giovedì 29 ottobre 2020

BOLIVIA PER LA SINISTRA UNA RONDINE NON FA PRIMAVERA


Le elezioni in Bolivia del 17 Ottobre scorso, hanno sorpreso non solo per la vittoria tutt'altro che scontato del candidato di sinistra, Luis Arce, ma anche per il fatto che le stesse si siano svolte regolarmente e senza nessuna contestazione. Il vincitore è stato appunto l'ex ministro dell'economia sotto l'iconico presidente di sinistra Evo Morales, del Movimento verso il socialismo, noto con le sue iniziali spagnole, MAS. La vittoria di Arce ha creato eccitazione nella sinistra dell'America Latina e ansia tra molti dei critici della sinistra, che temono che il suo governo sarà una continuazione delle politiche e dello stile di governo di Morales e che questa vittoria può rappresentare una svolta verso un nuovo periodo “rosa” per il Sudamerica. Ma Arce ha subito voluto marcare la sua differenza con l’operato del precedente presidente, promettendo ampie riforme e un radicale cambio di passo nella politica economica boliviana, facendo intendere che la sua presidenza sarà altra cosa rispetto al suo predecessore, costretto a dimettersi per gli scontri scoppiati, dopo le accuse di brogli elettorali nell’Ottobre del 2019. Ma sicuramente l’ombra di Morales incomberà moltissimo sul suo successore, considerando i toni che ha usato in questi mesi dal suo “rifugio” argentino. In effetti, una delle prime dure sfide del presidente eletto sarà come affrontare l'ex presidente, che non ha certo accettato di buon grado la fine del suo “regno” durato 13 anni e non vede l'ora di tornare in Bolivia. Alla notizia della vittoria del suo protetto, Morales, che vive appunto da mesi in esilio in Argentina, ha dichiarato: "Prima o poi torneremo in Bolivia, non è in discussione". Arce dice che sebbene Morales rimanga il leader del MAS, non gli chiederà di entrare nella sua amministrazione. Quando entrerà in carica a novembre, Arce sostituirà il presidente ad interim, la destra Jeanine Anez, che ha supervisionato un'amministrazione attivista di destra che ha represso il MAS, annullato alcune delle misure popolari di Morales e represso il dissenso.

MORALES E SEMPRE FORTE

Il suo rifiuto di agire come leader di transizione ha effettivamente rafforzato Morales e il suo partito, ricordando forse ai boliviani perché lo avevano eletto. Morales è salito al potere nel 2006, durante il culmine della cosiddetta "marea rosa" che ha portato le figure di sinistra al potere in tutta la regione. In particolare, è stato il primo presidente indigeno in un paese che era stato governato dai discendenti degli europei bianchi dal 19 ° secolo. Si è alleato con Hugo Chavez del Venezuela e altri leader che la pensano allo stesso modo, e si è proposto di affrontare l'estrema povertà che affligge la maggior parte della popolazione. Come altri leader di sinistra in America Latina, nazionalizzò industrie chiave e istituì programmi contro la povertà. Sostenuto dal boom globale delle materie prime, Morales è stato in grado di ridurre la povertà e infondere un senso di dignità e inclusione politica tra i boliviani che si erano sempre sentiti privati dei diritti civili. Ma era anche deliberatamente divisivo e sviluppò uno stile decisamente autoritario. Si irritava sotto i controlli democratici e gradualmente monopolizzava il potere, creando un sistema che rendeva sempre più difficile per l'opposizione operare in condizioni di parità. Lui e i suoi sostenitori hanno riscritto la costituzione, prolungando la sua presa sulla presidenza. Quando raggiunse i limiti di mandato stabiliti dalla costituzione, chiese ai boliviani se avrebbero sostenuto la modifica della costituzione ancora una volta per consentirgli un quarto mandato. Ma in un referendum, la maggioranza ha detto: "No." Il referendum era vincolante, ma in una svolta sorprendente, la più alta corte del paese, che Morales ha dominato anche attraverso nomine giudiziarie, ha dichiarato l'esito del referendum un abuso dei suoi diritti politici. Ecco perché alla fine la sua figura ha creato molte divisioni anche all’interno della sua stessa formazione politica. 

