domenica 29 marzo 2020

LA RIGIDA OLANDA SOTTOVALUTA IL RISCHIO VIRUS

La risposta dell’Olanda al virus è stata assolutamente inconsistente” queste sono le dure parole di Arjen Boin, professore di istituzioni pubbliche e governance della facoltà di Scienze Politiche alla Leiden Univesrity in Olanda. Il professore che è specializzato nelle analisi di come le importanti crisi in tutto il mondo, come catastrofi naturali e calamità che sconvolgono intere comunità. Sicuramente una voce autorevole in queste tempi di pandemia da corna virus. Ciò che lo colpisce è che i Paesi Bassi siano stati così lenti a rispondere. "Dall'inizio di gennaio, ci saremmo aspettati che questo virus molto contagioso raggiungesse i Paesi Bassi, ma i Paesi Bassi non hanno praticamente preso alcuna misura." Affari come al solito o blocco? In questo tipo di crisi ci sono circa due modelli di risposta, spiega Boin. Con il modello A si lascia la situazione più o meno come al solito senza adottare misure eccezionali di reazione, e con il modello B invece si mette mano a misure eccezionali, come fatto in Italia prima, e poi a seguire in Francia, Spagna, Gran Bretagna, e Stati Uniti sul modello di quanto accaduto a Whuan in Cina. I Paesi Bassi hanno optato per il modello A. Questo è il motivo per cui le persone provenienti da aree ad alto rischio in Italia, Giappone e Corea del Sud potevano viaggiare liberamente nei Paesi Bassi e viceversa, e nessun evento importante è stato cancellato. Boin: "Non sto dicendo che questo è male, ma sto solo concludendo che A è la scelta che è stata fatta. I cancelli sono quindi spalancati. Gli interessi economici sembrano prevalere. Questa è una scelta difendibile, ma sarebbe positivo se il Primo Ministro o il ministro della sanità fossero chiari su questo. " L'UE deve coordinare la sua risposta, proprio quello che la rigida Olanda sembra voler evitare. L'ipotesi è  passare al modello B se la situazione in Olanda, come sembra, dovesse peggiorare. Ma sarebbe troppo tardi, dice Boin. Gli stati membri europei non stanno lavorando insieme correttamente, dice - ogni paese sta rispondendo a modo suo. Solo la settimana scorsa il Consiglio di crisi dell'UE ha iniziato a coordinare la crisi. Boin chiede una risposta più snella e un adeguato coordinamento delle "misure corona" da parte degli Stati membri.  Il governo olandese sta inviando un messaggio misto sotto alcuni aspetti, afferma Boin. 'Stanno chiarendo che dovremmo prendere sul serio il " romanzo" coronavirus e che il gabinetto è in trattativa di crisi, ma allo stesso tempo vogliono sottolineare che la maggior parte delle persone non sono in pericolo, che non dobbiamo essere troppo veloci a chiamare il dottore e che non tutti possiamo farci testare in massa. " Ecco perché forse l’austera Olanda non comprendendo la minacci del coronavirus, sia sorda al grido di allarme che arriva da paesi come Italia, Spagna e Francia che invece stanno prendendo la cosa molto seriamente.
"Nei Paesi Bassi, i negozi sono ancora aperti e sono ancora consentite riunioni di 100 persone - si tratta di terreni fertili per il virus", ha affermato Marino Keulen, sindaco della città di confine belga Lanaken, in vista degli ultimi annunci olandesi. La scorsa settimana il Belgio ha introdotto controlli alle frontiere per reprimere i viaggi non essenziali. Keulen ha definito i controlli di frontiera un "segnale all'Aia" per "aumentare rapidamente" la sua risposta e allinearsi con i paesi vicini. Dopo che le autorità belghe hanno installato barricate sulle strade, hanno detto alle auto con targhe olandesi di voltarsi e