martedì 23 marzo 2021

COME SARA' L' ECOMMERCE NEL 2021

 




Nel 2020, a causa delle restrizioni e delle chiusure imposte dell’emergenza sanitaria, i consumatori si sono rivolti sempre di più al digitale e le piccole e medie imprese hanno dovuto adeguarsi alle nuove richieste, affiancando ai punti vendita fisici quelli online, alle vetrine le pagine e i profili social. Soprattutto, grazie alla maggiore flessibilità e praticità, molti trend 2020 si sono consolidati trasformando radicalmente le abitudini di acquisto dei consumatori e dando vita a una rivoluzione che continuerà anche nel 2021. “A causa della pandemia, molte aziende sono dovute correre ai ripari dotandosi di una presenza e-commerce per mantenersi in attività e per continuare a rimanere in contatto con i propri clienti, mentre le realtà già presenti online hanno potuto capitalizzare gli investimenti del passato e, in diversi settori, han visto una crescita esponenziale delle vendite”, spiega Mirella Bengio, Head of Partnerships Italia di PayPlug, la soluzione di pagamento online per l’e-commerce concepita per le piccole e medie imprese. “Ora, in un ambiente sempre più competitivo, la sfida per le attività italiane sarà far tesoro delle lezioni impartite dal 2020 per fidelizzare e attrarre nuovi clienti nel 2021, perché un buon prodotto non sarà più sufficiente. Per distinguersi sarà necessario puntare sull’esperienza offerta al cliente, creando una connessione tra i vari canali, fisici e digitali, offrendo servizi che soddisfino le aspettative e adottando un approccio il più possibile flessibile, responsabile e che guardi al locale”. Per aiutare gli esercenti di piccole e medie dimensioni ad anticipare le tendenze e a cogliere le nuove opportunità che si presenteranno quest’anno, PayPlug ha individuato i 10 trend che caratterizzeranno l’e-commerce nel 2021, dalla fidelizzazione all’omnicalità.

1. La fidelizzazione, una sfida sempre più importante

Il primo semestre del 2020 è stato segnato da un boom di cyber-acquirenti: due milioni di italiani in più hanno utilizzato un servizio e-commerce. La sfida, in un contesto di continue limitazioni e chiusure, è capitalizzare questo bacino di nuovi clienti, fidelizzandoli. Sicuramente in questo senso le iniziative come quella dell'italianissima Coinshare, piattaforma di community shopping in bloclchain con altissimi tassi di crescita proprio nel periodo del lockdown, mostrano come questa sia una idea assolutamente vincente, sia per gli utenti che per le imprese.  Nel 2021 si prevede una crescita di investimenti marketing del 30% proprio con l'obiettivo di cogliere due milioni di nuove opportunità di business legate alla condivisione e alla fidelizzazione della clientela 

2. L’esplosione del click & collect

Sempre in conseguenza delle limitazioni vigenti, il click & collect sarà il leitmotiv delle esperienze d'acquisto. Dopo il + 349% di questa modalità di acquisto durante il lockdown [3], il trend si consoliderà grazie alla grande flessibilità e comodità per chi vive in smart working.

3. La fine del cash

Il cashless sarà sempre più predominante. Abitudini modificate, incentivi e comodità porteranno l'attuale 48% di italiani che hanno ridotto l'uso del contante a un solido 80% di clienti cashless only Senza contare che la probabile diffusione delle valute digitali potrebbe rappresentare un nuovo incentivo alle transazioni cashless.

4. Il successo dei marketplace locali

La vicinanza e la volontà di sostenere i business locali hanno generato un grande cambiamento e crescita dei marketplace locali. I piccoli commercianti che si sono riuniti in mercati virtuali hanno registrato un volume di affari in crescita del 50% e trovato il plauso dei concittadini [5]: 6 su 10 continueranno a supportare i piccoli esercenti tramite questo strumento .



