martedì 30 ottobre 2018

Start up: in Italia la vita è piu dura





Malgrado negli ultimi anni qualcosa a livello governativo sia stato fatto, è indubbio che il nostro paese sia da sempre un ambiente piuttosto ostile per chi decide di creare una start up. Guardando, infatti al mercato europeo, il 2017 è stato un anno di record considerando che è stata investita la cifra record di 19,2 miliardi di euro, e se si include anche il mercato israeliano, uno dei più attivi in questo senso, si arriva a 22 miliardi. Secondo lo studio del report 2018 di Genome Start up, la massima autorità nel campo, il nostro paese non figura fra i primi venti paesi in cui il clima è piu favorevole al sorgere di start up, in una classifica in cui domina ovviamente la Silicon Valley. Il nostro paese risulta meno attrattivo persino di Spagna e Portogallo. Eppure non si tratta certo di mancanza di liquidità a frenare il comparto. Secondo uno studio di Unimpresa, che incrocia i dati di Banca d’Italia relativi alla raccolta delle banche, il totale della liquidità finanziaria è passato dai 1.260,7 miliardi di novembre 2016 ai 1.315,4 miliardi di novembre 2017. Le imprese italiane non investono, mentre le famiglie risparmiano, tanto che le banche accumulano riserve per oltre 55 miliardi di euro solo nel 2017. Giusto per dare un’idea, i conti correnti delle famiglie italiane hanno sforato il tetto dei mille miliardi di euro. Si stima inoltre che i fondi delle Pmi italiane supereranno quota 30 miliardi di euro a fine 2018. Ma allora il problema potrebbe essere quello che non crescono start up in Italia? Assolutamente falso considerando che secondo i dati del Ministero dello sviluppo economico in Italia esistono circa 9000 imprese innovative. La relazione annuale di Bankitalia dimostra tuttavia che il 58% delle 9 mila startup italiane ha come unica fonte finanziaria le proprie risorse, il 25% utilizza credito bancario e solo l’11 % ha ricevuto finanziamenti da fondi di venture capital. In pratica uno startupper su 5, tra quelli intervistati da Bankitalia, si è dichiarato insoddisfatto delle risorse finanziarie a propria disposizione, mentre la gran parte non risulta avere mai cercato finanziamenti di società di venture capital o di altre istituzioni, oppure operato campagne di raccolta di capitali di rischio attraverso portali online. Il primo problema allora pare proprio essere quello che mancano i finanziatori delle imprese innovative nel nostro paese. Secondo il terzo report di uno dei fondi di venture capital che più hanno fatto la storia del tech, il fondo Atomico, tra gli investitori di Skype, GoEuro e Stripe, definisce il 2017 "un grande anno per gli investimenti in start up in Europa, ma sottolinea la situazione invece piuttosto critica nel nostro paese. Nel suo report State of European Tech, infatti si dimostra come l'Italia, nonostante sia tra i Paesi più ricchi al mondo, non è stata capace di sviluppare un ecosistema degli investimenti in innovazione commisurato al suo potenziale. Di fronte al totale dei 19 miliardi investiti, infatti, il nostro paese conta circa 100 milioni di investimenti in start up innovative. Un altro dato che fa capire come sia in ritardo il nostro paese in questo campo e quello che raccoglie gli investimenti pro capite. In Italia, secondo i dati di dealroom.co, azienda specializzata nella consulenza per finanziamenti in start up ( basata ad Amsterdam, ma fondata da un italiano) è di 3 dollari. Israele (304 dollari) e Stati Uniti (246) sono su un altro pianeta. Ma sono lontani anche Regno Unito (59 dollari), Francia (45) e Germania (26). Tra i Paesi presi in esame da Atomico, solo Russia e Turchia fanno peggio. A livello internazionale, l'Italia riesce ad attirare solo il 2,8% dei lavoratori in ambito tecnologico (è nona in Europa). Ma è italiano il 5% degli specialisti che hanno deciso di emigrare (ponendo l'Italia al quinto posto in questa graduatoria). l'Italia ha un saldo negativo di talenti. Quelli che se ne vanno sono meno di quelli che arrivano. Insomma il problema esiste e racconta di una situazione che continua a vederci sfavoriti rispetto ai principali competitor internazionali. I problemi sono sempre i soliti che attanagliano questo paese, che rischia però se non fa qualcosa subito di perdere irrimediabilmente il treno dell'innovazione, accumulando un ritardo tale che poi diventerà sempre più difficile recuperare. Nelle ultime settimane il Governo prova ad aprire una seconda fase in tema di innovazione d’impresa. La prima è stata introdotta dal Decreto-legge 179 del 2012, nota anche come “Startup Act”. La policy punta appunto a colmare questo gap, creando un ambiente più favorevole alle startup innovative, attraverso una serie di strumenti complementari, tra cui figurano gli strumenti di costituzione rapida e gratuita, le procedure di fallimento semplificate, incentivi fiscali per gli investimenti in equity e un sistema pubblico di garanzia per l’accesso al credito bancario. Poi c'è da registrare quello affermato dal vice premier Luigi Di Maio circa la creazione di una piattaforma pubblica, garantita dallo Stato, per stimolare gli investimenti in capitale di rischio a favore dell’innovazione tecnologica. Il Governo giallo verde ha assicurato che che entro dicembre sarà lanciato un fondo di venture capital, sul modello francese, per investire sulle startup italiane. Si vedrà ma forse questo potrebbe non bastare per sbloccare gli investimenti in start up innovative, forse occorre anche un maggior impegno di istituzioni universitarie, incubatori, strutture e investimento a livello privato, che possa creare quel clima favorevole che per esempio in Francia sta determinando un grande sviluppo di nuove startup innovative negli ultimi due anni, clima favorito anche dalla creazione del più grande campus di startup al mondo alla periferia di Parigi . Anche perchè anche in un clima del genere sono molte le eccellenze che riescono comunque a distinguersi, come Satispay, Credimi, Smartika, Soisy, Soldo e Moneyfarm nel fintech. Lanieri, Sixthcontinent, Tannico, Interwine, Velasca per l' ecommerce. Quomi, My cooking box per quanto riguarda il food, solo per citarne qualcuno.



sabato 27 ottobre 2018

Fenomenologia di Salvini




Ma perché Salvini, malgrado venga attaccato un giorno si e un altro pure e venga considerato dai “benpensanti” e dalla classe dirigente come il male assoluto e per qualche estremista addirittura come il rappresentante del nuovo fascismo che avanza, registra dei tassi di consenso tra i più ampi e nel più breve tempo che la storia della repubblica ricordi?