tornare a casa . "Il governo olandese è incompetente e ridicolo nella sua risposta alla crisi del coronavirus", ha dichiarato Leopold Lippens, sindaco della città costiera belga Knokke-Heist, che ha deciso di bloccare il suo comune prima delle restrizioni nazionali. "I Paesi Bassi non stanno facendo nulla, quindi dobbiamo proteggerci." Il primo ministro olandese Mark Rutte ha difeso l'approccio del Paese, che la scorsa settimana ha visto la chiusura di scuole, bar e ristoranti. "L'obiettivo dell'approccio è di non sovraccaricare il sistema sanitario, oltre a proteggere gli anziani e i vulnerabili", ha detto Rutte durante un dibattito parlamentare a meta Marzo. Eppure il virus è presente anche li, anche se per ora con numeri sicuramente più bassi, considerando che il 28 Marzo i contagiati erano 9367 e i morti 642, numeri che pero rapportati ai circa 7 milioni di abitanti, rappresentano comunque una incidenza certo da non sottovalutare. D’altra parte lo stesso premier olandese nel discorso alla nazione di dieci giorni fa, ha dichiarato che il coronavirus è tra noi e che per il momento ci rimarrà. Rutte s'è detto convinto che non esista una soluzione immediata per contenere la pandemia. "La realtà è che gran parte del popolo olandese verrà contagiato nel prossimo futuro", ha affermato, sottolineando che l'obiettivo di politica sanitaria dell'esecutivo è quello di sviluppare l'immunità di gregge. Parole che riecheggiano piuttosto lugubri considerando che l’ultimo a dire una simile affermazione, il premier inglese Boris Johnson adesso si trova in quarantena, dopo esser risultato positivo al virus e con gran ritardo ha deciso per la chiusura totale del regno Unito. In Olanda, invece, malgrado, come detto, le scuole siano state chiuse, così come i bar e i ristoranti, non è stata adottata nessuna misura di quarantena. Il solo accorgimento suggerito è quello di non avvicinarsi a più di 1,5 metri dagli sconosciuti. Scelte si dirà su cui nessuno chiaramente può permettersi di mettere il becco, però allo stesso danno idea di come la rigidità dell’Olanda sulle misure economiche da adottare da parte dell’Europa siano però invece una questione che riguarda tutti i 27 membri. Ma proprio su questo punto bisogna registrare, nelle ultime ore, un importante distinguo che potrebbe incrinare questo atteggiamento in uno dei membri più rigidi verso qualsiasi forma di mutualizzazione del debito. Klaas Knot, governatore della De Nederlandsche Bank, la Banca centrale dei Paesi Bassi, infatti, ha preso le distanze dal suo governo, in maniera anche piuttosto clamorosa, sostenendo la necessità di una risposta europea alla crisi causata dal Coronavirus che comprenda Coronabond e un uso più efficiente del Fondo Salvastati. In un’intervista concessa al giornale olandese “nrc.nl”, Knot  ha sostenuto che “questo è un test per la zona euro. Quando vedi cosa sta succedendo con il Coronavirus in paesi come l’Italia e la Spagna, penso che la richiesta di solidarietà sia estremamente logica”. Poi ha ammesso che “il modo in cui attuare questa solidarietà è una decisione politica. E’ auspicabile che emerga anche qualcosa in comune da parte dei governi: una risposta europea alla crisi. A turno, possiamo acquistare Coronabond o nuove obbligazioni emesse dall’ESM”. Concludendo che sia necessaria una combinazione di solidarietà e adattamento delle economie dei Paesi in cui è necessario l’aiuto, “rafforzando le economie di chi è in difficoltà”. Chissà se questa apertura possa essere una piccola crepa nel muro della rigidità olandese, che guida il fronte dei paesi cosiddetti “frugali”.

