numero di programmi compreso tra 2 e 5, un consumatore su 6 (il 17%)  è iscritto a più di sei programmi. I dati emergono dalla Global Survey di Nielsen “Retailer Loyalty: Card-carrying consumer perspectives on retail loyalty-program participation and perks” elaborata su un campione di oltre 30.000 individui in 63 Paesi.
“La personalizzazione dell’offerta” ha dichiarato l’a.d. di Nielsen Italia Giovanni Fantasia, “costituisce il futuro dei programmi di fidelizzazione soprattutto in Italia, dove i margini di crescita in questo senso sono ancora molto ampi. Occorre costruire una relazione personale per interagire in maniera diretta con il cliente, ad esempio attraverso i Social Media. D’ altra parte acquisire un cliente e’ molto più dispendioso di quanto sia trattenerlo. Si calcola che il costo per le imprese in questo senso, sia 7 volte maggiore. In alcuni settori come quello della telecomunicazione,mercato ormai saturo, per esempio si sta assistendo  da anni ad una vera e propria guerra fra gli operatori per cercare di “ rubare” clienti alla concorrenza, con offerte sempre più vantaggiose ma che inevitabilmente impattano sui conti. Dopo l arrivo di nuovi operatori low cost, trattenere i propri clienti sta diventando una operazione sempre più necessaria. Ecco allora che diventa obbligatorio affidarsi a programmi fedeltà, gamification e win loyalty per cercare di fidelizzare sempre più la propria clientela. Per non parlare delle grandi catene di distribuzione che stanno investendo cifre e tecnologie per migliorare i loro programmi fedeltà, rendendoli molto più appetibili per i clienti. Oppure per restare alle cose di casa nostra si pensi alla battaglia fra Alitalia ed Ethiad per il programma millemiglia. Per il programma fedeltà della compagnia italiana, infatti, si è arrivati alla lite giudiziaria, per testimoniare quanto sia importante avere il controllo del database del programma. Secondo alcuni addirittura tutto il progetto di alleanza aveva come unico obiettivo da parte della compagnia degli Emirati proprio quello di mettere le mani sul programma fedeltà di Alitalia. Come non citare poi il successo di Prime di  Amazon, abbinamento per i clienti più fidati de colosso dell econmerce, che garantisce vantaggi e premi per gli aderenti. Uno dei motivi per cui Jeff Bezos è diventato l’uomo più ricco del mondo, infatti,  consiste proprio nella sua abitudine, quasi folle, di analizzare ogni aspetto del comportamento del consumatore. Amazon ha implementato, nel corso della sua lunga storia, diverse migliorie per soddisfare i clienti e per fidelizzarli, con un conseguente aumento delle vendite. Sono sempre di più gli iscritti al suo programma fedeltà, proprio perché Bezos ha subito pensato a come trattenere la propria clientela e farla diventare sempre più fidelizzata, regalando privilegi a chi accettava di aderire al suo programma di loyalty. Sempre secondo i dati dello studio Nielsen, si evidenzia come oltre sei consumatori su dieci (il 62%) hanno dichiarato di acquistare preferibilmente, a parità di condizioni, presso negozi che offrono carte fedeltà. Per il 60% il programma fedeltà costituisce la ragione per continuare a frequentare il negozio che lo offre. Il 55% spende maggiori somme di denaro e incrementa la frequenza di acquisto in presenza di queste iniziative. Forse proprio scorrendo questi dati si spiega il successo di una giovane start up, La Domec solutio fondata a Potenza nel 2014, attiva nei programmi di pagamenti digitali innovativi e della loyalty digitale. Nel 2017  infatti è stata selezionata da Cetif- Università Cattolica di Milano come una delle Fintech più interessanti del panorama italiano. Nell’ambito del Premio Marzotto, è stata premiata da Banca Sella come la migliore Collaborative Fintech italiana dell’anno. Domec, inoltre, fa parte del ristretto gruppo di Early Metrics 5-stars Startups. In meno di tre anni di operatività, la piattaforma proprietaria Domec Tools, sviluppata interamente presso il Centro di Ricerca e Sviluppo di Potenza in Basilicata, ha superato la soglia di dieci milioni di transazioni on line-real time. Insomma numeri che fanno capire come il mercato delle carte fedeltà, dell’ engagement e della loyalty in generale sembra destinato a diventare il vero campo di battaglia per tutte le aziende in un futuro sempre più tecnologico e “liquido” in cui, per le aziende, assicurarsi la fedeltà della clientela diventa ormai quasi un ‘ imperativo categorico.


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