Forse perché non esiste una vera e credibile alternativa? Certo questa potrebbe essere una prima superficiale risposta, ma non c’è chiaramente solo questo. Salvini, con il suo decisionismo, la sua schiettezza, i suoi modi spicci, e il suo agire “politically incorect” sembra il classico uomo giusto al posto e al momento giusto.
Dopo il “Berlusconismo” e il “Renzismo”, la gente era forse stanca di sentire sempre il solito disco rotto del “faremo questo, perchè siamo i più bravi e i più belli” e della pacca sulla spalla, senza poi che poi alle parole seguissero i fatti. Forse non è un caso che Salvini abbia impostato la propria campagna elettorale più sul pro e meno sul contro, nel senso che ha voluto evidenziare quello che avrebbe fatto lui se eletto, più che denigrare i suoi avversari.
Lui non aizza come qualcuno pensa, ma va dritto al nocciolo della questione, senza troppi facili giri di parole o pensieri contorti. Salvini ha dato dimostrazione di cercare il consenso non solo con le promesse, ma di ottenerlo con i fatti. Mentre tutti lo criticano adducendo la sua facile presa sulle paure della gente contro il diverso, lui invece fa leva su quelle che da sempre sono le aspettative di chi è stufo e non riesce più a sopportare che il nostro paese debba adeguarsi ad una sorte di declino irreversibile. Il “popolo” forse ha bisogno, in questo periodo, in cui si stanno perdendo tutti riferimenti, di qualcuno che rassicuri ma senza prendere in giro, di qualcuno che prometta, ma poi mantenga, di qualcuno che abbia piglio, ma senza apparire troppo spocchioso.
Per questo motivo forse il primo Renzi che pareva avere queste caratteristiche, aveva ottenuto un consenso ampio. Salvo poi perderlo rovinosamente, quando invece ha tradito le aspettative. Il ministro degli Interni, invece, appare come un' uomo forte, nel senso che non si fa dettare lo spartito da nessuno, e rassicura perchè pare avere un obiettivo ben preciso e sembra perseguirlo con pervicacia. E questo alla gente piace, e il fatto che riceva critica dai benpensanti e dalle “alte sfere” non fa che rafforzarlo ulteriormente, agli occhi del suo elettorato, che come un onda si allarga sempre più. Ma malgrado qualcuno pensi il contrario, non ha quella sorte di incoscienza dettata dalla inesperienza tipica forse dei suoi colleghi di governo del Movimento stelle.
E d'altra parte ha saputo farsi largo sottotraccia nella Lega di Bossi e Maroni, con passo felpato, ma deciso fin dai suoi albori alla fine degli anni 90. E la sua palestra sotto il peso del leader storico della Lega, non si può certo definire semplice. Lui ha saputo andare al di là del partito regionale e del motto “Roma ladrona”. Il suo consenso ormai spazia da Nord a sud indifferentemente. La sua lunga esperienza politica racconta di un uomo che ha sempre saputo come muoversi nei meandri della politica, ma senza apparire un uomo troppo legato agli apparati.
Ha approfittato con pazienza della sua occasione e non se la è lasciata sfuggire. Salvini piace perché e’ verace e schietto, il suo tono è sempre lo stesso, sia quando si rivolge all' uomo di strada come quando parla con i potenti della terra. Forse alcune cose sono studiate ad hoc, come il suo utilizzo sapiente dei social, ma la sostanza delle cose non cambia, come l'opinione della gente nei suoi riguardi. E' inutile cercare di fare paragoni. Perchè lui è un unicum. Non è, infatti, paragonabile ad uno come Trump con la sua connivenza con gli affari e la sua prosopea e supponenza, non certo a Putin, molto più asettico e distante, non a Bolsonaro lui si effettivamente piuttosto ambiguo e troppo spostato a destra. Nemmeno alla sua grande amica Le Pen, troppo algida e molto meno concreta, perchè troppo legata ai vecchi schemi della politica “manichea”. Il leader della Lega e’ autentico, proprio perché sembra, al contrario del pensiero di molti, non cercare a tutti i costi il consenso, ma andare dritto per la sua strada, che sempre più assomiglia essere quella della maggioranza silenziosa del paese.
E allora ecco che molti da tutte le parti lo criticano, perché forse vorrebbero emularlo ma non ne hanno la stoffa. Come nella favola della vole e dell'uva. Salvini non è un populista ( sempre che questo termine debba per forza avere un accezione negativa), ma uno del popolo, non è un sovranista, ma uno che vuol dare una nuova identità al proprio paese, non è un uomo di apparato, ma uno che vuole sovvertire un ordine che ormai appare ai più come un disordine nascosto, non è il classico uomo di potere, non è di destra, né di sinistra. Salvini e’ un uomo pubblico, e cioè eziologicamente parlando “che cura gli interessi del popolo”. E proprio per questo i suoi consensi sono piuttosto trasversali. E' fuori dagli schemi e come tutti i fuoriclasse ha quel tocco in più, che la maggior parte delle persone non sa spiegarsi e per questo attira su di sé ovazioni e strali.
E’ inutile cercare di screditarlo, perché ormai i suoi detrattori hanno perso il contatto con la gente e perciò criticare lui appare come una critica al “popolo”, quello che deve combattere per arrivare a fine mese, quello che è stufo di pagare troppe tasse senza avere in cambio servizi adeguati, quello che non ce la fa più a combattere ogni giorno con l eccesso di burocrazia, quello che è stanco di avere paura di girare per le strade della propria città, quello che è stufo di combattere contro l inattività di una classe politica da tropo tempo inadeguata, quello che non ne può più di farsi imporre le politiche economiche da Bruxelles e Francoforte. Qualcuno forse sorriderà ascoltando queste affermazioni, ma forse dovrebbe ricordare quel famoso motto, che certo non può appartenere a Salvini, visto la sua matrice anarchica, che recitava” una risata vi seppellirà”.