giovedì 26 marzo 2020

GERMANIA SORDA ANCHE DI FRONTE ALL EMERGENZA


Domani si prepara un importante Consiglio Europeo, che dovrebbe prendere decisioni fondamentali sul come intervenire per far fronte alla emergenza coronavirus e alle coneguenze che essa portera sulla economia europea. Mentre gli Stati Uniti in pochi giorni approvano senza grosse discussioni un piano di aiuti monstre da 2000 miliardi di dollari, con aiuti diretti ad imprese e famiglie, in Europa si litiga ancora sulle regole e le condizioni di accesso ai prestiti del Mes. Il nodo che non sara certo facile sciogliere è quello che riguarda la presenza o meno di condizioni per accedere al cosiddetto fondo salvastati, che in base alle prime bozze, potrebbero essere assai stringenti per chi come il nostro paese ha una situazione debitoria complessa. Molti pensano infatti che qualcuno ( Germania in testa) possa speculare sul virus per mettere il nostro paese all'angolo e sottoporlo al giogo delle stringenti regole di bilancio, come è più di quello già realizzato in Grecia dopo la crisi finanziaria del 2008. Cerchiamo allora di capire a cosa potrebbe andare incontro il nostro paese, se la linea della fermezza dovesse mai prevalere. Allo stato attuale delle cose, il mercato dei bond sovrani europei è molto frammentato: ogni stato emette i suoi titoli in base alla strategia di finanziamento pubblicata annualmente. Sarebbe invece ipotizzabile aggregare il fabbisogno di finanziamento dei singoli paesi sotto un’unica bandiera, come adesso da più parti si vorrebbe mettere in campo ? “Certo che sì” ha detto di recente Alessandro Tentori, chief investment officer di AXA IM Italia, “anzi sarebbe pure utile per aumentare la liquidità del mercato secondario, che invece di essere frammentata in decine di titoli sarebbe concentrata su una singola curva benchmark”. Perché è allora così difficile trovare un accordo sugli eurobond? Secondo molti il principale nodo da sciogliere è legato all’assenza di una unione a livello fiscale, ambito in cui “ogni ingerenza da parte di altri paesi piuttosto che di Bruxelles viene vista come un affronto, quasi si trattasse di un atto bellico”.
Inoltre ci sarebbe da risolvere la questione del risk-sharing, ossia la distribuzione dei costi nel caso di dover assistere a un default sovrano o a una ristrutturazione controllata del debito. In parole povere perché un tedesco dovrebbe accettare di mettere i propri soldi per salvare paesi meno virtuosi come il nostro per esempio. Questo aaccade perche non si è mai risolta quella che è la contraddizione di fondo di questa Europa, la cui unione mai è stata davvero realizzata se non a parole Ognuno si muove autonomamente senza che ci sia un minimo di regia o di comunione di intenti, come anche questa ultima drammatica emergenza sanitaria ha dimostrato. E se questa coesione e unità di intenti non la si riesce a trovare nemmeno in una simile situazione senza precedenti, non si capisce davvero quando è dove la si potrebbe mai trovare. Tornando al Consiglio europeo di domani, probabilmente si assisterà al solito scontro fra i paesi del nord rigoristi e quelli de sud piu accomodanti, sulle reali possibilità di emettere i famigerati eurobond per far fronte alla crisi economica incombente. Proprio il Mes potrebbe trasformarsi nel veicolo finanziario con cui emettere i nuovi “coronabond”. Fra le risorse a cui guarda il governo italiano per finanziare le risorse contro lo shock economico del coronavirus c’è l’ipotesi appunto “di usare l’emissione di eurobond da parte del Mes, senza alcuna condizionalità”, come ha affermato di recente il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, in audizione sul decreto Cura Italia.