5. La crescita del re-commerce

Sano per l'ambiente e per il portafoglio, il 2020 è stato sotto il segno del re-commerce: due terzi degli italiani hanno comprato o venduto un prodotto di seconda mano . Un modello che si consolida e coinvolge anche brand tradizionali. Anche per questo, nel 2021 è prevista una crescita pari al +42% sul mercato globale dell’usato online e si stima che l'usato online doppierà i numeri del fast fashion entro il capodanno 2030

6. L’omnicanale diventa la norma

Ogni portale è diventato portone: ben il 92% degli italiani ha utilizzato diversi canali coordinati e intercambiabili per un acquisto (e-commerce, social, negozio fisico). L'esperienza ha conquistato quasi tutti e ora il 69% degli italiani online pretende un'esperienza d'acquisto senza ostacoli a prescindere dai canali d'acquisto .

7. Pagamento a rate, un nuovo standard

Consegna a domicilio, servizio post vendita e pagamento rateale anche per piccole cifre sono ormai dei must-have degli acquisti online. In particolare, le incertezze del momento unite alla comodità e sicurezza dei pagamenti rateali fanno sì che questa modalità di pagamento sia richiesta da 4 italiani su 10

8. Storytelling, la forza delle piccole imprese

Artigiani e piccoli commercianti sono le attività che animano e caratterizzano ogni paese e città: così, vedere le saracinesche chiuse per lunghi periodi ha risvegliato l'interesse dei consumatori verso i commercianti di prossimità e il 56% dei concittadini [11] afferma di voler acquistare di più dai piccoli commercianti. Il punto centrale sono la loro storia e i loro volti, elementi fondamentali per competere con giganti del web che fanno dello storytelling dell'esercente un potente strumento di marketing e vendita.

9. L’ iperconnessione dei consumatori

I prodotti da e-commerce non hanno più barriere: di necessità si è fatta virtù ed è esploso il trend di acquisto di prodotti "semplici" come alimentari e piccolo artigianato locale. Se nel 2019 si stimava che il settore Food&Grocery potesse arrivare nel 2025 a 2,7 miliardi di euro, ora si stima di raggiungere questa cifra entro capodanno 2021

10. Microinterazioni

L'uomo è un animale sociale e ha nel DNA il bisogno di interagire: così, in un contesto di distanza fisica, diventa centrale il medium. Le micro interazioni online - dallo scroll della pagina ai download di documenti - e il coinvolgimento emotivo sono la chiave di volta dell'e-commerce: un'interfaccia utente adeguata può portare a convertire il 200% di clienti in più

martedì 9 marzo 2021

PRODOTTI DOP ED IGP IN PERICOLO IN CINA?

 