martedì 23 ottobre 2018

Satispay fra le prime 250 aziende fintech al mondo





Satispay, l’azienda italiana che sta rivoluzionando il settore dei pagamenti, è l’unica società italiana a entrare nella lista“Fintech 250” 2018 stilata da CB Insights,che raccoglie a livello mondiale le più prestigiose aziende impegnate nello sviluppo di una tecnologia finanziaria innovativa. Questo è l'ennesimo impoirtante riconoscimento che ottiene la giovane start up, fondata da tre trentenni italiani, chs sta rivoluzionando il metodi di pagamento mobile nel nostro paese.
Anand Sanwal,CEO di CB Insights  (https://www.cbinsights.com/ ) ha dichiarato: "Dopo aver selezionato nel 2017 le prime Fintech 250, abbiamo visto queste aziende raccogliere complessivamente 23 miliardi di dollari, inclusi 30 round superiori ai 100 milioni di dollari. 22 delle “Fintech 250” hanno già fatto exit, metà tramite IPO. Quest'anno abbiamo aggiunto 113 nuove società alle Fintech 250 selezionate grazie all'algoritmo Mosaic di CB Insights, e il risultato finale è un gruppo ampio che copre tutti i segmenti della tecnologia applicata alle assicurazioni al banking fino al mercato dei capitali. Siamo impazienti di seguire i successi di questo nuovo gruppo di aziende”. Fondata nel 2012 da Alberto Dalmasso, Dario Brignone e Samuele Pinta, sulla idea che anche in Italia fosse venuto il momento di poter pagare direttamente tramite lo smartphone. «Era davvero insopportabile pensare che con lo smartphone si potesse fare qualsiasi cosa, tranne che pagare» come afferma in tutte le sue interviste Alberto Dalmasso, ceo della azienda che oggi è una realtà strutturata con un team di 65 persone. Ed ecco allora creare Satispay per pagare direttamente con il proprio smartphone, tramite un iban che viene scelto dall'utente. Il sistema è assolutamente trasversale: accetta qualsiasi banca e qualsiasi telefono o sistema operativo, e non potrebbe essere altro che così, dovendo appunto semplificare. I consumatori che si iscrivono, creano un borsellino di moneta elettronica sul proprio smartphone, che viene ricaricato settimanalmente e automaticamente in base al valore prestabilito, che può essere modificato in qualsiasi momento. Da questo borsellino il consumatore attinge per pagare, senza costi, presso i negozi iscritti al servizio o per scambiare soldi con privati, selezionando dalla propria rubrica. I vantaggi sono evidenti in termini di risparmio di tempo e comodità, e c’è anche possibilità di accedere a offerte speciali, sotto forma di cashback, riservate dagli esercenti alla community. Ormai la società dei tre terribili trentenni non si può più chiamare start up, visto i tassi di crescita registrati. «Satispay è arrivata a 260mila utenti attivi che ogni mese fanno oltre 500mila transazioni per un valore che oggi è di circa 9 milioni di euro. Nell’ultimo anno siamo stati il traino per la crescita dei pagamenti “in-storein Italia», afferma Dalmasso, effettivo amministratore della società che, con un transato di oltre 35 milioni di euro, ha coperto più del 50% del valore totale di un segmento che nel 2017 si è attestato a 70 milioni, con una crescita esponenziale rispetto ai 10 milioni del 2016. I dati sono quelli dell’Osservatorio Mobile Payment&Commerce del Politecnico di Milano, che stima che «nel 2017 siano poco meno di 500.000 gli utenti che hanno pagato almeno una volta con un servizio di Mobile Proximity Payment». Le previsioni sono pero di una fortissima crescita se si pensa che secondo le previsioni del Polimi nel 2020 il transato potrebbe valere dai 3,2 ai 6,5 miliardi di euro.
Alberto Dalmasso, Co-founder e CEO di Satispay ha dichiarato a proposito di questo ultimo importante riconoscimento a livello mondiale: "È un grande onore essere stati notati e inseriti nella lista mondiale “Fintech 250” di CB Insight, insieme alle più importanti realtà innovative protagoniste del fintech internazionale. Il nostro obiettivo è sempre stato quello di sviluppare un modello che cambiasse radicalmente la gestione del denaro per tutti, semplificandola. Essere in questa lista ci conferma una volta di più che la nostra missione ha un significato e un valore per il mercato domestico così come per quello internazionale, ed è un ulteriore elemento di spinta e motivazione per tutto il team verso il raggiungimento degli ambiziosi obiettivi che ci siamo posti”.Il team di ricerca di CB Insights ha selezionato le società Fintech 250 sulla base di diversi fattori, tra cui i dati presentati da ciascuna azienda e il loro Mosaic Score. Il punteggio Mosaic, basato sull'algoritmo di CB Insights, misura la salute generale e il potenziale di crescita delle aziende. Attraverso questo approccio, basato su evidenze e dati statistici, il punteggio Mosaic può aiutare a prevedere il momento di crescita di una società, in base al contesto generale e alla sostenibilità finanziaria. Satispay viene riconosciuta così come una tra le principali società fintech mondiali a più rapida crescita, al fianco di grandi colossi già attivi in tutto il mondo. 






lunedì 22 ottobre 2018

Moda: come sarà lo shopping con le nuove tecnologie..?




Per 6 Millennial su 10 lo shopping di moda sarà sempre più influenzato dall’impatto delle nuove tecnologie: oltre la metà di questa fascia della popolazione, tecnologicamente matura e con un ruolo sempre più importante nel fashion system,dichiara di apprezzare servizi come i negozi self-service (58%),  l’assistenza vocale (50%) e la realtà aumentata (65%). Circa 1 su 3, inoltre, aumenterebbe i propri acquisti del 50%, sia in negozio sia online, grazie a questi nuovi strumenti e metodi di pagamento innovativi.
A tracciare questo quadro è la terza edizione del Lanieri Fashion Tech Insights 2018, il report annuale sui nuovi trend tecnologici del mondo della moda, realizzato dall’ Istituto Piepoli per Lanieri, e-commerce di abiti maschili su misura Made in Italy .
1 italiano su 5 (21%) ha un approccio omnichannel in fatto di acquisti di moda, distribuendo equamente il proprio shopping tra web e boutique. A preferire un approccio integrato sono soprattutto i Millennial, che dimostrano performance più elevate rispetto alla media del campione: 1 su 3 (31%), infatti, acquista abitualmente sia in store sia sul web. Il negozio tradizionale non risulta comunque sconfitto dalle strategie omnichannel dei brand: il 42% degli intervistati dichiara di effettuare qui la totalità dei propri acquisti di moda; infatti, se solo il 17% dei più giovani lo sceglie in esclusiva, nel target d’età superiore ai 54 anni la percentuale sale al 69%.
Il 38% degli italiani dichiara di gradire un punto vendita dove acquistare in autonomia tramite il proprio smartphone senza l’ausilio di commessi e cassieri, e oltre la metà degli intervistati aumenterebbe i propri acquisti se potesse accedere a un punto vendita del genere. Ma per il restante 49% il ruolo dell’addetto alle vendite sembra restare fondamentale, tanto che questa parte del campione non farebbe acquisti in un negozio senza poter contare sulla sua competenza.
Un concept store di questo tipo attrae soprattutto il cluster più consapevole sia dal punto di vista tecnologico sia per coscienza fashion, i Millennial. Il 58% di loro, infatti, farebbe volentieri shopping in un negozio senza casse e addetti alle vendite: ben 1 su 3 aumenterebbe i propri acquisti del 50% grazie a questa tecnologia. Molti poi quelli, sopratutto fra i millenial ( 60%), che vedrebbero con grande favore l'introduzione del riconoscimento facciale per fare acquisti.
E per quanto riguarda i metodi di pagamento? Anche qui le risultanze uscite fuori dal sondaggio appaiono assai interessanti per capire tendenze e possibilità da sfruttare del commercio in genere. Innanzitutto il tema della criptomonete, che per ora riguardano una piccolissima di nicchia nel mondo degli online shopper italiani. Ben il 79% degli italiani dichiara di non possederle e di non esserne interessato. Ma le possibilità che possano un giorno avere un impatto importante sulle abitudini di acquisto nel mercato del lusso e della moda di alto profilo sono buone. 1 Millennial su 10, infatti, aumenterebbe i propri acquisti fashion sul web se potesse pagare con i bitcoin.
La diffusione di metodi di mobile payment innovativi invece accrescerebbe in modo considerevole la propensione all’acquisto per metà del campione intervistato: in particolare, circa 1 italiano su 10 aumenterebbe i suoi  acquisti del 75% e 1 su 5 incrementerebbe lo shopping del 50%. Ancora una volta, a pesare è la fascia dei Millennial: ben 1 su 3, ad esempio, aumenterebbe i propri acquisti del 50% se potesse utilizzare questi strumenti. Infine tema importante sopratutto per quanto riguarda l' ecommerce, di questi tempi, è sicuramente quello della privacy. La metà degli italiani, infatti, non utilizzerebbe per esempio tecnologie come il riconoscimento facciale perché preoccupato di condividere i propri dati. 1 italiano su 5 ha indicato una maggiore protezione dei dati al momento del pagamento online (21% del campione) e la garanzia che i dati personali non siano condivisi a terzi senza il proprio consenso (19%).
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sabato 20 ottobre 2018