Del resto, ha spiegato il commissario Ue agli affari economici Paolo Gentiloni, “alla crisi non si può far fronte con strumenti usati in passato, perché origini e natura di essa non vanno confuse con quelle di 10-12 anni fa”. Secondo Gentiloni i coronabond “devono essere lanciati da strutture finanziarie perché sono titoli finanziari europei. La struttura più adatta per lanciarli è il Mes”. Ma a livello di dibattito, sottolinea Gentiloni, “non ci siamo ancora, è inutile dire cose che non sono ancora nelle decisioni prese, la discussione deve andare avanti. Temo che con l’evoluzione della pandemia aumenterà anche la consapevolezza di tutti che bisogna reagire anche con strumenti finanziari”. Come dire tutto e il contrario di tutto e se a dire queste cose è un commissario all'economia, per di più italiano, la cosa dovrebbe assai preoccupare Palazzo Chigi.
Più dure e scettiche a tal proposito sono state sicuramente le opposizioni. Salvini è stato perentorio quando giorni fa ha commentato caustico “Da Bruxelles per ora solo silenzi o vaghe promesse, servono tanti tanti soldi, subito. I miliardi si trovarono per aiutare le banche tedesche o per finanziare la Turchia. Adesso che ha bisogno l’Italia non si può? “.
Giorgia Meloni, presidente di Fratelli d’Italia, rincara la dose toccando proprio la questione spinosa del Mes: “La Germania vuole imporci il Mes. La Merkel ha appena fatto sapere che non è disposta a concedere l’accesso al Fondo ‘ammazza-Stati’ senza condizionalità, svelando il vero piano della Germania: approfittare dell’emergenza coronavirus per commissariare l’Italia, imporre il rigore tedesco alla nostra economia ed espropriare le sue aziende e i suoi asset strategici. L’emergenza Covid-19 sta mostrando a tutto il mondo il vero volto della UE a trazione tedesca. Il Governo italiano alzi la testa”. Ed è propria questa tesi della Meloni che continua a dimostrare una grande lucidità e responsabilità anche in una situazione così drammatica, che ci dovrebbe preoccupare maggiormente, perché ha una sua indiscutibile ragionevolezza. Secondo la leader di Fratelli d Italia, infatti, la Germania vorrebbe mantenere quelle condizionali per accedere ai prestiti del Mes, che metterebbero il nostro paese in una condizione di estrema difficoltà. Secondo quello che è nei piani della prima stesura del meccanismo del fondo salva stati, la richiesta di un prestito potrebbe portare all'attivazione dei cosiddetti OMT (Outright monetary transactions, in italiano “operazioni definitive monetarie”), che prevederebbero l’acquisto di Btp a breve termine (con scadenza 1-3 anni) direttamente da parte della BCE secondo sua discrezionalità sia in termini di quantità che in termini di avvio e durata delle operazioni e, naturalmente, sotto le condizioni previste per l’accesso al Mes. Questo sarebbe un preludio, che potrebbe portare in casi estremi, che alla luce delle difficoltà a cui andrà incontro la nostra economia, sono purtroppo possibili se non probabili che si verifichino, ad uno scenario da riforme lacrime e sangue, imposte a Roma dalla troika, come già accaduto in Grecia. Ma con un piccolo particolare non certo secondario e cioè che la situazione pare ad oggi forse peggiore di quella del 2008 e che il nostro paese certo non è paragonabile alla Grecia in quanto a peso economico all'interno della Unione. Quindi in un certo senso una scenario stile Grecia per l'Italia vorrebbe dire probabilmente la fine dell'Europa e dell'Euro, ma forse questo alla fine al di là della frasi di circostanza potrebbe non essere poi cosi sgradito a Berlino. C è da augurarsi però che Conte abbia l' autorevolezza e il coraggio di non sottostare ad un simile ricatto soprattutto in un momento così drammatico per il nostro paese.
@vincenketchup