La Cina sembra porre ostacoli alla promozione dei prodotti Dop e Igp, mettendo a rischio l’attività di promozione da parte dei Consorzi di Tutela italiani, con conseguenti aumenti dei costi. La preoccupazione dei Consorzi che svolgono attività di promozione delle in Cina, come sottolinea Origin Italia - l’Associazione Italiana Consorzi Indicazioni Geografiche - è deflagrata in seguito ad alcune segnalazioni di Consorzi associati, ai quali sarebbe stato richiesto dalle autorità cinesi - in virtù di una legge del 2017 nei confronti delle organizzazioni noprofit, tra le quali figurerebbero anche i Consorzi di Tutela - di dotarsi di un rappresentante legale nella Repubblica Popolare Cinese per poter svolgere le normali attività, ovvero, per i Consorzi di Tutela, quella di promozione. Una novità che sarebbe in netto contrasto con la recente entrata in vigore (1 marzo 2021) dell’Accordo stipulato tra l’Unione Europea e la Repubblica Popolare Cinese sulla cooperazione e la protezione dall’imitazione e dall’uso improprio della denominazione di 200 Indicazioni Geografiche europee e cinesi.
Origin Italia - dopo aver già contattato Mipaaf e Agenzia ICE - si è immediatamente attivata scrivendo al Ministro delle Politiche agricole Stefano Patuanelli e al Ministro degli Affari Esteri Luigi Di Maio, per ottenere con urgenza un chiarimento ed informazioni sulla modifica della disciplina dei Consorzi di Tutela delle Indicazioni Geografiche nella Repubblica Popolare Cinese. “Se dovesse essere confermato questo cambiamento di disciplina – ha sottolineato il presidente Origin Italia, Cesare Baldrighi - i Consorzi di Tutela rischierebbero di subire una interruzione repentina delle attività promozionali in territorio cinese, con gravi ripercussioni in termini di visibilità del made in Italy ed esacerbando una situazione già critica a causa dei gravi danni riconducibili alla pandemia da Covid-19, che hanno colpito principalmente le attività promozionali dei Consorzi come fiere ed esposizioni, essenziali per la crescita e la tutela delle Indicazioni Geografiche. Questa decisione - aggiunge Baldrighi - oltre ad oberare i Consorzi di ulteriori incombenze e costi da sostenere ancora non chiari, potrebbe anche ledere l’autonomia delle iniziative consortili operanti in territorio cinese, allungarne le tempistiche e creare un vuoto nella tutela e nella promozione delle Indicazioni Geografiche”. A questo punto, quindi, i Consorzi italiani attendono chiarimenti da parte del Governo e di sapere quali misure vorrà mettere in atto per impedire che possano essere danneggiati i prodotti d’eccellenza del made in Italy, in un mercato cosi interessante come quello cinese. La preoccupazione interessa quei prodotti, come per esempio i formaggi o il vino, che in Cina hanno trovato un importante mercato di socco per i loro prodotti di nicchia elevata, che adesso potrebbero un inaspettato stopo come dice il presidente della Confederazione Nazionale Consorzi Volontari Tutela Denominazioni Vini Italiani ( Fedredoc), Riccardo Ricci Cubastro “L’Amministrazione cinese sta interpretando in modo estensivo una norma di legge del 2017, obbligando quindi i Consorzi di tutela ad indicare un referente legale cinese per continuare le attività promozionali già programmate. In sintesi, i Consorzi dovrebbero riconoscere nell’immediato che ad essi stessi vengano applicate le norme nazionali in materia di Organizzazioni non Governative; il che equivarrebbe a dichiarare che le attività promozionali in corso di svolgimento e ancora da realizzare sul territorio cinese costituirebbero una violazione della legge nazionale senza la sottoscrizione di una lettera di intenti”. Sempre dalla Federdoc fanno notare come tutto ciò appaia una richiesta illegittima, in quanto costituirebbe una barriera non tariffaria imposta in modo totalmente arbitrario dal Governo cinese; che inoltre paventa l’applicazione di sanzioni del tutto irragionevoli nei confronti Consorzi di tutela del vino, quali l’esclusione per un quinquennio da qualsiasi attività promozionale sul proprio territorio. Una decisione, quella del Governo Cinese, che sconcerta anche perché giunge a pochi giorni di distanza dall’entrata in vigore dell’accordo bilaterale UE – Cina dello scorso 1° Marzo, riguardante proprio la tutela e la protezione dei prodotti a Indicazione Geografica.
Una contraddizione che apri molti dubbi rispetto all’accordo, raggiunto con troppa fretta e er volonta della cancelliera tedesca Merkel, che forse era maggiormente interessata per il suo paese ad altre dinamiche dello scambio commerciale fra Ue e Cina, senza preoccuparsi troppo di settori come quelli del food, in cui sicuramente la Germania ha meno interessi rispetto ad Italia o Francia. “Abbiamo appreso – aggiunge sempre Ricci Curbastro – che le istituzioni cinesi stanno già applicando la norma in oggetto anche ai Comitati Interprofessionali del vino francesi e ad altri soggetti che si occupano di promozione dei vini europei a IG. E’ una situazione che va risolta quanto prima e intanto Federdoc chiede ai Ministeri interessati di voler verificare con estrema urgenza la possibilità di applicare delle flessibilità ai Consorzi che non riescono, per causa di forza maggiore, a realizzare le proprie attività in Cina. Il che significa non solo non applicare penalità ma anche di dare la possibilità, per non perdere i fondi, di una modifica immediata dei progetti di promozione con conseguente riallocazione delle risorse in azioni da svolgersi in altri Paesi