Nasce il primo corso sul trading dei vini da collezione






E’ piu’ conveniente investire in azioni o in valute..? Meglio il mercato di Tokyo o quello di Londra?quante volte sentiamo gli esperti finanziari dare consigli sul come e sul dove investire il nostro denaro? qualcuno propone investimenti alternativi come oro, diamanti oppure opere d’ arte,  ma alzi la mano quanti avevano mai sentito parlare della possibilita’ di investire sul vino..? Immaginiamo pochissimi, forse qualche addetto ai lavori, ed invece sembra proprio che investire in vino da collezione sia uno degli investimenti più convenienti e meno rischiosi che attualmente si possa fare. Certo come tutte le cose non e’ ovviamente facile e non basta certo essere più o meno esperti bevitori o anche sommelier. Ci vuole informazione, competenza e conoscenza, e per questo motivo Davide Sada ed Enrico Garzotto, i fondatori di “ Money Surfers “, sito specializzato in finanza, hanno deciso di lanciare il primo corso al mondo di trading sul vino. “ Pensavamo fossimo i primi in Italia- ci dice Enrico- invece abbiamo scoperto che non esiste nulla di simile in tutto il mondo. E la cosa e’ piuttosto strana, considerando che  l’ investimento in vino da collezione e’ piuttosto diffuso.” Davide ed Enrico sono due ragazzi italiano che  sostengono, infatti, di essere seguaci del cosidetto “ yoga finanziario, una sorta di trading responsabile bastao sulla pace interiore prima di tutto. La meditazione trascendentale, di cui sono seguaci da anni, infatti e’ stata la causa del loro incontro 7 anni fa in un pub di Londra. “ Ci eravamo incontrati per parlare di finanza, e ci siamo ritrovati a parlare per tre ore di meditazione e di pensiero filosofico.” Racconta divertito Enrico. E da lì e’ nata l’ idea, nel 2011 di creare “ Money Surfers” societa’ con corsi di trading, ispirati alla meditazione trascendentale, quella resa famosa dai Beatles, che secondo i due nostri amici e’ la base da cui ogni persona dovrebbe partire per cercare di capire quale e’ il suo” ubi consistam”.
“ Intendiamo insegnare un nuovo modo di generare ricchezza, immaginandola come un fiume che, per scorrere bene, necessita sempre di due sponde: la ricchezza esteriore e quella interiore.E se non sei ricco dentro, non potrai mai esserlo nemmeno esteriormente.” Dice Davide, che ha avuto per primo l ‘idea del corso di trading sul vino.” Mi piace il vino da sempre, ho lavorato anche in un enoteca ed ho fatto molto corsi di degustazione. Poi ho guardato le quotazioni di alcuni etichette di vino come alcuni Bourdeaux, Ornellaia, Sassicaia, ed altre pochissime etichette e mi si e’ aperto un mondo nuovo.” In effetti c’ è da rimanere stupiti vedendo i grafici delle quotazioni di alcuni vini, come per esempio il mitico Romane Conti ( + 1280% in 7 anni) che hanno rendimenti costanti nel tempo senza eccessive oscillazioni, come ogni strumento finanziario, ed inoltre sono investimenti “ esentasse” come ci fa notare, con un sorriso, Enrico. Forse e’ anche per questo che i 200 posti del corso organizzato al Westin Palace di Milano, sono stati “bruciati” in soli 23 minuti. Ed in effetti la giornata scorre via veloce, seguendo le slide preparate dal broker di vino Daniele Carnio, che espongono tutti quelli che sono i vantaggi dell’ investimento in vini. “ Il vino da collezione  ha un rendimento storico del 10%, e’ facilmente liquidabile, e’ un bene tangibile, ed è esentasse e non soggetto ad Iva.” Insomma sembra proprio che investire in vino sia qualcosa alla portata di tutti, ma scendendo un po’ nel dettaglio si scopre che anche questo tipo di investimento non e’ certo per tutti. Questo non tanto perché come possono pensare in molti ci vogliono grandi cifre da investire.” Si trovano ottimi vini da investimento anche da poche centinaia di euro. Sopratutto se si parla di vini en premeur, cioe’ ’ vini ancora da imbottigliare, ma che possono regalare grandi soddisfazioni a chi osa acquistare in “ anteprima”. Noi- dice Davide da buon intenditore- abbiamo comprato bottiglie pagate 200 euro che dopo quattro anni valevano già 800/1000 euro.” Pero’ occorre comunque una certa conoscenza di quello che si va a comprare, e il corso ha appunto lo scopo di insegnare i trucchi del buon trader in vino. Bisogna conoscere le case vinicole, che producono quel 1% di vino che puo’ considerarsi da investimento su tutta la produzione mondiale del vino. Bisogna conoscere chi sono e cosa pensano i cosiddetti “ influencer”, ossia un manipolo di critici che decidono con il loro giudizio quanto puo’ valere in prospettiva un vino. Come e’ stato conservato, o se e’ un prodotto facilmente liquidabile. Il 60/70% di detti vini e’ di origine francese, il 20/25 % italiana e il resto se lo contendono Spagna, Giappone, Cina, Australia e Cile. La bottiglia più cara mai venduta e’ una bottiglia di Lafitte, appartenuta al presidente americano Thomas Jefferson del 1787, venduta per 160.000 $ nel 1985 da Christie’ s a Londra. I francesi sono i capifila sia per la tradizione pluricentenaria di alcuni loro vini, sia per la capacità di realizzare vini rari e in condizioni difficili che permettono la produzione di  pochissime e ricercatissime bottiglie ogni anno, come Lafite che produce non piu di 25000 casse dei suoi pegiati chateau all’anno, oppure la celeberrima Romanee Conti che produce non più di 2000 bottiglie di la Tache fino

addirittura solo 450 casse del suo Pinot nero, che parte da quotazioni non inferiori ai 5000 euro.“ Investire in vino e’ alla portata di tutti, ma bisogna avere pazienza, nervi saldi, competenze e conoscere a fondo tutte le dinamiche e i parametri che possono rendere un vino oltre che buono anche un ottimo investimento. Non basta essere sommelier o intenditore di vini.” Dice Enrico, che da buon esperto analista finanziario, sa bene quanto conti la conoscenza e l’esperienza negli investimenti. E poi per chi e’ amante del nettare degli dei, mal che vada ci si potra’ comuque sempre consolare con una ottima bevuta. Ma a guardare le facce soddisfatte e il vociare dei 200 “ alunni” partecipanti  a questo primo corso, si puo’ stare certi che questo corso sembra  destinato a diventare una consuetudine per la giovane e fresca societa’ dei due “ surfers”.

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venerdì 19 ottobre 2018

E’ cominciato il declino dei social..?




