"Siamo sempre con il fratello Azerbaijan poiché è sempre dalla parte della Turchia…continueremo a stare con Baku sul campo di battaglia e al tavolo dei negoziati" , assicurava qualche giorno fa il ministro degli esteri turco Mevlut Cavusoglu ( lo stesso ricevuto con i massimi onori e ringraziato per il suo lavoro dal ministero degli Esteri italiani Di Maio qualche giorno fa a Roma). Davanti a queste frasi è arduo immaginare come Ankara possa dare un contributo diplomatico alla soluzione del conflitto tra Armenia e Azerbaijan. Al contrario sul campo di battaglia il suo «contributo» è evidente. E non solo per gli ingenti rifornimenti di armi agli azeri. Il ben informato portale d’informazione sul Medio oriente Middle East Eye (Mee) riferisce che centinaia di mercenari siriani agli ordini della Turchia sono partiti o stanno per andare in Azerbaijan. Hanno l’incarico di proteggere gli interessi turchi di fronte alla possibilità concreta di una guerra aperta tra Armenia e Azerbaijan per il Nagorno-Karabakh. Secondo le autorità armene, la Turchia ha già fornito armi a Baku, compresi i droni , insieme ad esperti militari. Insomma la spinta interventista di Erdogan in tutta la zona mediorientale con allargamento a Libia e Tunisia non pare volersi arrestare, anzi. In un'intervista a TIME, il primo ministro armeno Nikol Pashinyan ha raddoppiato le accuse secondo cui il suo acerrimo rivale, la Turchia, sta già intervenendo militarmente a nome dell'Azerbaigian, sostenendo che il presidente Recep Tayyip Erdogan sta gareggiando per estendere la sua influenza nella regione.
"L'Armenia e il Karabakh sono diventati una prima linea di civiltà", ha detto Pashinyan al Time, al telefono il 2 ottobre, accusando Erdogan di aver inviato tra 1.500 e 2.000 "terroristi" siriani nella regione a sostegno dell'Azerbaigian, un paese con cui la Turchia condivide profondamente legami culturali ed economici. Di concerto con le incursioni militari della Turchia in Siria e Libia e la sua instabile situazione di stallo marittimo nel Mediterraneo orientale, Pashinyan ha affermato: "L'azione della Turchia non è altro che un'azione volta a ripristinare l'impero ottomano”. Accuse sicuramente pesanti che però non sembrano smuovere più di tanto Erdogan, che come detto non pare affatto rimanere neutrale di fronte alla recrudescenza del conflitto fra Armeni ed azeri per il controllo del Nagorno Karabakh. Il conflitto che si è di nuovo accentuato dopo un periodo di relativa calma si scontra con una situazione geopolitica assai delicata, fra gli Stati Uniti distratti dalla campagna elettorale e da una situazione pandemica sempre più complicata, l Europa che manco a dirlo è purtroppo sempre piuttosto marginale nella sua opera di mediazione internazionale, la Russia che fa parte INSIEME a Francia e Stati Uniti, nel gruppo di Minsk dell OCSE proprio per dirimere il conflitto fra Armeni ed azeri, continua a mantenere un atteggiamento piuttosto ambiguo e fatica ora a trovare il bandolo della matassa.ecco perché come già accaduto in Siria e in Libia, la Turchia sembra voler approfittare di questa situazione di “vuoto di potere”per allargare la sua influenza geopolitica, rischiando chiaramente di elevare il livello della tensione. Dal punto di vista economico da anni la Turchia ha portato avanti investimenti reciproci, e ricevuto forniture di idrocarburi dall’Azerbaigian e «il ruolo turco di snodo nel sistema di infrastrutture di trasporto energetico tra Baku e i mercati europei – è tutt’altro che secondario» dice Carlo Frappi, ricercatore dell'Ispi e professore di politica internazionale alla università Ca Foscari di Venezia. Ma la zona è importante anche per il nostro paese, dal momento che l'Azerbaijan è il terzo fornitore di petrolio dell'Italia e il gasdotto TAP parte proprio in territorio azero. Ecco perché attenzione del nostro paese dovrebbe essere massima di fronte a questo inasprirsi del conflitto e potrebbe anche giocare un ruolo importante nel processo di mediazione per sbloccare la situazione di stallo creatasi. Ma fino ad ora il nostro paese sembra rimanere alla finestra. Come la stessa Europa, come denunciato a Bruxelles, in un accorato intervento al parlamento europeo ieri Carlo Fidanza, capo delegazione di fdi a Bruxelles.
I rischi che il conflitto possa avere ripercussioni sulla stabilità di tutta la zona sono altissimi considerando che anche l Iran e indirettamente coinvolto, Nel 1989, l'Iran, infatti, ha dovuto affrontare un enorme afflusso di rifugiati azeri e ha dovuto istituire campi per loro quando il conflitto è scoppiato per la prima volta negli ultimi giorni dell'Unione Sovietica. La Turchia ha una presenza militare nella repubblica autonoma di Nakhchivan, che dista appena 150 chilometri da Tabriz, la capitale della provincia iraniana dell'Azerbaijan orientale. Se il conflitto si estendesse a questa regione, il rischio di un battibecco turco-iraniano non può essere escluso. Ma l'Iran non può permettersi uno scontro militare con l'Azerbaigian o la Turchia. In considerazione della sua numerosa popolazione azera, un conflitto con Baku potrebbe degenerare in una guerra civile. Stretto com'è dagli Stati Uniti, da Israele e dalla maggior parte degli Stati arabi del Golfo, difficilmente può permettersi anche un ulteriore fronte con la Turchia di Erdogan. Tuttavia, ci sono state accuse secondo cui l'Iran avrebbe sostenuto direttamente l'Armenia, che a sua volta è sostenuta dalla Russia. Recentemente, alcuni video che circolano sui social media, hanno mostrato presumibilmente il trasferimento di attrezzature militari in Armenia tramite camion che passavano attraverso un valico di confine iraniano. L'Iran ha immediatamente negato qualsiasi coinvolgimento nel conflitto, affermando che si trattava di "voci infondate" volte a diffamare le relazioni con l'Azerbaigian. La televisione di stato iraniana ha poi trasmesso filmati dal terminal di confine di Nordooz dove si trovavano i veicoli in questione. Questi filmati dimostrerebbe che erano camion russi Kamaz, che un funzionario locale ha detto erano stati acquistati dall'Armenia prima del conflitto e venivano trasportati attraverso l'Iran e che trasportavano parti di veicoli e non materiale bellico. La situazione insomma rischia di degenerare da un momento all'altro e questa notizia dell'arrivo sul terreno del conflitto dei mercenari siriani. Secondo altre fonti autorevoli si tratterebbe di un contingente di circa 4.000 combattenti che la Turchia avrebbe trasferito dalla Siria settentrionale all'Azerbaigian. Gente disposta a tutto in cambio di denaro come ha detto uno di loro Khaled Saleh, al quotidiano online Al Monitor, 25 anni, della campagna settentrionale di Aleppo: “Lavoro con il Primo Corpo dell'Esercito Siriano Libero (FSA). La situazione di vita nel nord della Siria e la disoccupazione mi hanno costretto ad andare in Libia prima, e ora ho deciso di andare in Azerbaigian per 1.500 dollari. Non avrei mai pensato che avrei mai combattuto qualcuno che non fosse il regime siriano, e lo stavo combattendo gratuitamente. Ma ho dovuto combattere in Libia per garantire il reddito della mia famiglia perché siamo poveri e non abbiamo nulla tranne quello che ci forniscono alcune organizzazioni umanitarie nel nord della Siria "
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