IL MOVIMENTO ROSA IN SUDAMERICA

Ma sicuramente il suo è e rimane ancora un modello per quel movimento rosa, che ai primi anni 2000 spiro fortissimo in tutto il Sudamerica, dall’Argentina al Cile, alla Bolivia fino al Brasile. Poi la grande crisi finanziaria, la cattiva gestione di alcuni di questi populisti di sinistra, emblematico il caso di Lula in Brasile, della Kirchner in Argentina, e Bachelet in Cile. Grandi promesse, grandi sforzi per ridurre il problema della povertà e della grande diseguaglianza fra classi sociali, ma poi alla resa dei conti molte promesse, pochi fatti concreti e alcuni scandali di corruzione che hanno travolto il Brasile di Lula e della Roussef e la dinastia dei Kirchner in Argentina. “La vittoria di Arce in Bolivia non rappresentare un ritorno della sinistra, ma il rifiuto dei presidenti in carica in una regione in cui la fede nella democrazia è in declino e la sicurezza economica è in tilt” afferma Christina Ewig, professoressa presso l'Università del Minnesota. che studia politica latinoamericana. "In termini di contesto regionale, questo non significa più voti per la sinistra, ma più voti per il cambiamento", dice. "Quello che vedremo di più sono i problemi per i governanti storici in America Latina, soprattutto nel 2021". Arce per questo si è subito affrettato a smarcarsi dal suo predecessore, perché pare capire proprio quello che dice la professoressa Ewig, e cioè che i boliviani non aspirano a un'altra amministrazione in stile Morales che lacera il paese con dolorose divisioni. Nella recente campagna per la replica di quelle elezioni, Arce, infatti ha fatto leva proprio sulla sua differenza rispetto a Morales. Ha definito il suo tentativo di cercare un quarto mandato "un errore". Arce si è descritto come un candidato di transizione, promettendo di rimanere in carica solo per un singolo mandato, abbastanza a lungo da consegnare il potere a una generazione più giovane. Alla domanda su Morales, lo ha definito una "figura storica" che non avrà un ruolo nel suo governo. Arce dice che intende sanare le divisioni del Paese, governando per tutti i boliviani. "Abbiamo recuperato la democrazia", ha dichiarato dopo la sua vittoria, "e riguadagneremo stabilità e pace sociale". 

BOLIVIA COME IL VENEZUELA?

Ma un conto è la campagna elettorale e le dichiarazioni che si fanno un altro e poi mantenere la parola. Sono molti infatti fra gli osservatori che temono che in Bolivia ci possa essere una sorta di replica di quello già visto in Venezuela con Chavez e Maduro. Certo la situazione mondiale con la crisi determinata dalla pandemia da Covid 19 mette i governanti di fronte a scelte dure e radicali. L'economia boliviana scenderà del 7,9% quest'anno a causa della crisi causata dalla pandemia, secondo le stime del Fondo monetario internazionale (FMI). La sua ripresa, tuttavia, dovrebbe essere accelerata, con un rimbalzo stimato del 5,6% nel 2021. "La crisi economica è stata una questione centrale e decisiva nel contesto", afferma Diego Von Vacano, professore di scienze politiche all'Università del Texas. A&M e consulente della campagna presidenziale di Arce. Il fatto che abbia vinto con il 53% dei voti, secondo i risultati preliminari, indica che molti boliviani che non si sono necessariamente identificati con il MAS gli hanno dato il loro voto, dice. "La gente ha iniziato a rendersi conto che, in un'epoca di coronavirus, quando la crisi economica si è acuita, sarebbe stato meglio avere un economista con la mente lucida per poter affrontare questo", spiega. Con 11 milioni di abitanti, il 34,6% dei boliviani vive in povertà e il 12,9% in povertà estrema. Come nel resto dei paesi dell'America Latina, si prevede che la pandemia spingerà verso il basso molti altri membri della classe media. Il piano economico di Arce fa sì che, attraverso il sostegno al settore agricolo, il suo governo garantisca la sicurezza alimentare. La sua vittoria quindi può avere spiegazioni molteplici, ma sembra più legata al personaggio e alle circostanze, che ad un possibile cambio nelle scelte politiche di un paese che possano intendere un ritorno dei movimenti di sinistra nel Sudamerica. 

LA SINISTRA SUDAMERICANA FESTEGGIA

Eppure la sinistra di tutto il sudamerica ha festeggiato per questa vittoria, sperando che le prossime elezioni possano confermare un ritorno al passato e un cambio di direzione contro i governi populisti di destra, che hanno via conquistato i principali paesi della regione. Il presidente venezuelano Nicolas Maduro ha twittato: "Una grande vittoria!" Altri leader di sinistra si sono uniti al giubilo online. Certo Arce sicuramente è di sinistra Ha aiutato a progettare alcune delle principali politiche economiche dell'era Morales, e secondo alcuni è stato il vero artefice di quello che due anni fa fu definito il “ milagro economico” boliviano. Ma sembra anche capire che i boliviani non desiderano un'altra amministrazione in stile Morales che lacera il Paese con dolorose divisioni. La sua vittoria, sebbene decisiva, non è stata affatto travolgente. La Bolivia rimane un paese impantanato nella povertà, con enormi problemi sociali aggravati dalla pandemia di coronavirus Affrontarli richiederà un'azione vigorosa del governo, proprio come avverrà in tutta l'America Latina, dove i governi di tutto lo spettro politico dovranno affrontare gravi sfide economiche e sociali all'indomani del COVID-19. È probabile che la Bolivia post-pandemia si impegni in sforzi attivi per aiutare i poveri, stimolare l'economia e aumentare coloro che si trovano in fondo alla scala socioeconomica. Ma l'approccio questa volta sarà diverso. È probabile che la presidenza Arce sia molto meno ideologica, meno conflittuale, più conciliante, più unificante. I boliviani non sono dell'umore giusto per capovolgere il paese. Quello che vogliono, soprattutto, come la maggior parte delle persone in America Latina, sono risultati tangibili, credibili e senza troppi inutili proclami, cosi cari all’ex presidente Evo Morales.

vcaccioppoli@gmail.com




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