sabato 6 marzo 2021

AGRICOLTURA SMART VALE OLTRE 500 MILIONI DI EURO NEL 2020

 

L’emergenza Covid19 ha messo fortemente sotto stress il settore agroalimentare italiano, diminuendo la disponibilità di manodopera, aumentando la pressione sulla logistica distributiva, riducendo le vendite nel canale Ho.Re.Ca e la fiducia dei consumatori ( circa 11,5 miliardi di fatturato perso secondo un recente studio della coldiretti). Queste difficoltà, soprattutto durante il primo lockdown, hanno rallentato anche il mercato dell’Agricoltura 4.0, che però è ripartito di slancio nella seconda parte dell’anno, raggiungendo un valore di 540 milioni di euro nel 2020 (circa il 4% del mercato globale) e registrando una crescita del 20% rispetto all’anno precedente, in linea con l’andamento pre-pandemia. La spesa è trainata dalle soluzioni di Agricoltura di Precisione – gli strumenti a supporto delle attività in campo – come i sistemi di monitoraggio e controllo di mezzi e attrezzature (36% del mercato), ed i macchinari connessi (30%).
Sono 538 le soluzioni di Agricoltura 4.0 disponibili per il settore agricolo in Italia (oltre 100 in più rispetto al 2019), che usano prevalentemente sistemi di Data Analytics, piattaforme o software di elaborazione e Internet of Things, e trovano applicazione nelle fasi di coltivazione, semina e raccolta dei prodotti in diversi comparti, fra i quali emergono l’ortofrutticolo, il vitivinicolo e il cerealicolo. Ben il 60% delle aziende agricole utilizza almeno una soluzione digitale, e il 38% ne impiega due o più, ma solo il 3-4% della superficie agricola è coltivata con strumenti 4.0. Il digitale è sempre più presente anche nell’ambito della tracciabilità alimentare, con 157 soluzioni. Avanzano le tecnologie per la raccolta, la valorizzazione e la condivisione dei dati lungo la filiera, come le soluzioni Mobile (+65% rispetto al 2019), l’analisi avanzata dei dati (+57%) e le piattaforme di elaborazione (+60%). Continua la crescita della Blockchain, presente nel 18% delle soluzioni di tracciabilità (+59%), anche se con un ritmo più lento rispetto al 2019. L’agroalimentare è il terzo settore per numero di progetti pilota e operativi di Blockchain a livello internazionale, avviati dalle imprese per ragioni commerciali, migliorare l’efficienza della supply chain e per una maggiore sostenibilità ambientale o sociale.
Questi sono alcuni dei dati emersi dalla ultima ricerca realizzata dall'Osservatorio Smart Agrifood dell’Osservatorio del Politecnico di Milano “Smart Agrifood: condivisione e informazione, gli ingredienti per l’innovazione” presentati Venerdi 5 Marzo. “Il settore agroalimentare ha superato la prova della pandemia, mostrandosi dinamico e aperto all’innovazione, ben consapevole dei benefici che l’applicazione delle tecnologie digitali può apportare in termini di efficienza, competitività, sostenibilità della filiera – ha commentato Andrea Bacchetti, Direttore dell’Osservatorio Smart Agrifood -. Nonostante questo, soltanto una piccola parte della superficie agricola è oggi coltivata con strumenti 4.0. Per sbloccare questo potenziale ancora inespresso sarà necessario lavorare sull’interoperabilità e l’interconnessione delle soluzioni, lo sviluppo di competenze specifiche e la valorizzazione e condivisione dei dati”.