domenica 22 marzo 2020

DISASTRO COMUNICATIVO

Alle 23 della sera del 21 Marzo arriva l'ennesimo comunicato da parte del premier Conte sulla sua pagina Facebook. Al di là della scelta del canale comunicativo utilizzato per fare comunicazioni cosi importanti alla nazione, sicuramente poco ortodosso, lascia ancora una volta piuttosto esterrefatti la mancanza di certezze e di una informazione diretta ed univoca a cittadini sempre spaventati, stanchi e incerti, dopo lunghi giorni di “quarantena “ a domicilio, senza ancora nessuna certezza sul domani. 
Persino la bibbia della sinistra mondiale, l’autorevole New York Times, ha scritto una durissimo articolo contro la gestione della crisi a livello comunicativo da parte del governo “Se l'esperienza italiana mostra qualcosa, è che le misure per isolare le aree colpite e limitare la circolazione delle persone devono essere rapide, messe in atto con chiarezza e rigorosamente applicate”. Parole durissime, che stridono contro l'innegabile sforzo che stanno facendo milioni di connazionali chiusi, per lo più diligentemente, in casa da settimane. Ma il duro pezzo del giornale americano esprime chiaramente quella che è la sensazione di molti su come sia stata gestita la crisi in questo ultimo mese da parte del governo italiano. 
A cominciare dalla prima sottovalutazione da parte di chi adesso invece chiede il massimo rigore ( come non citare Nardella e il suo “abbracciamo un cinese” o il presidente della Regione Toscana che non riteneva necessaria alcuna quarantena per chi tornava dalla Cina, o ancora la discutibile scelta di organizzare un  aperitivo da parte di Zingaretti a Milano, dopo i primi casi di infezione a Codogno). I leader sono definiti tali proprio perché si dovrebbero distinguere dalla massa, riuscendo a gestire in maniera controllata le situazioni più difficili e sconvenienti, prendendo decisioni anche dure ed impopolari quando e se serve. 
La democrazia certo non permette di assumere misure drastiche come quelle adottate nella città cinese di Whuan, focolaio da cui tutto sarebbe nato, ma nemmeno gestire il tutto con questo stucchevole tira e molla  fra governo, imprese, opposizioni e governatori regionali, sulle misure più adeguate da prendere per contenere il virus. Proprio nei momenti di grande difficoltà un leader deve avere la capacità di comunicare in maniera chiara ed univoca quello che sta facendo per il bene pubblico, senza incertezze, ascoltando tutti ma assumendo lui in prima persona il gravoso compito di decidere per tutti. 
Altrimenti si rischia di creare solo confusione ed incertezza a tutti i livelli organizzativi, che non può che portare nocumento e rallentare la risoluzione della gravissima emergenza. Sono tanti, forse troppi,  invece gli errori che l'apparato comunicativo dello stato ha compiuto e sta compiendo in questi durissimi giorni. A cominciare dalla quotidiana conferenza stampa di un sempre meno convincente Angelo Borrelli, chiamato a ricoprire un ruolo a cui non pare adeguato, che nel suo bollettino di “guerra” svolge il suo compitino, sfoderando dati e numeri in maniera asettica e monocorde, senza entrare nello specifico delle necessità e delle esigenze che una simile situazione comporterebbe e senza dare quasi mai adeguate risposte alle domande che i giornalisti gli pongono. Non si capisce perché ad una simile conferenza stampa non partecipi mai il ministro della Salute competente di cui in questi giorni, paradossalmente sembra si siano perse le tracce e che invece potrebbe e dovrebbe dare delucidazioni importantissimi per esempio sullo stato in cui si trovano i vari reparti ospedalieri messi sotto fortissima pressione. In questo modo potrebbe passare il messaggio che chi siede al ministero della Salute forse non è in grado di reggere un simile confronto. Per questo forse non è un caso che sicuramente molto più convincente ed argomentata pare essere il bollettino della Regione Lombardia, fulcro del contagio in Italia, che viene diramato in diretta streaming, ogni giorno, dall'assessore al welfare e alla sanità della Regione,  Giulio Gallera, non a caso fra i primi a chiedere al governo misure più stringenti da giorni. Il momento è difficile ed unico e sicuramente non è semplice affrontare una situazione di tale gravità, mai vista dal dopoguerra ad oggi, ma in certi momenti pare che chi è tenuto a prendere decisioni stia procedendo a tentativi o comunque non abbia quella necessaria fermezza nell’assumere le proprie decisioni, che occorre in situazioni così estreme. Vogliamo credere e probabilmente sarà così, che questa sia solo una impressione, ma questa impressione viene ricavata proprio dalla comunicazione ondivaga ed incerta che si sta usando in questi giorni. Non si chiede certo al governo di avere la capacità comunicativa che ebbe Winston Churchill durante la seconda guerra mondiale, ma nemmeno dare una immagine cosi distorta e poco chiara da parte di chi invece deve rassicurare e gestire una situazione cosi emergenziale  Gli annunci, pochi e da parte di chi ha le competenze e le responsabilità necessarie, devono avere come unico ed ultimo fine di far capire alla gente quello che devono fare e che possono fare e quello che assolutamente non devono e non possono fare. Questo la gente lo deve comprendere chiaramente ed esplicitamente, senza inutili proclami o giri di parole inconcludenti. Le opposizioni da giorni anche se in forme e modalità differenti, più polemicamente la Lega, forse più responsabilmente e in maniera più propositiva la Meloni, stanno chiedendo allo Stato di prendere misure più drastiche, richiesta, d'altra parte, più volte avanzata dalle Regioni più colpite, come la Lombardia e il Veneto. Anche se per ragioni drammatiche il nostro paese da giorni è al centro dell’attenzione mediatica di tutto il mondo. Tutti guardano a noi per capire come poter agire per contrastare questa subdola minaccia invisibile e dare una impressione di indecisione e di incertezza potrebbe dare adito al solito luogo comune del nostro paese inaffidabile, pasticcione e poco serio. Ecco perché in un caso come questo la comunicazione è fondamentale, proprio per non instillare il minimo dubbio sul fatto che il nostro paese abbia una sua linea operativa ben precisa e quella persegua fino alla fine. Questa è l'ora della verità non solo per la salute pubblica ma anche per l'immagine di un paese troppe volte a torto o a ragione bistrattato. Gridiamo al mondo tutti insieme come spesso stiamo facendo dai balconi delle nostre “prigioni” domestiche, che “l'Italia s'è desta” chissà che il coro di tutti non riesca a coprire i balbettii della comunicazione istituzionale di questi durissimi giorni.

