Tutte le principali misure sulle partite Iva contenute decreto legge fiscale collegato al Ddl di Bilancio (ieri esaminato in via preliminare dal Consiglio dei ministri): “Una doccia fredda per l’esercito delle partite Iva in nome di un cambio di rotta all’insegna della lotta all’evasione”, ha commentato il Sole 24 Ore.
Addio alla seconda parte della flat tax: il regime con tassazione al 20% per le partite Iva con ricavi o compensi da 65.001 a 100mila euro che sarebbe dovuto partire dal 1° gennaio 2020.
Addio al forfait per circa 2 milioni di partite Iva che nel 2019 con ricavi o compensi fino a 65mila euro hanno sfruttato la flat tax al 15 per cento.
Introduzione del regime analitico per chi ha scelto la flat tax al 15 per cento (contrario di quanto accade oggi che con il forfait imprese e professionisti semplificano tutto).
Obbligo del conto corrente dedicato ai flussi finanziari dell’attività imprenditoriale o professionale svolta anche per le partite Iva nel forfettario. Insomma come al solito, occorre dirlo, le partite iva vengono trattate come figli di un dio minore. Da sempre accusati di essere evasori incalliti e per questo guardati con sospetto dalla elatre categorie sociali, devono al solito pagare il conto più salato anche questa volta. Tutto quello di buono che aveva fatto la Lega viene smontato lì dove evidentemente è più facile farlo. Non viene toccata quota 100 e nemmeno il tanto vituperato reddito di citaddinanza, cavallo di battaglia del movimento 5 stelle. Ma sulle partite iva invece si cambia quasi tutto quello che era stato fatto dal precedente governo. Ora arriva un primo timido interevnto tardivo di Di Maio, che forse più per scopi elettorali e di propaganda, che per convinzione personale, alza la voce chiedendo maggiori tutele per i piccoli commercianti e i professionisti, che già devono combattere con un sistema bruocratico e fiscale che certo non li favorisce. Eppure da sempre si dice che le partite iva, fatte da artigiani, professionisti, e piccoli imprenditori sono il motore della crescita del paese. Ma se si soffoca questo motore poi non ci si può poi lamentare del fatto che il paese non cresca più da decenni. Nulla è mai stato fatto per agevolare quella che rappresenta un grande fetta del mondo lavorativo del nostro paese. Secondo i dati del minsitero delle finanze, gli autonomi nel nostro paese, infatti, sono il 23,2% degli occupati ( 5,3 milioni ), ben sopra alla media europea che si attesta intorno al 15%. Nel 2018 le nuove aperture di partita iva sono state sostanzialmente pari a quelle delle chiusure, anche se si registra un notevoile aumento sia degli over 50 che dei giovani under 25, segno tangibile che la partita iva spesso è vista come unica alternativa alla disocupazione. Ma evidentemente questi dati sono buoni solo per stanare presunti evasori o per cercare di trovare facili coperture ai buchi di bilancio «E ora che il governo intende recuperare 7 miliardi di evasione fiscale in un anno, temiamo che si andrà a colpire non tanto i veri grandi evasori – che possono contare su un esercito di preparatissimi avvocati capaci di contestare punto per punto ogni accertamento – quanto i soliti liberi professionisti, commercianti e piccoli artigiani, spesso non in grado di difendersi adeguatamente anche alla luce dell’inversione dell’onere della prova». Ha giustamente detto, qualche giorno fa Francesco Lollobrigida, capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera, uno dei pochi partiti insieme alla Lega, che non criminalizza le partite Iva. Un paese normale dovrebbe cercare di infatti di salvaguardare chi con enorme fatica, dopo aver sbrigato le centinaia di adempimenti burocratici e fiscali a cui lo Stato lo costringe, dovrebbe riuscire a portare la pagnotta a casa. Invece sulla categoria da sempre esiste una pubblicistica, alimentata da giornali, organi di informazione, partiti e rappresentaze sindacali e da apparati dello Stato per creare una sorta di lotta fraticidia fra dipendenti e autonomi, dove secondo una retorica ormai stantia si aniderebbe la gran parte degli evasori. Non vogliamo con questo negare che fra piccoli artigiani e professionisti non ci siano evasori, in alcuni casi anche totali, ma occorre dire che inanziatutto è assolutamente scorretto fare di ogni erba un fascio e poi come spesso detto da molti esperti e come accade, già da tempo in altri paesi europei, per eliminare quella fetta di piccoli lavori svolti da professionisti in nero in cambio dello “sconto”, sarebbe sufficiente rendere detraibili queste spese per creare un ciclo virtuoso che avrebbe effetti positivi sulle tasche degli italianin e su quelle dell'erario. Senza contare poi la assoluta necessita di rendere piu snella la macchina burocratica statale che porta via tempo e risorse. Ma poi è vero che gli autonomi pagano poche tasse o meno tasse rispetto ad altre categorie? Secondo i dati del centro studi della Cgia di Mestre, l'associazione degli artigiani, sembrerebbe proprio di no. Recentemente infatti gli esperti della Cgia di Mestre hanno elaborato un'analisi dell'imposizione fiscale che promette di far discutere e non poco il mondo politico e le varie categorie interessate. Avrebbe, infatti, calcolato che i lavoratori autonomi pagherebbero, sia in percentuale che in valore assoluto, un importo maggiore di Irpef rispetto ai lavoratori dipendenti e ai pensionati. Questa, infatti, è l'imposta sulle persone fisiche ed è dovuta, indistintamente, sia da lavoratori dipendenti, pubblici e privati, che dai pensionati che, ovviamente, dai lavoratori autonomi. Solo nel 2017, ultimo anno per il quale sono disponibili dei dati, l'Irpef ha rappresentato circa il 32,8 % delle entrate tributarie totali dello Stato italiano. 4 mila e 700 euro all'anno a testa all'Erario di Irpef, contro una media di 4000 dei dipendenti. Senza contare ppi tutti gli altri vari balzelli da versare durante l'anno. Insomma forse è giunto il momento di lasciare da parte la propaganda e i personalismi e pensare ad una politica economica e fiscale piu equa e redistributiva per tutti, nessuno escluso.
vcaccioppoli@gmail.com
Nessun commento:
Posta un commento