MACCHINE AGRICOLE AL TOP

Il mercato italiano dell’Agricoltura 4.0 è trainato dai produttori di macchine agricole e ausiliari, responsabili del 73% del fatturato, seguiti dai fornitori di soluzioni IT e tecnologie avanzate (in particolare Internet of Things) con una quota del 17%. Le soluzioni che attirano più investimenti sono quelle per il monitoraggio e il controllo di mezzi e attrezzature agricole (36% del mercato) e i macchinari connessi (30%). Nei software gestionali si concentra il 13% della spesa, i sistemi per il monitoraggio da remoto di coltivazioni e terreni coprono l’8%, il 5% è rappresentato da sistemi di supporto alle decisioni, il 4% da soluzioni per la mappatura di coltivazioni e terreni, il 2% da robot per le attività in campo.
Oltre alle aziende agricole, anche le imprese della trasformazione alimentare sono aperte all’innovazione e alla sperimentazione di soluzioni 4.0, anche se ancora spesso legate a tecnologie di base. L’87% delle 135 imprese analizzate dall’Osservatorio applica o sperimenta almeno una tecnologia digitale, principalmente nei processi distributivi e produttivi, fra le quali spiccano i software di gestione dei fornitori e del magazzino (75%) e i dispositivi portatili (57%). Non mancano, però, realtà che si concentrano su tecnologie più innovative: soprattutto Data Analytics (il 19% le applica, il 9% le sperimenta), Cloud (18% e 10%), IoT (16% e 10%), Advanced Automation (13% e 3%) e Blockchain (2% e 6%).

BLOCKCHAIN E TRACCIABILITA'


La tracciabilità alimentare è uno degli ambiti in cui le aziende stanno maggiormente utilizzando il digitale (89% del campione), che genera i maggiori benefici per il settore e in cima alle preferenze di investimento. Sono 157 le soluzioni digitali per la tracciabilità alimentare offerte da 125 aziende, equamente divise fra strumenti tradizionali (come i gestionali o i software verticali fortemente specifici per la rintracciabilità dei lotti) e innovativi.
Capitolo a parte poi quello dell’utilizzo della blockchain per il settore, sopratutto per quanto riguarda la tracciabilità di prodotto. L’agroalimentare si conferma il terzo settore per numero di progetti a livello internazionale, pari al 7% delle 1.242 iniziative considerate, anche se solo il 31% sono progetti pilota e appena l’8% sono iniziative realmente operative, contro il 61% di semplici annunci. Le imprese sperimentano la Blockchain per ragioni commerciali e di marketing (nel 61% dei casi), per migliorare l’efficienza della supply chain (45%) e per una maggiore sostenibilità ambientale e sociale (24%).


martedì 2 marzo 2021

CYBERSECURITY IN ITALIA NEL 2020: I DATI

 