Facebook, Twitter e ora anche Snapchat, che diventa l'ultimo social media in ordine temporale a perdere utenti. L'app dei messaggini che spariscono chiude il secondo trimestre con il suo primo calo dal 2011, quando è stata fondata. Il numero di utenti attivi giornalieri è sceso da 191 a 188 milioni.
Evan Spiegel, l'amministratore delegato di Snap, ha spiegato come il calo sia legato "alla minore frequenza di uso a causa del nuovo design dell'app", che è stato aspramente criticato dagli utenti, tanto che Snap ha dovuto fare una parziale marcia indietro. Dopo aver "aggiornato il nuovo design", Snapchat "sta iniziando a vedere significativi miglioramenti"
negli indicatori che misurano l'uso dell'app, in particolare da parte degli utenti di più vecchia data.
"Riteniamo di aver affrontato quelle che erano le maggiori frustrazioni espresse dai clienti, e non vediamo l'ora di compiere ulteriori progressi sulla grande opportunità che abbiamo di mostrare i contenuti giusti alle persone giuste", ha concluso Spiegel. Ma e’ indubbio che il social dei giovanissimi e’ in una crisi che pare irreversibile da almeno un anno. Ma la crisi di snapchat non è isolata, ma pare comune a tutti i principali social , Facebook in testa. Solo qualche giorno fa  si è registrato il maggior crollo borsistico della storia in una sola seduta ed è stata proprio Facebook a collezionare questo poco invidiabile primato, con un crollo del 25% e una diminuzione di quasi 120 miliardi di capitalizzazione in una sola seduta a Wall Street. Tutto questo determinato da un  rallentamento, che dovrebbe colpire tutti i principali indicatori, finanziari e non: utenti iscritti, fatturato, margini e utili. I ricavi di Facebook sono cresciuti del 42% rispetto al secondo trimestre 2017. Ma, nonostante abbiano centrato un nuovo record (13,23 miliardi di dollari), hanno deluso le aspettative degli analisti, che avevano indicato 13,3 miliardi. E soprattutto hanno fatto segnare un passo indietro (del 7%) rispetto al trimestre scorso. È passato in secondo piano l'utile, anch'esso al massimo storico: 5,1 miliardi di dollari. I segnali di rallentamento non sono semplici passaggi a vuoto, ma sono elementi strutturali, come ammesso da David Wehner, il responsabile finanziario di Facebook. “Il rallentamento del fatturato continuerà anche nella seconda metà del 2018” ha detto di fronte ad una platea di analisti finanziari molto preoccupati sul futuro della società di Zuckemberg. E nel 2019 le spese aumenteranno più dei ricavi, assottigliando margini e utili: in pratica riducendo quello che resta in tasca degli azionisti. Pochi giorni dopo e’ stata la volta di Twitter. I titoli in borsa, infatti sono arrivati  a perdere il 17,05%.  ovvero una cifra pari all'intero valore di mercato di alcuni colossi americani, fra i quali Goldman Sachs.
La società guidata da Jack Dorsey ha chiuso il secondo trimestre con un utile netto di 100,1 milioni di dollari su ricavi in crescita del 24% a 711 milioni di dollari, sopra le attese degli analisti. Ma il numero degli utenti attivi mensili cala a 355 milioni, un milione in meno rispetto ai tre mesi precedenti ma in aumento del 2,8% rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso. È davvero in atto una crisi dei social network? A guardare dati come quelli di ‘SocialMediaToday’, che rivelano quanto tempo si trascorre sui social, sembrerebbe proprio di no: i teenager spenderebbero, infatti, su piattaforme di questo tipo almeno nove ore ogni giorno e anche per i più grandi il tempo “speso” su Facebook e co. è di quasi due ore, per l’esattezza 116 minuti, al giorno. Il risultato è che, nel complesso, passiamo circa cinque anni e quattro mesi della nostra vita sui social. Ma il vero pericolo per i social network si nasconde dietro a tutti gli scandali scoppiati di recente sulle tematiche legate alla privacy e alla attendibilità degli stessi, che sembrano aver subito un colpo durissimo dagli ultimi scandali come quello di Cambridge Analytica. La sensazione di essere controllati dai giganti della Rete nei propri movimenti, seguite da casi in cui la violazione dei propri account ha avuto un effetto concreto e spiacevole per la propria vita quotidiana, sta portando una quantità sempre maggiore di utenti a condividere molto meno contenuti nei social rispetto a solo un anno fa. E questo rischia di essere il primo tassello che cade in una sorta di gioco del domino. Secondo una ricerca di Semrush in Italia suggeriscano, tra gli effetti a breve termine dell’intera vicenda mediatica, l’aumento delle ricerche legate alla cancellazione degli account. Solo nell’ultimo mese, da quando cioè è scoppiata la bolla di un uso malevolo da parte di terzi dei dati personali condivisi su Facebook, 22 mila persone in Italia avrebbero cercato “come eliminare l’account Facebook”, 40 mila hanno chiesto, invece, ai motori di ricerca “come cancellarsi da Facebook. E più  in generale le stringhe di ricerca sul tema hanno superato le 68mila ricorrenza. Mentre  un aumento consistente ha riguardato, più in generale, le ricerche su privacy e trattamento dei dati personali. Forse allora conviene ripensare il senso dei social. Non più un luogo virtuale dove condividere momenti della propria vita, affidando quindi agli stessi social la propria intimità, ma un la piattaforma che invece sia utile e conveniente per gli utenti. Il modello della condivisione ma mirato ad una utilità per gli utenti. Secondo alcuni esperti di web marketing servirebbe una via di mezzo fra Marketplace come Amazon e Alibaba e social media come Facebook e Twitter. Una sorta di social network degli acquisti. Perché solo in questo modo si avrebbe una vera condivisione fra utenti e social network. Ma esiste già una piattaforma di questo tipo..?Per una volta in questo senso forse il nostro paese potrebbe essere un precursore, considerando che in Italia è nato tre anni fa la piattaforma SixthContinent, che e’, secondo la definizione del suo geniale inventore Fabrizio Politi, proprio il primo social network degli acquisti. Solo il tempo potrà dirci se i social hanno bisogno di questo tipo di evoluzione per poter continuare nelle loro crescita oppure se il modello di business legato alla condivisione e’ destinato prima o poi ad essere sostituito da qualcosa di completamente differente.



