giovedì 22 ottobre 2020

REGGERÀ LA DEBOLE TREGUA IN LIBIA



A quasi un decennio dall'inizio della guerra civile libica, sembra quasi impossibile immaginare la stabilità, per non parlare di una soluzione politica. Il paese è più combattuto che mai tra il governo di accordo nazionale riconosciuto dalle Nazioni Unite a Tripoli, che è sostenuto militarmente dalla Turchia, e le forze rivali fedeli all'esercito nazionale libico del generale Khalifa Haftar, sostenuto da un eterogeneo equipaggio della Russia, Emirati Arabi Uniti, Egitto e Francia. La Libia, che prima della guerra era tra i principali paesi esportatori di petrolio del mondo, con miliardi di riserve di idrocarburi, è oggi ricca di petrolio, ma povera di entrate e sull'orlo di un collasso irreversibile.

Ad Agosto è stato raggiunto un compromesso fra le parti per un cessate il fuoco temporaneo. L'accordo mediato da Haftar e dal vice primo ministro del GNA, Ahmed Maiteeq, ha chiesto la fine temporanea del blocco dei porti petroliferi da parte delle forze di Haftar nell'est assaltato della Libia, che è sotto il controllo nominale del parlamento rivale di Tobruk che supporta Haftar e il suo esercito nazionale libico.


LA TREGUA DI AGOSTO


Chiaramente gli interessi economici hanno prevalso sulle rivendicazioni delle due parti in conflitto, ma resta da vedere se e quanto questo accordo potrà durare.
Per ora l'accordo sta tenendo, nonostante le difficoltà del momento facevano presupporre il contrario. Il comando sui giacimenti petroliferi libici e le entrate che generano è stato un punto critico centrale nel conflitto dalla caduta del dittatore libico Moammar Gheddafi. Molti credono che proprio questo sia stato il vero motivo scatenante del conflitto, e la Francia sopratutto in questo ha avuto un peso assai preponderante nella decisione di intervenire con la forza nel paese, trascinando con sè la Ue, gli Stati Uniti e una riluttante Italia, che invece avrebbe preferito la via del dialogo. Il risultato una volta spodestato il leader libico è stato quello di innescare interventi da Emirati Arabi Uniti, Russia, Egitto e Francia, in una sanguinosa rissa per la ricchezza petrolifera della Libia, che ha diviso il paese tra una miriade di fazioni armate che sono tanto tribali e personali quanto ideologiche.

L’ingresso della Turchia di Erdogan nel confronto ha determinato un ulteriore motivo di tensione nella zona provocando naturali attriti con la Russia e la Francia. Tutto sembra ruotare oltre a componenti geopolitiche sulla grande ricchezza petrolifera del paese. La National Oil Corporation di proprietà statale, nota come NOC, che domina la sua industria petrolifera ( anche grazie alle infrastrutture e ai mezzi della nostra Eni) sembra abbia svolto un ruolo non marginale nella conclusione della accordo di pace. Il potentissimo presidente del NOC, Mustafa Sanallah, è riuscito finora a navigare nelle acque agitate che circondano la tregua del petrolio con aplomb burocratico, nonostante il fatto che il gigante del petrolio sia in difficoltà considerando che deve registrare 9 miliardi di dollari di perdite dovute al blocco di otto mesi.

La pandemia ha poi sicuramente avuto l’effetto di accrescere i timori per la tenuta economica e sociale del paese. Negli ultimi mesi si sono succeduti in tutto il paese frequenti dimostrazioni antigovernative contro il GNA, e poiché la pandemia COVID-19 mette a dura prova la salute pubblica con circa un quinto dei 6,8 milioni di libici già disperatamente bisognosi di aiuti umanitari, secondo il Programma alimentare mondiale, la fiducia pubblica nel GNA è ai box e la fazione di Sarraj sembra essere sempre più in declino.
La Libia è ricca di petrolio, ma povera di entrate e sull'orlo di un collasso irreversibile.
Semmai, l'accordo che ha posto fine al blocco dei porti petroliferi potrebbe essere il segno più sicuro che la guerra per procura turca a buon mercato in Libia ha indebolito Haftar, almeno temporaneamente, e che la strategia di Ankara sta iniziando a dare i suoi frutti. Non c'è dubbio che l'iniezione da parte della Turchia di circa 3.500-3.800 mercenari siriani la scorsa primavera abbia scosso la determinazione dei mercenari russi inviati nel 2019 per aumentare l'offensiva di Haftar su Tripoli. È stato solo dopo una serie di drammatici capovolgimenti del campo di battaglia verso la fine dell'estate che Haftar ha pensato che fosse giunto il momento di fare un accordo. Non a caso, il ritiro delle forze mercenarie da tutte le parti dalle strutture petrolifere libiche da lungo tempo è una condizione della tregua.


IL PETROLIO E GLI INTERESSI ECONOMICI

Questa tregua, anche se molto provvisoria, ha già fornito un po' di respiro quanto mai necessario al NOC affamato di denaro, con la sua produzione che, secondo quanto riferito, è triplicata a 260.000 barili al giorno dalla fine del blocco. Nel tentativo di aprire questa rara finestra di opportunità, il NOC si è affrettato a revocare lo stato di forza maggiore su una serie di impianti petroliferi intorno al bacino della Sirte, una mossa legale considerata necessaria affinché molti dei partner di produzione petrolifera straniera della Libia siano in grado di operare al sicuro lì.

Presumibilmente, la riapertura scaglionata degli impianti petroliferi significa che almeno alcuni dei mercenari russi sparsi in Libia hanno ridotto la loro presenza in aree chiave di preoccupazione per il NOC. Non è affatto certo, però, che i vari contingenti russi che operano su contratto per imprese russe a gestione statale, desiderosi di capitalizzare una nuova dispensa politica a Tripoli più favorevole ad Haftar, si ritireranno dal Paese in tempi brevi.


GLI INTERESSI IN GIOCO E I PAESI COINVOLTI


La situazione insomma rimane assai fluida, e sempre comunque legata alle immense ricchezze del sottosuolo libico, che fanno chiaramente gola a molti. Ed è anche per questo che la marginalità del nostro paese dal tavolo delle trattative, considerando la storica presenza della Eni in zona, appara sempre più inspiegabile oltre che dannosa, considerando come dalle coste libiche da mesi partano gran parte dei barconi di disperati verso le coste italiane, oltre ad avere ancora un contingente di circa 400 uomini. Fino ad ora ha forse fatto di più la stessa Eni ( ad Agosto  Claudio De Scalzi siè incontrato con il primo ministro Fayez al-Sarraj e con il presidente della NOC , la compagnia petrolifera nazionale libica, per discutere della situazione del paese) che il nostro ministro degli Esteri. Ma d’altra parte, come  ricorda Frederic Wehrey del Carnegie Endowment, forse ora ci sono troppi giocatori diversi in Libia con troppi stili di gioco diversi per sapere con certezza quale mossa determinerà la forma finale del tavolo dei negoziati e, si spera, un eventuale fine alla guerra. Ed è in questa situazione caotica che il nostro paese, rimasto fino ad ora fuori dai giochi, potrebbe e dovrebbe giocare un ruolo determinante.

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