Il 2020 è stato un anno di emergenza anche sul fronte della cybersecurity. Per il 40% delle grandi imprese sono aumentati gli attacchi informatici rispetto all’anno precedente. Questo è quanto emerge dall’ultimo report dell’Osservatorio del Politecnico di Milano sulla cybersecurity, presentato meta Febbraio 2021. “La diffusione improvvisa e capillare del remote working e del lavoro agile, l’uso di dispositivi personali e reti domestiche e il boom delle piattaforme di collaborazione hanno infatti aumentato le opzioni di attacco a disposizione degli attaccanti. L’impatto economico della pandemia ha costretto le imprese italiane a fronteggiare le aumentate sfide di sicurezza con budget ridotti: il 19% ha diminuito gli investimenti in cybersecurity (contro il 2% del 2019) e solo il 40% li ha aumentati (era il 51% l’anno precedente). Ma per oltre un’impresa su due (54%) l’emergenza è stata un’occasione positiva per investire in tecnologie e aumentare la sensibilità dei dipendenti riguardo alla sicurezza e alla protezione dei dati. Nel complesso, la crisi legata al Covid19 ha rallentato la crescita del mercato della cybersecurity ma non l’ha fermata. Nel 2020 la spesa in soluzioni di cybersecurity ha raggiunto un valore di 1,37 miliardi di euro, in crescita del 4% rispetto all’anno precedente (nel 2019 il mercato aveva segnato un +11% rispetto al 2018), di cui il 52% è rappresentato dalle soluzioni di security e il 48% dai servizi. Gli investimenti in cybersecurity sono legati principalmente alla gestione dell’emergenza, come testimonia la crescita della spesa in Endpoint Security. Cloud, Smart Working e Big Data sono i trend del digitale che hanno maggiormente influenzato la gestione della sicurezza negli ultimi dodici mesi. Degni di nota anche Operational Technology (OT) Security, che riscontra un’accelerazione degli investimenti, e Artificial Intelligence, utilizzata in ambito cybersecurity dal 47% delle aziende.