vcaccioppoli@gmail.com

mercoledì 17 ottobre 2018

Cina : Il nuovo colonizzatore mondiale



Mentre in Europa si discute di qualche decimo di deficit e in America Trump isola gli Usa dal resto del mondo, forte della sua economia in perenne crescita da quasi un decennio, qualcuno invece sembra impegnato a “conquistare” il resto del mondo. Stiamo parlando del grande dragone cinese, vero motore della crescita mondiale. Negli anni subito successivi alla grande crisi finanziaria, la Cina, infatti, ha cominciato a mettere le basi per la conquista delle grandissimi risorse naturali dell’ África. Intere regioni dello sterminato continente nero sono state messe sotto il controllo cinese. Città intere sono state costruite dal nulla, pronte sorse ad accogliere probabilmente la popolazione in esubero della madrepatria.  Poi ha rivolto il suo sguardo interessato al Sudamerica. Cile, Peru, Colombia, ma sopratutto Argentina e  Brasile, che hanno trovato nella Cina un importante finanziatore delle loro economie in serie difficoltà . Ora tutto questo dopo l annuncio in pompa magna del grande piano di investimenti infrastrutturali da 60 miliardi di dollari, da realizzare in Africa, forse consapevole del fatto che gli Usa non avranno nulla da eccepire a questa sorta di neocolonialismo in salsa cinese, il piano di espansione pare diventato palese. Questo deve far riflettere tutti noi e immaginare come ormai il mondo si stia spostando sempre più verso il medio e sopratutto l ‘estremo oriente. Ad oggi la Cina è già’  il partner commerciale principale di Brasile, Argentina, Cile e Perù. Con un piano di investimenti e prestiti miliardari la Cina ha posto le basi per occuparsi  dell’enorme sviluppo infrastrutturale necessitato da Brasile, Argentina e Messico, le tre principali economie della regione, nonché membri effettivi del consesso del G20. Per quanto riguarda l Africa, invece, la Cina spenderà, tra prestiti, linee di credito, fondi speciali, sgravi fiscali e progetti infrastrutturali, altri 60 miliardi di dollari per l’Africa. L’annuncio è arrivato lunedì dal presidente della Repubblica Popolare, Xi Jinping, nella Grande Sala del Popolo di Pechino, di fronte a 50 capi di stato dei paesi africani, nel corso del terzo Forum on China-Africa Cooperation. Dei 60 miliardi promessi da Xi, 20 miliardi sono in linee di credito, 15 in aiuti e prestiti a interessi zero, 10 in fondi per lo sviluppo, 10 per project financing e 5 per facilitare le importazioni in Africa.Solo nel 2017, ha calcolato l’economista Jeremy Stevens della Standard Bank Group di Pechino, i contratti cinesi in Africa sono valsi 76,5 miliardi di dollari. Ma tutti questi ovviamente determina enormi ritorno per la Cina Questo debito acquisito dalla Cina, infatti, genera enormi affari per le aziende cinesi, in particolare le imprese di costruzione che hanno trasformato l’intera Africa in un cantiere per rotaie, strade, dighe, stadi, edifici commerciali e così via. Inoltre come si sa la Cina è il più grande importatore di “commodities” al mondo (soprattutto metalli, rame cobalto, alluminio, ferro): circa l’80% delle forniture mondiali va a finire in Cina dove anche il consumo di petrolio è cresciuto del 3500% dal 2007 ad oggi! La popolazione cinese è triplicata dal 1970 ad oggi, passando da 450 milioni di abitanti a quasi 1,3 miliardi. Per queste ragioni il governo cinese ha lanciato il programma politico “Una sola Cina in Africa”, una specie di lotteria nazionale che permetterà a molti di lasciare il paese e stabilirsi nel continente “satellite”. I grandi investimenti cinesi insomma stanno lasciando lentamente gli Stato Uniti per rivolgersi a paesi cosiddetti emergenti che permettono in prospettiva maggiori ritorni.  Alberto Forchielli, managing partner del Fondo Mandarin, primo fondo di private equity ad aver ottenuto capitale in gestione dal governo cinese, con un po’ di cinico realismo dice che “Gli USA bombardano e si fanno molti nemici. I cinesi non bombardano, comprano e spendono di meno».. Sono più di dieci anni che sentiamo parlare del prossimo dominio cinese, tutto ciò fa apparire la cosa sempre più concreta. Anche perché quello che cambia quando si parla di investimenti fra i due giganti del mondo e’ sopratutto l approccio.Molti fondi di venture capital cinesi, infatti, sono finanziati anche dal governo di Pechino. Il focus è ad oggi l’intelligenza artificiale e il potenziale controllo del settore dei semiconduttori, che usiamo nella quasi totalità dei prodotti tecnologici di tutti i giorni. In virtù dell’approccio geopolitico al mondo dei venture capital, alcuni investitori cinesi sono convinti che USA e Cina si spartiranno i mercati tecnologici di tutto il mondo. La principale differenza sta meramente nel modo per ottenere questo controllo. Gli americani cercheranno di creare il prodotto migliore per convincere il mondo a usarlo, i cinesi tenteranno di acquisire un partner locale di ogni paese per poter competere con gli americani. Una dimostrazione di come si sviluppa tale battaglia di approcci è la situazione che si è sviluppata tra Uber contro Grab nel sud-est asiatico o contro Ola in India. Un altro esempio è l’investimento di 5 miliardi di dollari da parte di Amazon per poter dominare il mercato indiano, contrastato da investimenti miliardari da parte dei cinesi nell’e-commerce indiano Flipkart. Ma molti esempi sono anche quelli registrati in  Sudamerica, una terra ancora per certi versi “vergine” e vogliosa di investimenti e innovazione. Tutte cose che la Cina può offrire in grandi quantità. Gli investimenti cinesi di venture capital in Sudamerica hanno raggiunto nel 2017 la cifra record di 1 miliardo di dollari. I cinesi conquistano le grandi aziende del Sudamerica come la Uber cinese Didi Chuxing che ha acquistato per 600 milioni la 99 la principale app rivale di Uber in Brasile. In conclusione si può tranquillamente dire che mentre gli Usa hanno provato per decenni con la forza militare a controllare il mondo, la Cina in molto meno tempo e senza muovere un dito, potrebbe presto riuscire in questo intento.


vcaccioppoli@gmail.com

lunedì 15 ottobre 2018

CRESCONO I PRESTITI ONLINE IN ITALIA





In Italia crescono i prestiti online tra privati. Lo dicono i numeri. Cifre significative, che nel primo trimestre del 2018, mostrano un ammontare complessivo pari a 126 milioni di euro. È quanto hanno erogato le nove piattaforme di p2p lending italiane prese in considerazione nello studio, nei primi tre mesi di quest'anno. A dirlo è il report realizzato da P2P lending Italia, piattaforma specializzata nella raccolta dati degli operatori di settore.

In sintesi i volumi sono raddoppiati rispetto al 2016, mentre su base annua, rispetto al 2017, crescono del 199%. Si parla di circa 126 milioni che, però, potrebbero essere ancora di più, dato che l'analisi di P2P lending Italia non tiene conto dei risultati di realtà già operative come Credimi e Prestacap, né di tutte quelle che stanno entrando ora sul mercato. In totale si tratta di 12,6 milioni di euro erogati, di cui quasi 8 milioni erogati da Borsa del Credito. Mentre per quanto riguarda i prestiti personali (le quattro piattaforme interessate sono state: Prestiamoci, Smartika,Soisy, Younited Credit) l'ammontare erogato è stato di 24 milioni (che rappresenta un record trimestrale).

In termini di crescita, parliamo del 43% rispetto ai tre mesi precedenti e del 102% rispetto a i primi tre del 2017. Per parlare di questo e del mercato dei prestiti in generale, abbiamo incontrato una delle realtà più interessanti nel panorama non solo italiano, la francese Younited credit, nata in Francia nel 2011 e sbarcata in Italia ad Aprile del 2016. "Abbiamo fatto prestiti per quasi 100 milioni di euro, in poco più di 2 anni. Un risultato che ha sorpreso persino la nostra casa madre. Ma questo è solo l'inizio" dice Tommaso Gamaleri, giovane ceo Italia della società con un sorriso.
In effetti nel nostro paese il 2017 si è chiuso con un deciso aumento delle richieste di prestito da parte degli italiani, il 9,3% in più rispetto all'anno precedente. Inoltre il 2017 ha fatto registrare il valore medio più alto da quando Crif ha iniziato a monitorare il comparto (cioè dal 2008) pari a 9.050 euro. L'aumento di quest'anno ha riportato i volumi delle richieste a quelli del 2010. Su questi dati sicuramente incide anche l'ingresso di nuovi player sul mercato, come appunto Younited credit. "In Italia, rispetto alla Francia siamo indietro anni luce per quanto riguarda l'accesso al credito online. Basti pensare, infatti, come circa 1 prestito su 3, oltralpe, viene fatto online, mentre nel nostro paese siamo ad 1 su 20 -dice deciso Gamaleri- Se lei pensa che il mercato totale dei prestiti personali ammonta a circa 25 miliardi di euro può ben capire quali sono i margini di crescita che abbiamo davanti a noi".
I prestiti insomma anche per piccole somme, la media dei prestiti erogati si attesta intorno ai 3500 euro, sembrano crescere anche online oltre che tramite i tradizionali canali, anche nel nostro paese, superando forse quella iniziale diffidenza che contraddistingue da sempre gli italiani, quando si parla di soldi online.