sabato 14 marzo 2020

CORONAVIRUS EUROPA NON ESISTE NEMMENO NELLE EMERGENZE




La Spagna ha oltre 2964 contagiati, di cui oltre la metà nella sola area metropolitana di Madrid e dopo che il ministro Irena Montero è risultata positiva al contagio da coronavirus, il vicepremier Iglesias suo compagno di vita, è stato messo in quarantena e tutto il governo è stato sottoposto al tampone. In Francia i contagiati sarebbero 2200 e così in Germania. 
Per ora, ma solo per ora la situazione sembra meno grave solo nel Regno Unito. Questa la situazione davvero preoccupante che si registrra ad oggi nei principali paesi europei. Ma dopo quello accaduto in Italia era difficile non aspettarsi una rapida diffusione del contagio anche in Europa, dove il virus sicuramente circola almeno da Gennaio ( il primo caso sembrerebbe essere quello registrato il 24 Gennaio in Germania). 
Era necessario perciò che tutta l'Europa insieme ed unita ( e qui casca come sempre l'asino) approntasse un piano emergeenziale per contenere l'epidemia. Invece nulla di tutto ciò è stato fatto, e si è guardato al nostro paese come l'untore europeo e si è pensato mei primi giorni ad isolarlo, più che ad aiutarlo. Ora che anche nel resto d’Europa sembra si stia verificando quello accaduto da noi una decina di giorni fa. Eppure tutto sempre quasi normale, stadi affollati, negozi bar e ristoranti aperti senza limitazioni. Pare davvero che la lezione del nostro paese non abbia sortito nessun effetto in questa Europa, che pare sempre più lenta nei propri processi decisionali nel gestire la normalità, figuriamoci le emergenze. La presidente della commissione sta dimostrando francamente, alla prima vera prova dei fatti, una certa inadeguatezza davvero preoccupante.
 Le decisioni del presidente della Bce Lagarde, da cui forse si aspettava maggior coraggio ( non rimpiangeremo mai abbastanza Mario Draghi), hanno contribuito ad aumentare il panico sui mercati, che sono letteralmente sprofondati. Ma anche i leader “forti”come Macron e Merkel dimostrano in questo caso una preoccupante carenza di leadership e di autorevolezza. Adesso arriva Trump a prendere di petto la situazione decidendo unilateralmente di bloccare i voli da e per l'Europa, proprio a causa dell'inazione” della stessa nel contrastare il virus, che detto da chi solo pochi giorni fa definiva l’epidemia  poco più di un'influenza, fa sorridere, ma è emblematico di come ancora una volta questa Europa sia ormai diventata sempre più marginale ed inefficace. 
Per un volta il nostro tanto bistrattato paese ha preso quelle misure forti che occorrono in un momento drammatico come questo. Forse occorreva ancora di più come richiesto da Salvini e la Meloni nell'incontro con Conte, forse queste decisioni andavano prese prime come richiesto dai governatori di Lombardia e Veneto, ma almeno qualche cosa è stato fatto. Il problema è serio e il fatto che ancora non se ne abbia piena consapevolezza dai principali governi europei è fatto che aumenta la paura e il rischio che le conseguenze potrebbero essere ancora più gravi. Quello che fino ad ora è mancato è come al solito un piano emergenziale comune, una idea comune di azione che potesse fare da argine alla diffusione. Invece si è commesso il grave solito errore, come in occasione della questione dei migranti o delle crisi del debito dei paesi del sud Italia, che è quello attendista e di solidarietà solo a parole su chi è in prima linea ad affrontare di volta in  volta l'emergenza. Ma ora lo scenraio è mutato, l'emergenza è globale ed occorre una risposta globale. Perché fino a che si pensa che il problema, di voltya in volta sia solo riferito e limitato ad un paese o ad un gruppo di paesi e non  debba comunque essere preso in carico dall'Europa unita, come evidentemente è stato pensato fino ad ora e fino a che quindi di conseguenza non si prenderanno decisioni comuni e valide per tutta l'Europa, i problemi se va bene rimarrano sul tavolo e se va male ( come purtroppo in questo caso) non potranno che peggiorare. Come già visto il virus non si ferma ai confini, ma si combatte tutti insieme con decisioni forti difficili, sconode ed impopolari ma necessarie. Non basta che la presidente della Commissioni dica “siamo tutti italiani” se poi alle parole non seguono fatti concreti. Altrimenti si tratta solo di parole retoriche e di circostanza, di cui in questo momento, non se ne sente nessunissima necessità. Non è più ora dell'attesa e delle reticenze, occorrono fatti concreti a livello sanitario prima ed economico poi. Perché in casi come questi il fattore tempo è fondamentale e la sottovalutazione è un errore che potrà avere effetti ancora più devastanti di quelli che questa emergenza sta creando. C'e da sperare che tra gli tutti gli effetti negativi che questo maledetto virus porterà con sè, non abbia però il merito di dare una scosa decisa ad una Europa da troppo tempo sonnolenta, indecisa e divisa su tutto.
vcaccioppoli@gmail.com 

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