I risultati sono stati presentati in un convegno online dal titolo “Cybersecurity Odyssey: la chiave per evolvere”. Nonostante un mercato in crescita e il ruolo sempre più strategico della cybersecurity, le imprese presentano ancora una scarsa maturità organizzativa. Solo nel 41% la responsabilità della sicurezza informatica è affidata a un CISO e ancora nel 38% dei casi non è prevista nessuna comunicazione al Board sull’argomento. La gestione della data protection è più evoluta, anche per effetto della spinta normativa, con il 69% delle imprese che ha inserito un Data Protection Officer (DPO) in organico e il resto che si avvale di figure esterne. “Il 2020 è stata una vera e propria odissea, con un aumento senza precedenti degli attacchi informatici, la necessità di riorganizzarsi per gestire l’improvviso boom dello smart working e la razionalizzazione del budget a disposizione per affrontare le sfide di sicurezza a causa del grave impatto economico della pandemia – afferma Alessandro Piva, Direttore dell’Osservatorio Cybersecurity & Data Protection -. Nonostante il contesto negativo, il mercato non ha smesso di crescere e la maggior parte delle imprese ha colto l’occasione per investire, rinnovarsi e aumentare la sensibilità dei dipendenti sul tema. La cybersecurity può essere la chiave per evolvere e gestire i cambiamenti in atto, ma deve essere gestita in modo più maturo e strategico”. Gabriele Faggioli, Responsabile scientifico dell’Osservatorio Cybersecurity & Data Protection ribadisce invece come “Anche nel 2020, nonostante l’emergenza sanitaria, sono stati fatti importanti passi avanti nell’ambito cybersecurity. Il mercato italiano della cybersecurity, però, è ancora limitato in rapporto al PIL, con un’incidenza di appena lo 0,07% nel 2019, circa 4-5 volte in meno rispetto ai paesi più avanzati. E dalla ricerca emerge anche la necessità di rafforzare il presidio delle normative, anche considerando le sanzioni comminate dalle Autorità competenti e gli importanti data breach di cui si ha avuto notizia nel corso dell’anno”. La spesa si divide quasi a metà fra le soluzioni di security, col 52% del mercato, e i servizi professionali e gestiti, col 48%. Le soluzioni su cui le aziende investono maggiormente sono sistemi per il monitoraggio degli eventi di sicurezza (16%), per gestire e monitorare l’accesso degli utenti a dati e applicazioni (14%), per valutare la vulnerabilità e la sicurezza di sistemi, applicazioni o reti (14%), per analizzare l’esposizione al rischio cyber dei sistemi aziendali e valutarne la conformità agli standard di sicurezza (12%) e soluzioni che monitorano il traffico di rete per identificare e bloccare accessi non autorizzati (11%). Fra i servizi, il 51% della spesa è dedicato ai Professional Services, i servizi offerti da fornitori esterni all’azienda per un progetto specifico, mentre il 49% riguarda i Managed Services, i servizi offerti in modo continuativo da fornitori esterni per la manutenzione dei sistemi informativi aziendali. Il Cloud è il trend che più ha influenzato la gestione della cybersecurity nelle imprese, insieme allo Smart Working e ai Big Data. Nell’ultimo anno sono emersi servizi Cloud di tipo edge, che estendono i confini della nuvola, ma le aziende lamentano ancora scarsa consapevolezza delle minacce da parte del top management (74%), un aumento degli attacchi più evidente rispetto ad altri ambiti (64%) e difficoltà a relazionarsi con i cloud service provider perché hanno poco potere negoziale (74%) o faticano a fare security assessment (66%). Fra le altre tendenze più rilevanti, l’accelerazione degli investimenti in OT security, a cui però non si accompagna un’adeguata maturità: solo un’impresa su due ha introdotto policy di OT security e meno di un terzo prevede attività di formazione specifiche sulla materia. L’Artificial Intelligence si conferma un tema di interesse per le aziende, che la impiegano in ambito cybersecurity nel 47% dei casi (ma solo nel 14% in modo significativo) soprattutto per identificare nuove minacce (68%) e per il monitoraggio del comportamento di sistemi e utenti al fine di rilevare anomalie (66%). Cresce anche l’importanza della Supply Chain security, le attività di protezione dei sistemi e delle reti di terze parti, ma finora solo il 13% del campione ha messo in campo strumenti tecnici e predisposto un presidio organizzativo formale. Le realtà più piccole hanno faticato ad adeguarsi ai nuovi modelli di organizzazione del lavoro imposti dall’emergenza. Secondo il 59% delle PMI intervistate dall’Osservatorio, l’uso di device personali e reti domestiche ha esposto le aziende a maggiori rischi di sicurezza, e per il 49% sono aumentati gli attacchi informatici. Sebbene la cybersecurity inizi a farsi strada tra le priorità, le PMI faticano ancora a tradurre la percezione in concretezza: solo il 22% ha previsto investimenti in sicurezza per il 2021, il 20% li aveva previsti ma ha dovuto ridurre il budget in seguito all’emergenza, un terzo non ha un budget da dedicare (32%) e oltre un quarto non è interessato all’argomento. Chi investe si concentra soprattutto sulla componente tecnologica: il 41% intende investire in soluzioni di sicurezza di base, come antivirus o firewall, il 37% guarda a soluzioni più sofisticate, come sistemi di Intrusion Detection o Identity & Access Management. Per quanto riguarda la gestione della cybersecurity, il 32% del campione ha investito in formazione su sicurezza e data protection ai dipendenti, il 28% si è rivolto a consulenti per migliorare la gestione della cybersecurity in azienda, il 18% ha introdotto competenze dedicate come Security Analyst o Security Administrator e il 15% ha stipulato polizze assicurative per il trasferimento del rischio cyber. Ci sono però ancora molte sfide da affrontare per imprese e istituzioni, a partire dal rafforzamento della compliance. Un’altra sfida “cruciale” è quella che riguarda il difficile rapporto tra innovazione tecnologica e data protection. In un’era volta alla digitalizzazione e al progresso tecnologico è necessario bilanciare saggiamente le opportunità offerte dalle nuove tecnologie con gli strumenti di tutela messi a disposizione dal framework normativo in materia di protezione dei dati: la trasformazione digitale e l’innovazione tecnologica, in assenza di adeguate misure di intervento, produrrebbero effetti negativi senza apportare alcun beneficio.

NASCE IL PRIMO KIT ANTISOFISTICAZIONE OLIO EXTRAVERGINE

  Nasce il primo kit domestico per scoprire difetti, frodi e contraffazione di uno degli alimenti principi sulla tavola degli italiani, l’ol...