"Da un'analisi che abbiamo fatto lo scorso anno è interessante notare come gli Italiani diano priorità ad esigenze come la sostituzione dell'automobile o il rinnovamento della propria abitazione, piuttosto che a progetti legati al tempo libero, come i viaggi, o alla tecnologia."
Per quanto riguarda invece la distribuzione geografica Il nord e il sud si dividono equamente circa l'80% del totale, mentre il centro il restante 20%, ecco spiegata anche la scelta di Roma come sede italiana della società, invece che la più naturale piazza di Milano.
"Roma ha un bacino molto grande e per la clientela a cui ci rivolgiamo è importante essere qui e poi è un discorso di avere una sede baricentrica, comunque entro il prossimo anno apriremo anche una sede a Milano."
Younited Credit, che ha fatto un recente accordo con la compagni assicurativa Conte del gruppo Admiral, sta pensando anche ad aggredire il profittevole mercato dei prestiti a rate e ha in serbo anche alcuni accordi con grosse compagnie per permettere loro di dare ai propri cliente in maniera semplice comoda e veloce una piattaforma per effettuare pagamenti a rateizzati o prestiti.
Il nostro paese, secondo quanto affermato dai vertici parigini, che sembrano vicini ad un accordo strategico molto importante con una compagnia Telco, è in solo due anni diventato il secondo paese per importanza. Sicuramente anche per merito del giovane ceo, che con entusiasmo e pervicacia è riuscito a circondarsi di collaboratori capaci ed è stato in grado in poco tempo di intercettare un mercato, che fino ad ora era appannaggio di pochissimi operatori, come per esempio Fineco, Agorà e Findomestic.
"In questo momento noi stiamo pensando ad allargare i nostri servizi, cominciando proprio dai pagamenti a rate e dal credito al consumo. Nei miei pensieri ci sono già alcuni accordi strategici che ci permetteranno di essere assoluti protagonisti da qui a qualche anno." continua Gamaleri. Inoltre presto proprio dal nostro paese partirà la conquista dei molti appetibili paesi dell'est, come Polonia, Romania, Repubblica Ceca.

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sabato 13 ottobre 2018

I social media nella comunicazione politica







Sono proprio passati i tempi delle campagne elettorali tradizionali, con i comizi per le strade ( sempre più vuoti) le grande convention o le tribune politiche in televisione. Ormai anche la politica e la comunicazione si gioca sempre più sui social. Con tutti i benefici e i danni che il loro utilizzo comporta ( basti pensare allo scandalo Cambridge Analytics ). Basti citare tre esempi fra i più lampanti a dimostrare questa tesi, che sempre più esperti e guru della comunicazione portano avanti con forza. Il primo esempio sicuramente da citare riguarda il presidente Trump, che pochissimi davano al momento della sua candidatura in grado di arrivare non solo alla Casa Bianca, ma nemmeno alla vittoria nelle primarie repubblicane. Settantacinque milioni di post, oltre alla pletora di messaggi si Facebook e sugli altri social media, su cui si è giocata e decisa la partita Clinton-Trump a vantaggio di quest’ultimo
Sulla piattaforma ideata da Mark Zuckerberg, che raccoglie un numero decisamente superiore rispetto a Twitter, la quantità di post dello staff di Trump si è rivelata maggiore e proporzionale è stata la forza dell’ engagement su Facebook: negli ultimi giorni di campagna elettorale i post dello staff di Trump sono stati sempre più condivisi, in una crescita esponenziale, a differenza di quelli di Hillary, in calo nelle ultime battute di campagna. Una differenza fondamentale, vista la percentuale rilevante di elettori che decidono solo nelle ultime ore se e chi votare. Molti hanno dato la colpa alle "fake news", che diffuse ad arte in rete tramite ai social hanno permesso a Trump di prevalere sulla più paludata Clinton. Sarà anche vero forse ma sicuramente l'utilizzo dei social, come twitter hanno permesso al faccendiere americano di essere molto più vicino all'elettore medio americano. Il secondo esempio di quanto il buon utilizzo dei social possa aiutare nelle campagne elettorali è sicuramente il caso di Matteo Salvini, altro indiscusso maestro dell'utilizzo dei social, come facebook e twitter nella comunicazione politica. Fondamentale, per la comunicazione politica del vicepremier milanese, è, infatti,  la sua pagina Facebook, dove presta molta attenzione ai propri sostenitori, non soltanto pubblicando video dai contenuti politici e dai titoli provocatori che creano, così, scalpore, ma anche attraverso la condivisione di momenti di vita privata. E se niente viene lasciato al caso, ecco che diventa logico credere che l’utilizzo della felpa anziché della giacca, le continue trasmissioni sui social network e le continue provocazioni lanciate rientrino nella volontà di ottenere quanto più consenso possibile.
Inoltre il nostro bravissimo comunicatore leader della Lega è forse l'’unico ad aver davvero sperimentato qualcosa di nuovo. Il gioco VinciSalvini una sorte di gamification adottata ai social network e capace di attirare e coinvolgere moltissime persone. In sintesi estrema, gli utenti Facebook più veloci a mettere un like ai post su Facebook del leader della Lega Nord accumulano punti, che permettono ai primi classificati di ottenere una telefonata da Salvini, un post con la propria foto e addirittura un incontro privato con il leader. Come poi non considerare l'iperattivismo di Salvini sui principali social, capace di attirare migliaia di persone nelle decisioni politiche o anche solo negli avvenimenti che lo riguardano. In questo modo Salvini, da abilissimo comunicatore quale è, riesce nell'impresa di sovrastare sul loro stesso terreno anche i 5 stelle, nati proprio grazie e sopratutto sul web. Il web utilizzato ad arte per aumentare consenso coinvolgendo un numero molto più alto di persone, rispetto a qualsiasi altro strumento o mass media. Con i social, i politici, riescono ad eliminare quella sorta di distacco che sempre le persone hanno sentito verso l'uomo pubblico. Tutto questo ha contribuito a coinvolgere molte più persone, che in questo modo si sono sentite più vicine ed sono state più propense a partecipare alla competizione elettorale Tutto il contrario di quello fatto per esempio da Renzi, altro grande utilizzatore dei social, ma in maniera molto più distaccata, e con quella sorta di presunzione, che il politico ha sempre avuto. In questo l'utilizzo dei social ha determinato un aumento dei detrattori, rispetto ai fautori che hanno avuto gioco facile a criticare l'arrivismo e l'antipatia del politico fiorentino. Senza parlare dei vecchi politici alla Berlusconi, il cui utilizzo dei social è stato più deleterio che altro, contribuendo forse ad affossarli definitivamente.
Infine ma solo perchè ultimo in ordine di tempo come non citare il caso di Bolsonaro, l'uomo nero del Brasile, che salvo colpi di scena dell'ultima ora, si appresta a governa il grande gigante malato del Sudamerica. Con una totale assenza dai comizi e dalla grande stampa, ma con una costante e mirata  presenza sui principali social, il deputato di estrema destra brasiliano è stato capace di intercettare tutto il malcontento del brasiliano medio, arrabbiato dal sogno spezzato della rivoluzione dal basso di Lula e del suo partito. È, infatti, uno dei politici brasiliani più influenti: vanta, infatti, 10,5 milioni di follower su Twitter, Facebook, Instagram. In una recente ricerca su qual è la fonte di notizie dei brasiliani, il 66% degli interrogati, cioè 2 su 3, afferma di aver usato i social media per informarsi, una percentuale molto alta rispetto agli altri Paesi. La grande novità di Bolsonaro sta nell’aver capito l’importanza della Rete. In una diretta Fb ha parlato del dispositivo che ha guidato la sua campagna elettorale, cambiando la politica brasiliana: il cellulare. A differenza dei suoi avversari ha scelto di non partecipare ai tradizionali dibattiti tv, come quello su Globo News, ma ha concesso un’intervista andata in onda sul canale Record di proprietà del vescovo evangelico Edir Macedo, leader della Chiesa Universale del Regno di Dio, che appoggia la sua candidatura. Insomma al di là di tutto il male e le dietrologie che stanno dietro l'eccessivo utilizzo dei social network, questi casi dimostrano come i social abbiano effettivamente cominciato quella sorta di rivoluzione dal basso, da tanti propugnato e mai realizzato compiutamente. Ma la cosa strana è che questo non ha premiato, come francamente previdibile, la sinistra, ma la destra, che forse ha avuto più capacità di capire i nuovi strumenti per utilizzarli a proprio vantaggio. Forse come i corsi e ricorsi storici che si ripetono, ancora una volta la sinistra sembra sempre più lenta ad intercettare il nuovo, legata forse a troppo alle ancestrali tradizioni che la contraddistinguono da cento anni, ma che fino ad ora non le hanno certo portato fortuna.

giovedì 11 ottobre 2018

UNA NUOVA FORMULA PER LA PUBBLICITA'? NASCE IL BARTER PAY PER SALE






Fino ad oggi le aziende, per promuovere un prodotto o un servizio su un qualsiasi media, erano abituate a investire in pubblicità senza conoscere con certezza l’efficacia della campagna in termini di vendite e allocando un budget marketing per pagare l’audience della campagna, che è sempre maggiore del numero dei clienti acquisiti.
Per questo motivo le medie e piccole imprese possono raramente permettersi simili investimenti pubblicitari, mentre le grandi aziende si trovano a pagare impression e click di un grande numero di utenti, dei quali però soltanto una piccola parte diventa cliente e arriva a fare un acquisto. Infatti secondo la terminologia diffusa per la pubblicità sul web esistono diverse formule di pubblicità per le aziende, tra cui le principali formule sono:
CPC: è il Cost per Click (detto anche PPC – Pay per Click) e rappresenta proprio la discriminante tra la pianificazione tradizione e quella a performance in quanto consente di pagare per ogni click ricevuto dalla campagna pubblicitaria
CPL: Cost per Lead, ovvero il costo per il completamento di una form o di una sottoscrizione ad una newsletter. E’ usato particolarmente in caso di necessità di costruzione di un database profilato.
CPS:il costo pagato per ogni vendita generata da un annuncio online o da un link di affiliazione.
Esistono poi altre tipologie meno diffuse, quali il CPO (Cost per Order), il CPE (Cost per Engagement), il CPV (Cost per Visitor) ed il CPI (Cost per Impression).
Secondo alcuni questa è stata la vera rivoluzione nel mondo della pubblictà, secondo altri sono un paravento per i grandi colossi del web per accaparrarsi il mercato della pubblicità, che fino a qualche anno fa era appannaggio dei grandi media tradizionali, Tv, Radio, outdoor e carta stampata. Secondo i dati Nielsen si tratta di un torta di tutto rispetto. Il mercato pubblicitario, infatti, solo in Italia ha chiuso il 2017 con un giro d’affari pari a 8,249 miliardi di euro, in aumento dello 0,4% rispetto al 2016. Sulla base delle stime realizzate da Nielsen, la raccolta dell’intero universo del web advertising nei 12 mesi cresce del 7,7% rispetto al 2016 raggiungendo un totale di 2,454 miliardi di euro.
Il digital incrementa di due punti percentuali la sua quota sul totale della pubblicità in Italia, sfiorando il 30% (29,8%). Se si escludono il search e il social, il trend è sì positivo ma con una crescita più limitata (+1,7%). Social e video sono i due settori trainanti mentre search e, soprattutto, classified e display, per quanto tutti in crescita, perdono quote di mercato. Insomma il mercato della pubblicità sta sicuramente seguendo i nuovi trend. Ma il concetto non cambia di molto, si tratta solo di un trasferimento di investimenti da un mezzo ad un altro. Molte sono state le nuove proposte per modificare il concetto di pubblicità, sono nati nuovi formati come detto, si parla sempre più spesso di Native advertising, forma pubblicitaria contestuale che integra contenuti editoriali e annunci pubblicitari all’ interno del contesto editoriale, dove essi vengono posizionati con una indicazione chiara dell’inserzionista che sponsorizza il contenuto pubblicitario. Ma nessuno fino ad ora era riuscito ad andare oltre il concetto stesso del fare pubblicità e cioè pagare subito per avere un risultato, che comunque sia è sempre piuttosto difficile da quantificare e da valutare. Forse finalmente Sixthcontinent, fin dalle sue origini piattaforma innovativa per concetto e natura, ha trovato la formula ad hoc per far si che anche le aziende che non hanno la possibilità dio avere budget per fare pubblicità, possano ricorrervi, con la certezza di avere un ritorno sicuro dall'investimento stesso. La formula, infatti, garantisce alle aziende un successo pari al 100% sull’ investimento. Infatti, su SixthContinent la pubblicità si paga in base alle vendite generate dalle campagne e il pagamento avviene in modo contestuale agli incassi. Non è dunque più necessario avere a disposizione un budget per la pubblicità, perché la pubblicità si paga con una parte dei ricavi delle vendite. In più, il pagamento della pubblicità sulla piattaforma avviene con una parte dei soldi già incassati dalla vendita (Barter) delle shopping card: una formula dunque sostenibile e possibile per qualsiasi azienda, perché senza rischi e senza anticipi. Qualsiasi Azienda che abbia un sito e- commerce può creare una campagna pubblicitaria e una promozione sulla piattaforma SXC, definendo il costo che è disposta a pagare per ogni vendita e cliente acquisito. Va considerato inoltre che il cliente in questo caso si registra sul sito e- commerce del brand ed effettua lì un acquisto divenendo a tutti gli effetti un cliente diretto dell’azienda. Il “budget per vendita” è definito a tavolino preventivamente e il pagamento avviene con parte dell’incasso generato dalle vendite, quindi, qualsiasi azienda, grande, media e piccola può accedere alle campagne pubblicitarie e alle promozioni su SXC. Se SXC non vendesse niente, l’azienda non pagherebbe niente e tutta la pubblicità, impression e click resterebbero sempre gratuiti. Tutto ciò è possibile proprio perchè Barter-Pay-per-Sale richiede il pagamento solo a vendite avvenute. Una formula sostenibile e possibile per qualsiasi azienda, anche e soprattutto per le PMI, perché senza rischi e senza anticipi. Questo può sicuramente diventare un modello che supera forme più tradizionali come appunto per esempio il “Pay per View (PPV) e il Pay Per Click (PPC), rappresentando la più grande innovazione nella pubblicità digitale dai tempi del debutto sul mercato di Facebook e Google.



NASCE IL PRIMO KIT ANTISOFISTICAZIONE OLIO EXTRAVERGINE

  Nasce il primo kit domestico per scoprire difetti, frodi e contraffazione di uno degli alimenti principi sulla tavola degli italiani, l’ol...